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Fortunatamente il tempo è migliorato. Consulto rapidamente la cartina: la direzione da seguire è quella che va verso Wielicka. Questo nome mi riporta alla memoria l'esperienza della scorsa estate, quando ci andai con Manu per vedere le splendide miniere di sale. Le indicazioni sono diventate molto precise rispetto alla prima volta che le visitai, nel '94. Si arriva in un impianto che da fuori ricorda più uno stabilimento per le cure termali, simile a quello di Fiuggi, vicino Roma. L'interno somiglia invece più a uno dei nostri intasatissimi uffici postali: pieno di sportelli e di code, uno per una tipologia differente di turista: polacco individuale, polacchi in gruppo, staniero individuale, stranieri in gruppo, polacchi che vogliono una guida, ecc. Quest'anno non abbiamo tempo di fare una sosta, per cui mi limito a ricordare con Manu di quando l'anno scorso per risparmiare un po' di soldi sul biglietto d'ingresso e di tempo, ci spacciammo per polacchi. Infatti, l'ingresso alla miniera è regolato tramite la formazione di gruppi di una trentina di persone, e la frequenza con cui si formano quelli di polacchi era molto superiore a quella degli stranieri, anche perchè questi vengono suddivisi per nazionalità, pre assegnare delle guide che parlino la loro lingua. Il morale è altissimo, da qui in poi inizio a vedere posti che non conosco e l'eccitazione è forte Facciamo benzina in una delle futuristiche stazioni di servizio della Polonia. Ho l'impressione che per un po' di tempo non le vedro' più! Finalmente abbandoniamo la periferia di Cracovia! E' incredibile vedere come una città piccola come Cracovia abbia sviluppato negli anni una quantità incredibile di città satelliti, create prevalentemente dai vari insediamenti industriali. Vediamo numerose indicazioni per Kutna Hora, un grande quartiere periferico, quasi una città nella città creata negli anni '60 attorno a delle enormi acciaierie. Ho letto che l'inquinamento da queste parti è altissimo, il nome di Kutna Hora viene portato come esempio negativo in tutto: gestione dell'ambiente, alienazione di certi quartieri, miseria. L'anno scorso ci facemmo un giro per andare a vedere una chiesa moderna, in uci il Papa tenne anche messa. Mi viene sempre da ridere pensando alla mia "indipendenza" religiosa, per non chiamarlo troppo superficialmente ateismo, che stride in modo così netto con i veri e propri pellegrinaggi che faccio annualmente nei posti che vado ad esplorare. Così ricordo Fatima, Lourdes, Czestochowa, Santiago de Compostela e tanti altri luoghi famosi unicamente come centri religiosi. Questi luoghi mi hanno sempre affascinato, ma come in genere mi affascinano tutti i luoghi in cui l'uomo manifesta la sua forza e la sua volontà. Come in fondo mi piacciono anche le acciaierie. Forse ho trovato un motivo: da un lato c'è la forza spirituale, quella a me inspiegabile ma che mi affascina osservare nelle sue innumerevoli forme ed espressioni, dall'altra c'è la forza bruta dell'uomo, quella violenta che spesso stride in modo evidentissimo con la natura che lo circonda. E un impianto industriale è proprio quello: uno stupro del paesaggio, gli antipodi che vivono a stretto contatto, non si sa chi dei due più scocciato dal vicino. Forse è anche questo: il fascino del contrasto così forte, così deciso, senza compromessi. Gli opposti che, pur respingendosi, si ritrovano forzatamente a contatto. E purtroppo gli esiti sono spesso disastrosi. Come impegno prendo quello di fare una piccola galleria fotografica di impianti industriali. Finalmente la campagna riprende il sopravvento. O meglio: i colori della natura prevalgono sul grigio del cemento, ma quella che vedo rimane comunque Terra modificata dalla mano dell'uomo. La Polonia, come l'Italia, è un Paese fortemente urbanizzato, è difficile trovarsi in posti in cui non incnotri una abitazione per dei km. Ho la segreta speranza che in Russia e forse già in Ucraina, questo accada. Man mano che andiamo verso l'Ucraina mi pare che la condizione delle persone lentamente peggiori, almeno per il concetto occidentale di "peggiorare". Vedo macchine più scassate, più carri tirati dai cavalli che escono dai cavalli e case più fatiscenti, ma è ancora tutto più che dignitoso. La pianura è il paesaggio che prevale, fino alla città di XXX dove ci troviamo di fronte a una inaspettata collina, molto ripida. Sembra di arrampicarsi su un panettone! E' sbucata dal nulla, e ha i fianchi davvero scoscesi! Tanto per non farci calare l'attenzione, sbaglio strada e invece di rimanere all'esterno della'bitato, ci infiliamo dentro. E' un centro molto vivace, il più grande in questa parte di Polonia. Come tutte le città è afflitta da un traffico intenso e impieghiamo un po' di tempo per riguadagnare la statale. Iniziamo a vedere qualche residuato bellico, fino a quando non passiamo accanto a un aereo da caccia perfettamente conservato che punta verso il cielo. Quella vista mi scuote e mi fa andare con la mente al periodo vissuto in parte anche dai miei genitori: la 2a guerra mondiale. La Polonia è stata la prima nazione ad essere aggredita dai nazisti ed è stata anche quella tra le più colpite e devastate. E' stata interamente messa a ferro e fuoco, le comunità ebraiche polacche, tra le più numerose in Europa e nel mondo, sono state sterminatenelgiro di pochi anni, con l'appoggio anche dei cattolici, da sempre in tensione con quei parenti così stretti, da un punto di vista religioso, ma così distanti nei rapporti. La mente corre avanti e indietro tra passato e futuro, ripensando a storie recenti di intolleranza tra cattolici e ebrei. Ricordo le polemiche di cui sentii parlare la prima volta che visitai Oswiecim (quella che i nazisti chiamarono Auschwitz) nel '94. Era in corso una disputa accesissima tra la comunità ebraica e una congregazione di suore circa la costruzione di un convento, che sarebbe dovuto sorgere accanto all'ex campo di sterminio. L'onta per gli ebrei era evidente: proprio accanto al simbolo mondiale del loro martirio doveva essere costruito un luogo di culto di un'altra religione? Naturalmente la questione di fondo era la reciproca insopportazione e le colpe che si addossavano l'un l'altra. Dopo soli 50 anni, e probabilmente già molto prima, riprendevano gli episodi di questo tipo. Più tardi venni a sapere di un'altra storia senza senso: la comunità ebraica era di nuovo in lotta per evitare la costruzione di un centro commerciale a ridosso del campo di sterminio, a Birkenau, a 3 km da Auschwitz. Possibile che non si riesca a dedicare qualche ettaro di terra a uno dei luoghi più tormentati del mondo? Penso con tragico dolore alle milioni di anime che vagano senza pace sopra quelle terre, chiedendosi ancora come sia stato possibile tutto ciò. L'aereo era pulito e pareva riverniciato da poco tempo. Ai miei occhi appariva sia come un simbolo delle sofferenze che hanno visto quelle zone, sia la vittoria che, nonostante tutto, ha passato un colpo di spugna insanguinato sulle teste dei polacchi. Mi vengono in mente le parole di un mio caro amico: "Le persone, chi prima chi dopo, si abituano a tutto!" Anche alle situazioni più terribili. Si abituano anche a vivere nel terrore. In breve tempo quella diventa la normalità. Proseguiamo verso il confine con l'Ucraina, e anche stavolta i km sembrano fermarsi. L'attesa è tanta che sembra di non arrivare mai. Quando all'improvviso il panorama si apre. Le piante che costeggiano una percentuale altissime delle strade polacche si interrompono, le abitazioni si diradano, lo sguardo spazia su una pianura infinita. Iniziano a correre lungo i lati della strada delle reti metalliche: preferivo gli alberi! Siamo arrivati al confine tra la Polonia e l'Ucraina! Il lato polacco della frontiera passa senza nemmeno farsi accorgere. I funzionari sono gentili e rapidi come sempre. Ci inoltriamo senza casco nella "zona di nessuno". In genere questo spazio di lunghezza variabile, tra i 2/300 metri e il mezzo km, può essere percorso senza troppe precauzioni. L'andatura è bassa, i pensieri numerosi. Sto per entrare in Ucraina. Nei mesi precedenti al viaggio ho pensato molte volte a questo momento, a cosa sarebbe successo, a cosa avrei trovato. Le congetture si inseguivano e dipingevano un paesaggio diverso a seconda dell'umore. Se l'animo era disteso e carico, vedevo un paese in tutto e per tutto uguale agli altri, forse un po' piu' dimesso, ma non troppo. Quando l'animo era più pessimista, e vedevo l'impresa come titanica e condannata dalle difficoltà che sicuramente avrei incontrato, immaginavo l'Ucraina come un posto desolato, senza ordine e di una grande povertà. Di sicuro, non so perchè, ho sempre avuto la sensazione di Kiev come di una città piuttosto insicura per un turista, in cui la microcriminalità era più diffusa che altrove. Tutte le volte che pensavo prima a Kiev e poi a Mosca, venivo preso da un sottile senso di angoscia pensando a Kiev. In sostanza la vedevo come la televisione italiana presenta (e come probabilmente è davvero) l'Albania. Un paese abbandonato asè stesso, dove le persone devono trovare da soli il modo, più che di vivere, di sopravvivere. Ora finalmente sto per dare realtà alle mie visioni. Il primo impatto con l'Ucraina è una coda di macchine ferme. Si capisce immediatamente se la coda scorre oppure no, e anche la velocità con cui lo fa. E' sufficiente guardare le espressioni delle persone ferme, se sono scese, di quanto sono aperte le portiere. In breve, se la sosta è definitiva oppure no. Quello che vedo è tranquillizzante: le portiere sono quasi tutte chiuse e poche persone sono scese dalle auto. Sembrerebbe che la fila scorra. A dispetto delle mie dduzioni, le macchine rimangono immobili per diversi minuti. Mi rassegno e siccome è dalla mattina che non ci fermiamo, faccio scendere Manu e le chiedo se può tirare fuori i panini che il cameriere gentilissimo di Cracovia ci aveva impacchettato quella mattina. Sempre a cavallo della moto, felice per la sensazione di nomadismo che mi dava tutta la situazione, addento e inizio a gustare il primo spuntino della giornata. I miei amici sono subito dietro, molto eccitati. Per tutti è un momento bellissimo, siamo al masismo delle forze e le incognite che abbiamo non ci permettono di avere pregiudizi di nessun tipo sugli ucraini. Gli occhi di tutti sono su noi e le nostre moto. Da pareccih km ormai non incontriamo più moto, se non vecchissimi modelli, oppure dei sidecar. Siamo delle mosche bianche. Questa riconoscibilità mi ha sempre messo in imbarazzo, vorrei essere in grado di mischirmi di più tra le persone, avere la possbilità anche di vedere senza essere visto. Invece qui ogni volta che giro gli occhi, in qualunque direzione, mi ritrovo due pupille addosso. D'altronde me la cerco: sto andando con una moto ipermoderna che probabilmente non hanno mai visto in un paese probabilmente privo di moto simili. Mi consolo facendo un parallelo con un nostro paesino montano, isolato, che si ritrova all'improvviso una Ferrari atterrata nellapiazza principale. Diventerebbe immediatamente il passatempo della giornata, e l'argomento di discusisone dei giorin a seguire, trasformandosi in breve in aneddoto, raccontato per mesi, forse anni. La dogana è costituita da una grande costrzione a due piani, con la classica disposizione al "centro": da un lato passano quelli che escono dall'Ucraina, dall'altro quelli che entrano. All'altezza della costruzione iniziano le tettoie in lamiera che proteggono il personale di dogana e i "civili" durante le operazione di controllo dei dovumenti e dei bagagli. Per velocizzare i controlli, i veicoli vengono organizzati come nei nostri caselli autostradali, cioè ci sono diverse corsie, ognuna delle quali ha a disposizione qualche doganiere. In questa dogana ci sono 3 gabbiotti centrali, ma delle potenziali 6 file che potrebbero servire, ne smbrano attive solo 3. La fila inizia a scorrere, e le macchine perdono l'ordine. Ho paura di trovarmi in un punto "morto". Le file iniziano a confluire le une nelle altre per trasformarsi, dalle attuali 5, nelle 3 finali. Mi trovo in un punto in cui non sono accodato in nessuna delle due file che mi scorrono a fianco senza aspettare la mia indecisione. Mollo rapidamente il panino a Emanuela e mi infilo senza troppi complimenti davanti a una macchina. Per fortuna non reagisce, anche perchè mi stava comunque fregando il posto, imitando le due macchine che lo precedevano. Anche se davanti a noi ci sono ancora 4/5 macchine, arriva un diganiere e mi dice qualcosa, indicandomi un punto impreciso pi+ avanti, sulla sinistra. Nel punto indicato c'è una delle corsie vuote. In un attimo mi trovo a spiengere la moto in quella direzione, convinto che mi avesse detto di mettermi lì, in quanto motociclista. Non sarebbe la prima volta! In genere i motociclisti ricevono sempre un trattmaento di favore, in quanto hanno meno bagagli che non ci hanno mai controllato, fatto sta che in tutti questi anni, ho sempre saltato le code alle dogane, benedicendo ogni volta di più questo mezzo! Stavolta il doganiere torna indietro urlandocome un ossesso e agitando un manganello! Per fortuna era solo per indicarmi di tornare immeditamente al mio posto, nella fila da cui mi ero appena tolto! Sembra facile! L'auto che mi seguiva ne ha subito approfittato per avanzare e occupare il mio posto! Rimango lì, nè di qua nè di là, ma comunque determinato a infilarmi davanti a lui qualora le auto davanti si fossero mosse. una volta riconquistata la mia posizione, seppur in modo così precario, scendo e cerco di capire cosa voleva da me il funzionario. Mi ricaccia indietro in malo modo, non sembra più intenzionato a dirmi nulla. Rinuncio a capire e ripenso al panino interrotto qualche minuto prima. Come se lo facessero apposta, arriva un nuovo funzionario e mi indica di nuovo il punto più avanti sulla sinistra, sempre in direzione della corsia vuota. A gesti (il russo proprio non mi usce, è la prima volta che tento di metterlo in pratica, e non mi viene in mente una parola che sia una!) cerco di fargli capire che mi sarei mosso con tutta la moto, mettendomi in fila lì, nella corsia vuota, senza nessuno nè davanti nè dietro! Scocciato per la mia ottusità fa cenno di sì, che avevo capito bene. Un po' scettico, restituisco di nuovo a Manu il panino e ricomincioa spiengere la moto. Come in un grande teatrino, torna il primo persoaggio che riprende a inveire contro di me. Gli indico l'altro funzionario che per fortuna si gira. Iniziano a discutere. Alla fine nessuno mi dice nulla. Nel linguaggio dei tutori dell'ordine, e non solo, quel silenzio equivale a dire "va bene così". Felice della mia nuova posizione, inizio a preparare i documenti. D'altronde sono l'unico di quella corsia e mi aspetto che a breve vengano a fare i controlli di rito. Invece le auto nelle altre corsie continuano a scorrere, quello che prima era dietro di me nel giro di una ventina di minuti è già passato, mentre continua a rivolgermi occhiate curiose, che a me sembrano venate di scherno. Inizio a scoccairmi e vado risoluto dal primo doganiere che mi arriv a tiro e gli chiedo che diavolo dovessi fare lì fermo, ignorato da tutti! Mi fa cenno di aspettare, sarebbero arrivati. Mi indica nuovamente il punto dove adesso avevo la moto. Dopo altri minuti trascorsi invano, vedo un folto gruppo di persone precipitarsi verso un casotto che non avevo notato, proprio all'alteza della moto. Noto una scirtta nache in inglese e finalmente capisco. Quello che da molto tempo mi stavano indicando era in realtà l'ufficio dove rilascavano le assicurazioni sanitarie per i turisti stranieri. E' obbligatoria. In un primo momento faccio il finto tonto e provo a spacciargli l'assicurazione della moto, ma non c'è speranza: con un gesto secco mi indica di nuovo il gabbiotto. Per fortuna il gruppo che prima si era avventato contro la porta della casupola era tornato alle proprie auto, così riusciamo a metterci subito dietro alla porta. Chiusa. Iniziamo ad aspettare, e lentamente si fa largo in me l'idea di una dogana senza un ordine preciso, in cui nessuno dice nulla a nessuno. Devi scoprire da solo la sequenza di mosse da fare per riuscire a passare dall'altra parte! Finalmente arriva una donna che apre la porta e si infila rapidamente nella casupola di lamiera. Purtroppo chiude la porta dietro di sè. Fortunatamente la riapre quasi immediatamente e ci fiondiamo dentro. Dopo aver dato i documenti, diciamo il tempo che intendiamo rimanere in Ucraina, e ci fa una assicurazione valida una settimana. Forte del foglio giallo appena conquistato, torno da un doganiere, chiedendo a gesti cosa bisogna fare adesso. Mi rimanda al mio posto, dicendo di aspettare. Dopo qualche minuti finalmente qualcuno pare occuparsi esplicitamente di noi. Lentamente si avvicina e ci chiede i documenti. Dopo una rapida occhiata ci dice che possiamo avvicinarci al primo sportello. Sembra uno sportello delle nostre poste: piccolo piano d'appoggio, tanto per continuare a darti una sensazione di precarietà, la vetrata e dietro la persona che, parlando, naturalmente non si sente. In tutto questo i nostri amici sono rimasti parecchio indietro, annegati in mezzo alle macchine. Ci guardano da lontano, chiedendo con lo sguardo cosa devono fare. Manu va a parlarci e torna raccontando che prima avevano provato ad avvicinarsi alla mia moto, nella corsia vuota, ma erano stati rimandati indietro senza tanti compolimenti. Poco male, a quanto ho capito l'importante è avere tutti i documenti in regola, e avevano fatto insieme a noi le assicurazoini sanitarie. Il funzionario ci chiede visti e passaporti e inizia ad annotare i nostri dati, con bella calligrafia, su un grande libro scritto fittamente. Ci restituisce tutto e ci indica che possiamo andare avanti. Adesso è il turno del controllo dei bagagli. Ci consegnano un foglio interamente in cirillico. Cerco di tradurlo e capisco che si tratta di una dihciarazione doganale in cui descriviamo quelloche importiamo: numero di bagagli, natura dei bagagli, quantità di denaro, attrezature particolari come macchine fotografiche, telefoni cellulari, ecc e poi i dettagli delle moto. Con l'aiuto di Adriano compiliamo tutto e proseguiamo la trafila. Ogni sportello è abitato da almeno due persone, sembrano controllarsi a vicenda, in realtà chiaccherano tra loro. Ogni funzionario che incontriamo ha il ocmpito di controllare una parte dei documenti, e di applicare un timbro da qualche parte. Senza quei timbri non possiamo procedere. Inizio ad avvertire il peso della burocrazia, incomprensibile e irrazionale. Arrivati alla fine della sequenza degli sportelli, il funzionario di turno ci indica un altro gabbiotto poco più avanti, ormai oltre le tettoie, quasi fuori dalla dogana! Riprendiamo vigore, come se non fossero già quasi due ore che avevamo iniziato la trafila, e ci infiliamo nella nuova casupola. Ci troviamo di fronte due donne, vestite una con abiti militari, l'altra con abiti civili, molto succinti. Quest'ultima indossa una mini-gonna che cattura il mio sguardo. Lei se ne accorge e mi chiede i documenti. Apre il passaporto, vede la nazionalità e con un tono di voce e uno sguardo da pornodiva mi dice "Italianoooo....". Il tutto sotto lo sguardo incredulo di Manu! Ci chiede per l'ennesiam volta le generalità nostre e della moto, e compila l'ennesimo modulo. Stvolta ci chiede, dando a intendere che più che una richiesta è un invito ad ascoltarla, quanti dollari vogliamo cambiare. Lì per lì vorrei non cambiare nulla. L'esperienza mi ha insegnato che i tassi di cambio alle frontiere sono sempre da strozzinaggio. La ragione è semplice: uno è appena arrivato nel paese, non conscoe bene quali sono le tariffe e non può fare confronti! In più sembra quasi che voglia cambiare in nero, perchè non vedo nessun cartello con le indicazioni dei tassi. Poi rifletto che ormai è pomeriggio avanzato, di lì a pochi metri avremmo messo le lancette avanti di un'ora per il fuso orario, e difficilmente troveremmo una banca aperta. Chiedo quanti hrvinie mi darebbe per 100 dollari, e secondo il tasso di cambio che avevo verificato qualche giorno prima della partenza su Internet, la cifra che mi propone mi sembra onesta. Cambiamo, per me e Manu, 100 dollari. La soubrette (somiglia più un personaggio del genere, che non a un funzionario doganale) mi consegna un foglio. Non sembra ufficiale, è su carta non intestata, completamente scritto a penna. Lo dò al funzionario che mi ha indicato, e questi lo trattiene, senza fare timbri o altro. Ho la sensazione che i miei 100 dollari siano serviti del tutto o in parte, ad arricchire qualcuna di quelle persone. Dopo aver preso il foglio, il doganiere ci fa cenno di prendere la moto e di andare via. Siamo fuori! Vado a prendere la moto una ventina di metri più indietro, incrocio con llo sguardo gli altri che con aria rassegnata stanno pasasndo da uno sportello all'altro. Con Emanuela ci sistemiamo a sufficiente distanza dalla costruzione della frontiera, come se allontanandoci a sufficienza fossimo più al sicuro da eventuali "ripensamenti"! Ora siamo molto più sollevati, riprendiamo a sorridere, io inizio a giocare conil piccolo dizionario di russo che inizio a capire sarà il mio fido compagno per un paio di settimane. Inizio a guardarmi intorno, ma vedo solo un piccolo bar annesso alla dogana. Devo andare al bagno, prendo coraggio e chiedo a un militare dove posso trovarne una. Quello mi indica la costruzione proprio accanto alla quale ho parcheggiato. Mi accompagna per un pezzo e dice alle donne di non farmi pagare. Capisco che gli dice, come spiegazione del favore che mi fa, che sono "italiano". Questo è sufficiente! L'aspetti dei bagni mi colpisce. Innanzi tutto l'odore, forte e acre delle peggiori toilette pubbliche. Poi l'aspetto. Estremamente decadente, fatiscente. Gli orinali a muro sono sostituiti dal...muro! In pratica si piscia contro a un muro, sopra al quale scorre un leggero velo d'acqua. In questo modo non esiste nessuna divisione tra una "postazione2 e l'altra. Si fa la pipì uno accanto all'altro, tutti contro al muro! E' divertente anche che per arrivare a questo muro collettivo si debba salire un piccolo gradino, come una specie di pedana, per stare più in alto di chi nn fa pipì! I rubinetti dei lavandini sono completamente arrugginiti, e i lavelli sono vecchi, rotti e pieni della ruggine lasciata cadere dalle tubature. Tutto è sporco, ma nessuno sembra farci caso. Mi chiedo per quale tipo di servizio le vecchie che sono allìingresso chiedano dei soldi. Anche Manu sfrutta iol trucchetto degli italiani per andare al bagno senza pagare. Espletati tutti i bisogni fisiologici, uscendo dai bagni noto per la prima volta la rete dietro la quale si snoda la solita carovana di persone che passano la dogana a piedi. Questa particolarita' l'alvevamo gia' notata lo scorso anno. Le procedure per "sconfinare" a bordo di veicoli è piuttosto complessa, anche se a bordo di motorini. Questo vale per tutti, anche per le persone che abitano nei pressi del confine. Spesso conviene acquistare al di là del confine, ecco percio' le decine di persone che passnao il confine nei corridoi destinati ai pedoni. Fa un po' impressione vedere questi corridoi di reticolati che si snodano in un limbo tra il territorio "ufficiale" della frontiera e e la "terra di nessuno". Da un lato si può passaeegiare liberamente e dall'altro è vietato mettere anche un solo piede. In mezzo loro, tra le reti! Con le mani piene di buste e sporte colme di ogni tipo di bene, compresi dei copertoni e altri oggetti che non distinguo. Lo scorso anno mi colpì particolarmente la frontiera tra l'Estonia e la Russia. La linea di confine segue il corso del fiume XXX e, poichè i veicoli si trovano a sostare lungamente sopra un ponte, l'afflusso dalle due rive è regolato in modo molto stretto. Sia le persone che i mezzi passano con il contagocce, per evitare sollecitazioni troppo forti alla struttura del ponte. La distanza da percorrere da un ingresso all'altro della dogana è notevole, circa un chilometro, al quale si deve sommare la distanze delle prime case, sia dal lato di Narva che da quello di Ivangorod. Eppure era un continuo via vai di persone. Evidentemente per gli estoni acquistare in Russia era un affare troppo vantaggioso per non affrontare una passeggiata simile. Anche in questo caso, tra Polonia e Ucraina, il cordone umano è consistente. Dopo esserci guardati intorno a sufficienza pensiamo ai nostri amici. Li troviamo fermi allo stesso sportello dove li avevamo visti parecchi minuti prima. Incoraggiato dall'essere pormai uscito dall'aver superato ormai tutti i controlli, torno indietro, sicuro come se avessi una qualche protezione guadagnata con le mie file e le miei attese. Per fortuna nessuno sembra far caso a me, mi avranno catalogato come "già passato" e quindi degno di nessuna attenzione. O più semplicemente non gli interessa quello che faccio. Arrivo da loro e gli chiedo ilmotivo di tanto ritardo. Mi rispondono che c'è stato il cambio delle guardie e stanno aspettando il turno successivo. Nelle frontiere ucraine funziona così: mezz'ora prima che il turno termini, le guardie iniziano a compialre una lunga serie di moduli, in cui annotano i dati salienti della giornata: numero di ingressi seguiti personalmente, tipo e motivazione delle visite, ecc. Poi si passa alla sigillatura dei libri mastri, quelli su cui viene annotato tutto scrupolosamente. Si passa uno spago che chiude le due copertine del libro e questo viene poi sigillato a sua volta. Tutta l'operazione mi ricorda le procedure eccessive e laboriose da noi seguite durante le elezioni. Ho fatto diverse volte lo scrutatore, e ricordo procedure simili per formare le varie buste che andavano poi agli uffici elettorali per il controllo, o all'ufficio del messo comunale pre la comunhicazione dei risultati. Una volta terminate queste oprazioni, l'orario della fine del turno arriva e se ne va. A quel punto occorre aspettare che arrivi il camioncino con il nuovo turno. Il tempo di attesa è del tutto variabile, può capitare che sia già arrivato, come che arrivi dopo mezz'ora. La nuova guardia entra nel gabbiotto e inizia la procedura inversa. Tutto questo è snervante, perchè sarebbe molto più logico che la prima guardia terminasse il proprio turno, mentre l'altra apre i vari plichi, e quando termina il turno l'altro puo' iniziare da subito, e la "vecchia" guardia può compiere le operazioni di chiusura. Invece, con il fatto che non si accavallano in nessun modo, si duplicano i tempi morti, e per un cambio di turno si perde come minimo un'ora, senza far nulla. Torno sconsolato da Emanuela, che nel frattempo ne sta approfitta per riposare. Per ingannare il tempo compraimo una bottiglia d'acqua nel piccolo bar. Poi mi viene in mente una cosa utile da fare. Fermo una delle tante guardie che camminano avanti e indietro senza scopo apparente e gli gli chiedo se sa dove si trova il campeggio di Leopoli. Infatti, mesi prima, su internet, avevo letto la notizia incredibile che si a Leopoli, sia Kiev, c'erano dei campeggi! Il ragazzo chiede aiuto a un'altra guardia e insieme iniziano a darmi indicazioni. Sembra facile, dovremmo incontrarlo prima di arrivare a Leopoli, sulla strada principale. Finalmente gli sportelli riaprono e le persone ricomincano a muoversi, da una finestrella all'altra. A un certo punto Adriano mi chiama: c'è un problema per capire qual'è la frontiera dalla quale usciremo dall'Ucraina. Vado con la cartina, pregando che a Roma abbiano segnato il nome giusto. Per fortuna è così e una volta mostrato all'ufficiale il punto in cui entreremo in Russia, scrive un nome su un foglio e manda via Adriano. Ormai ci siamo. Siamo passati tutti! Le ore passate in dogana sono volate! Mi rendo conto solo ora che sono passate più di 3 ore e mezzo dal momento in cui siamo arrivati alla frontiera! Il fuso orario ci ruba un'ora, e di colpo ci troviamo oltre le 19:30. Dobbiamo ancora percorrere 80 km, non sono molti, ma vorrei farli con la luce. Sotto lo sguardo incuriosito delle guardie doganali ci rimettiamo i caschi e iniziamo a muoverci. Dal punto dove ci reavamo fermati non si vedeva l'uscita. Si notava solo una curva, ben delimitata dalle reti. Appena svoltiamo rimango senza fiato: mi ritrovo davanti a un girone dantesco! L'impatto è forte e del tutto inaspettato! Vediamo, subito dietro a una cancellata fatta con la solita rete, un ammasso di persone accalcate. Di colpo la strada, da larga e ben asfaltata che era in Polonia, si restringe, ed è quasi competamente occupata da un pullmann, da alcune auto in attesa di passare la dogana e dalla moltitudine di persone scese dai mezzi per sgrnachirsi le gambe. Dobbiamo farci largo quasi a forza tra le persone, che si sono strette intorno a noi per vederci meglio. Ho la convinzione che siano davvero pochi i motociclisti occidentali passati da queste parti. Ai lati della strada ci sono cumuli di spazzatura e pollo che razzola. La strada è delimitata dai recinti di alcune abitazioni. Sono basse e molto rovinate. In un cortile sta bruciando qualocosa, producendo una grande nuvola puzzolente. L'impatto è violento, non me l'aspettavo assolutamente! Tutte le voci della grande poverta' dell'Ucraina mi avevano fatto immaginare una terra con case e persone povere, ma sempre con una certa dignità. Qui mi pare gli abbinao rubato anche quella. Le persone sono sporche e vestite con abiti strappati. Fa un grande effetto vedere l'aspetto estremamente trasandato di queste persone. E' un pugno nello stomaco. Nessuno dice nulla nè ha il coraggio di commmentare: è uno choc sia per me che per Manu, probabilmente anche per gli altri. L'interfono rimane muto, mentre nella mia testa più voci si sovrappongono, alcune più allarmiste, che chiedono insistentemente dove diavolo siamo finiti, altre più tranquillizzanti, che chiedono tempo per vedere il resto del Paese. Percorro i primi metri come in trance, mi trovo su una strada stretta ed estremamente rovinata in mezzo a piccole case davanti alle quali sono riuniti intere generazioni, dagli anziani ai bambini. Tutti hanno lo sguardo più stupito che abbia mai visto in questi anni di peregrinazioin all'Est. Mi prende una certa inquietudine, sono preoccupato. La parte più apprensiva di me prende il sopravvento e mi proietta in una realtà fatta di pericoli e crimini. Cerco di razionalizzare in ogni modo, ma più vado a vanti e più questa sembra l'interpretazione più corretta di quello che vedo. Cerco allora di sdrammatizzare parlando con Emanuela. Sembra tranquilla, non so se lo fa per aiutarmi o perchè non è rimasta colpita quanto me. Però fa effetto e mi tranquillizzo rapidamente. Manu ha un grande potere su di me. In questi anni di lunghi viaggi ci siamo trovati in diverse situazioni di grande tensione. I motivi erano molti: una volta ci siamo ritrovati sotto la neve, oppure in mezzo a banchi di nebbia fittissimi, in alta montagna e sotto una pioggerellina sottile e fastidiosa. In tutte queste situazioni, la normale tensione dovuta alla guida aumenta esponenzialmente. Lei capisce immediatamente che deve aiutarmi, anche se è più in crisi di me! E lo fa facendomi un po' di battute, senza aspettarsi necessariamnete una risposta. Anzi, sa che quando rimango muto è prechè sono davvero molto preocupato, allora cerca di parlarmi lentamente e conquistare pian piano la mia attenzione, distogliendomi per un attimo dai miei pensieri e cercando di non innervosirmi ulteriormente! In questo è eccezionale, perchè mi accorgo che spesso altre persone aggiungono la loro voce alla tensoine esistente, chiedendo spiegazioni o lamentandosi, invece Emanuela accetta la situazione e cerca di affrontarla. Iniziamo a parlare della meta che ci aspetta, Leopoli. Diventa buio rapidamente e siamo ancora lontani dalla città. Non so di quanto perchè i cartelli non indicano distanze stradali e fatico a capire dove ci troviamo sulla cartina. I pochi distributori che vedo sono tutti chiusi, per fortuna abbiamo fatto benzina poco prima del confine. Ripenso ancora al cordone di persone che attraversava a piedi la dogana. Considerando che dal lato ucraino non c'era la benchè minima traccia di un negozio, l'unica soluzione è che siano gli ucraini ad andare in Polonia pre procurarsi il necessario per vivere. La strada è pessima: l'asfalto è a grana molto grossa, a tratti la sensazione che da' sulle ruote è quella dello sterrato. Anche la superficie è estremamente rovinata: prendiamo continuamente colpi a causa delle numerose buche. Non ci sono strisce nè al centro nè ai lati. I catarifrangenti sono assenti. In breve, nella notte, ci troviamo a passare lungo questa striscia nera di cui non si riescono a distinguere bene i bordi. Ho sempre paura di finire ai lati della strada, dove avevo notato esserci mucchi di sassi. Improvvisamente entriamo in un paese. La sensazione continua a essere angosciante: l'illuminazione è assente, troviamo decine di persone a vagare in mezzo alla strada e quando ci vedono si avvicinano per scrutarci meglio. In queste condizioni vedere decine di persone che si stringono verso di te mette incute davvero una strana sensazione, mista tra pericolo, oppressione e angoscia. Però non me la sento di continuare alla cieca. Faccio inversione e torno da un paio di poliziotti che avevo intravisto qualche centianio di metri prima. Li trovo nello stesso punto e gli chiedo dove si trova il ampeggio di Leopoli. Sono trasognati, sembrano non capire cosa gli sto chiedendo. Da sotto al cappello troppo grande per la sua testa, come tutta l'uniforme del resto, il più anziano si illumina di colpo e mi dice che mancano pochi km, lo troveremo sulla destra. Anche questo incontro non mi rassicura per nulla. Le uniformi di misure completamente sbagliate contribuiscono a darmi la sensazione di un Paese abbandonato a sè stesso. Torno indietro raggiungendo i miei amici che si erano fermati ad aspettarmi. Di colpo la strada, proprio all'altezza di quella che sembra la piazza centrale del paese, diventa sterrata. Per fortuna andiamo piano, altrimenti avremmo avuto problemi peggiori. L'illuminazione del tutto assente non ci permette di vedere il fondo della strada. Con nostro grande sollievo il fuoristrada finisce dopo pochi metri, ma questo è un altro tassello nella mia mente preoccupata! Usciamo dal paese e piombiamo di nuovo nell'oscurità più assoluta. Se ci fosse la luna, il suo bagliore sarebbe bloccato dalle fronde degli alberi che circondano numreosi la strada. Dopo pochi km vediamo un grande cartello sulla destra. Mi sembra di aver letto camping, ma a causa dell'oscurità l'ho visto all'ultimo momento e non ho fatto in tempo a leggere. Dico agli altri che torno indietro per controllare. Faccio inversione e verifico che effettivamente viene indicato un campeggio. Però c'è una stranezza: la strada indicata dal cartello sembra sbucare in un parcheggio per auto. Come sempre non mi perdo d'animo e mi infilo con decisione nel cortile. Sulla destra scorgo un cancello con alcune casupole all'interno. Quasi immediatamente mi viene incontro, dall'oscurità, una signora. Alla luce dei nostri fari inizia un "dialogo" un po' surreale. Immagino la sua sorpresa nel vedere dei marziani arrivare in quel posto dimenticato da Dio per giunta di notte! E' il mio primo vero colloquio in russo, inizio bene! Piu' che un colloquio, è un farfuglio. Le chiedo del campeggio, ma risponde che non è più lì, non esiste più. Sono molto deluso, oltre che un po' teso. La fatica della giornata e la forte impressione avuta da quel primo pezzetto di Ucraina si fanno sentire, e inizio a preoccuparmi per la notte, temendo di non riuscire a trovare una sistemazione. La signora rimane a guardarci. Insisto chiedendo se lì non ci fosse da dormire. Esita un po', poi inizia a indicarmi i bassi capannoni prefabbricati che intravedono alle sue spalle, illuminati dai fari delle nostre moto. A quel punto inizia un lungo discorso in russo di cui non capisco nulla, per fortuna Adriano mi viene in aiuto e dice che c'e' un problema con la luce. Di questo me n'ero accorto: non c'e'! Perchè continua a ripetermi luce? Non fa un passo, si agita continuamente, indicando le casupole, poi ripete sviet e "rimont". Consulto la mia àncora di salvezza, cioè il minidizionario di russio, che mi suggerisce "manutenzione". Inizio a capire: da circa 15 minuti la signora ci tieme bloccati li' per dirci che manca la luce: ma va??? In mezzo all'oscurità non me n'ero mica accorto! Rido poco elengamente e a gesti le faccio capire che non c'e' problema, abbiamo le pile e poca volgia di stare alzati fino a tardi! Però c'è ancora qualche problema. Inizia a parlare di "tualiet", i bagni. Cos'hanno ora i bagni? Spazientito dalla lunga giornata, dai km fatti da Cracovia e dalle 4 ore di dogana, le dico semplicemente di accompagnarmi a farmi vedere le camere. Capisce al volo e inizia a precedermi. Entriamo nel primo cpannone sulla destra, quello tenuto meglio a prima vista. Già questo primo impatto dovrebbe mettermi in allarme, è piuttosto squallido. Capisco che, oltre a lavorare nella reception, la signora vive lì. Entriamo nella sua stanza. E' piccola, l'unica nota di colore è data da un tappeto molto consumato, poi c'è una scrivania disordinata con il classico samovar per scaldare l'acqua per il tè, alcune librerie piene di scartoffie e un vecchio televisore. Alla fin fine non è male, speriamo per le camere! Dopo aver afferrato 3 chiavi, la seguo e usciamo nuovamente nell'oscurità. Ci dirigiamo verso le altre casupole. Cammina rapidamente, e inizia a parlarmi. Faccio finta di capire e annuisco a tutto ciò che dice, chissà cosa mi sta cihedendo! Ci addentriamo nel mezzo di bassi padiglioni prefabbricati che nell'oscurità fatico a valutare. Arriviamo di fronte a uno di questi a la signora apre la porta. Mi rendo conto che è mezza rotta, come tutto il resto d'altronde. Saliamo i pochi gradini che accedono al piccolo corridoio sul quale affacciano le stanze. Il pavimento, nascosto da un usuratissimo linoleum, flette sotto il mio peso. Luce o non luce, vedo una catapecchia! Le serrature delle camere sono lì per bellezza, con tutto il paradosso dell'espressione, poichè di "bello" non c'è davvero nulla! Il meccanismo scatta, ma i cardini sono talmente rovinati che si aprirebbe anche dando una spinta decisa alla porta! Vengo investito da un odore di stantìo, acre e dolciastro allo stesso tempo. Un misto di puzza sintetica, dovuto sicuramente all'onnipresente linoleum, polvere e chissà cos'altro. Mi fa capire che quella è una doppia. Ci sono 3 letti, uno è completamente sfondato. Le lenzuola sono strappate e le coperte sono macchiate in modo misterioso. Conto di terminare l'esplorazione insieme a Emanuela. Anche lei ha fretta di farmi uscire. Mi mostra un'altra camera, identica alla prima, e una terza, singola, destinata a Marco. Con un gesto distratto mi indica i bagni, ma mi fa capire che non sono in ottimo stato. Vabbè! Prima di tornare dagli altri, mi dice che la luce dovrebbe tornare nel giro di un paio d'ore. Non so se sia un bene o un male. Vedere con chiarezza una simile topaia temo che sia un vero shock! Tornando dai miei amici, che mi stavano aspettando all'ingresso, la signora mi dà l'ultima (spero!) "bella" notizia: l'acqua non c'è, "però c'è il pozzo, se volete vi presto un secchio". Mi porta dietro il suo capannone e mi mostra il piccolo pozzo. Agli altri dico che le camere ci sono, le descrivo brevemente e dico che non c'è nè luce, nè acqua, nè bagni. Se non altro il prezzo è ridicolo, sono circa 5mila lire a testa. Ci addentriamo con le moto nei vialetti e arriviamo sotto il nostro capannone. Con la luce del faro vedo meglio gli altri prefabbricati e vedo che il nostro è quello più "nuovo". Cerco di non pensare a come sono le stanze lì dentro! Iniziamo a portare dentro i bagagli. Il pavimento del corridoio fa davvero paura! Si piega in modo molto accentuato sotto al nostro peso, evidentemente le assi di legno del pavimento sottostante sono rotte. In alcuni punti le assi non ci sono nemmeno più: l'unica cosa che separa la terra dai nostri piedi è un metro d'aria e il linoleum. La camera, con i nostri bagagli, assume un aspetto più famigliare, ma rimane squallida. La puzza è molto forte, cerco di aprire la finestra ma ha un meccanismo strano, composto da una serie di guide e chiavistelli che non riesco ad usare. Alla fine tiro forte e si apre. Per l'altra finestra non c'è verso, non riesco ad aprirla. Cerco di muovermi il meno possibile, per non alzare la polvere scatenando in questo modo un attacco allergico che in queste condizioni sarebbe il colpo di grazia! Quello che prima avevo evitato di fare, ora naturalmente va affrontato. Vediamo i bagni. Le porte che distinguono i maschi dalle femmine sono semi-sfondate. Apro e mi trovo davanti a uno spettacolo spettrale! L'odore è terribile, fonde quello delle stanze a quello degli escrementi. Gli specchi sono quasi tutti infranti, i lavandini sono attaccati per miracolo alle pareti e mi basta gettare un'occhiata all'interno delle latrine per capire che è melgio non avvicinarsi. Intravedo di tutto. Cerco di consolarmi pensando a quanta gente fa campegigo libero, trovandosi nella nostra stessa sitiuazione: niente luce, nè acqua, nè bagni. Però almeno uno parte preparato! Dobbiamo pensare alla cena e gli unici ad avere un po' d'acqua siamo noi. Non sapendo quanto dista ancora Leopoli, l'unica è tornare al paesino che avevamo superato pochi km prima e cercar là. Non me la sento assolutamente di prendere la moto. Vanno Marco ed Adriano e gli chiedo se prendono una bottiglia anche per noi. Iniziamo a tirar fuori il necesario per cucinare, Manu è visibilmente contrariata dalla sistemazione, ma per fortuna non discutiamo. Si rende conto che avevaom poche possibilità di scelta. Dopo pochi minuti le moto tornano e scaricano qualche bottiglia d'acqua. E' la solita acqua frizznte disgustosa che avevamo bevuto lo scorso anno. Ma al momento va benissimo e iniziamo a cucinare. I risotti Knorr in queste situazioni di grande fatica e stress sebrano sempre ecellenti, e anche stavolta fanno il loro effetto. Improvvisamente torna la luce, con largo anticipo da quanto preventivato dalla signora. Come temevo, lo squallore ci aggredisce. Non sono abituato a fare tutto in mezzo al prato, per cui decido di lavarmi i denti nei bagni. Mi avvicino alla porta, e prima di entrare preparo il dentifricio sulle setole, un bicchiere d'acqua pre risciacquarmi. Tiro una profonda boccata d'aria. Entro di corsa, mi avvicino al primo lavandino e inizio a spazzolare. Appena inizio a sputare il dentifricio nel lavandino, sento degli schizzi sulle gambe. Mi affaccio sotto al lavandino, e vedo che ci sono due mozziconi di tubo, completamnte arrugginiti: uno sporge per un paio di centimetri dal lavello, l'altro sporge poco di più dal muro. Per il resto, solo aria e il mio dentifricio che cola dal mozzicone di tubo del lavello. Un altro odore si aggiunge alla "cacofonia olfattiva" che regna lì dentro. Purtroppo è tutto nuovo, nè io nè Manu abbiamo mai fatto campeggio libero. Anche lavare i piatti sulle prime sembra difficile. Per fotruna la signora ci ha lasciato il secchio. Decidiamo di andare a sperimentare il pozzo. Appena usciti ci accorgiamo che l'ex campeggio è abitato da un paio di cani. Sono magrissimi e ci marcano da vicino, sperando in qualcosa da mangiare. Arriviamo dietro la stamberga dove si trova la reception e vediamo un piccolo orto. Ok! Cerchiamo di capire come funziona un pozzo! Sono quasi elettrizzato, la novità mi diverte molto. Il meccanismo è semplicissimo, c'è una manovella collegata alla sbarra cui è attaccata la catena e, alla fine di questa, il secchio. Mi affaccio all'interno e vedo il riflesso dell'acqua pochi metri più in basso. Lascio precipitare il secchio, che si riempie, e inizio a tirare su. La facilità con cui sollevo il secchio mi inganna sul suo reale peso e quando lo prendo con le mani per rovesciare l'acqua nel mio secchio, non mi aspetto un simile peso, mi sbilancio e mi rovescio addosso un po' d'acqua! Ormai ho capito, calo ancora un paio di volte il secchio e riempio completamente il secchio che ci servirà per lavare i piatti nostri e degli altri. Finalmente mi fermo a riflettere sul pozzo e sul suo significato e mi sento un po' scemo. I ragazzi della mia generazione non hanno mai avuto a che fare con una realtà simile. Non so se sia un bene o un male. Inizio a rendermi conto davvero di vivere in una realtà "drogata" in cui cercano in tutti i modi di non farti pensare a cosa succede fuori da casa tua. Tutti i TG sono infarciti prevalentemente di cronaca nera, sfilate di moda e ultime uscite cinematografiche e musicali. E' una sensazione strana, penso a mio padre che sicuramente ha avuto a che fare con una situazione simile, alla sua generazione che più o meno ha vissuto la guerra e le sue distruzioni. E mi rivedo qui a giocare con il pozzo, come un bambino al luna park. Forse sbaglio a giudicarmi in questo modo, ma ho la sensazione che se la signora mi osservasse da dietro la finestra della sua stanzetta, avrebbe un sorriso amaro. Mi rendo anche conto che viviamo sommersi dal superfluo. In compagnia di questi pensieri, torniamo alla capanna, laviamo i piatti finalmente andiamo a dormire. Il giorno dopo ci svegliamo un po' tardi, Adriano e Marco sono già stati in città Dicono che è a meno di 20 km e che la strada di ingresso è terribile. Fortunatamente abbiamo i fazzoletti inumiditi e facciamo un po' di toletta in questo modo. Infati le creature che nuotano nel secchio appena riempito nel pozzo mi fanno rinunciare al solito, tonificante getto d'acqua fresca mattutino. La notte appena trascorsa, la luce del sole e la grande gioia di trovarci in uhn posto nuovo mi fa vedere tutto con occhi diversi. In fondo non è così male la nostra sistemazione, con poca spesa potrebbe essere riportato a condizioni vivibili, ed essere perfetto. Sleghiamo le moto, che la sera prima avevamo legato "a margherita" cioè abbiamo messo le moto a raggera e abbiamo legato tutte le ruote anteriori con una catena. Torniamo sullo stradone che la sera prima ci aveva portato dal confine con la Polonia fin qui. La sensazione che avevo, di camminare sullo sterrato, non era del tutto sbagliata. L'asfalto è a grana molto grossa e in molti punti si è rovinato, creando dei piccoli mucchi di sassolini. Le strisce non ci sono, la strada è delimitata da banchine in terra battuta. Lo scenario incui scorre la strada è molto suggestivo, siamo circandati sia a destra che a sinistra da altissimi filari di conifere. Mi accorgo però che si trovano solo lungo la strada, poicè poco dietro si aprono distese di campi coltivati. L'Ucraina ai tempi dell'Unione Sovietica era uno dei cosiddetti granai, cioè uno dei serbatoi di cereali e verdure da distribuire poi nelle altre Repubbliche. A grandi linee, l'economia dell'URSS era suddivisa in compartimenti più o meno stagni, per cui alcune repubbliche avevano il compito di produrre il cotone, altre di sfruttare i giacimenti di rame, o di petrolio, altre ancora di produrre frutta e verdura, e così via. Tutto il resto veniva importato dalle altre repubbliche. In quesot modo era in moto un meccanismo economico che più o meno funzionava. Con lo scioglimento dell'URSS tutte queste relazioni economiche si sono interrotte o, quanto meno, sono diventate capitaliste, nel senso che andavano pagate! I ricambi non arrivavano più, macchinari preposti alla lavorazione del rame, ad esempio, andavano in rovina perchè il rame veniva estratto in quella che adesso è un'altra repubblica, nella quale non ci sono più i soldi e i mezzi per trasportare il rame alle lavorazioni! Un cane che si morde la coda... Indubbiamente l'economia prevalentemente agricola che la storia ha lasciato in eredità all'Ucraina, insieme a strutture e attrezazture ormai fatiscenti e alla rottura delle relazioni commericali che sono esistite per più di 50 anni, dal momento della creazione dell'URSS nei primi anni '20, sono alla radice della grave crisi economica che il Paese sta attraversando negli ultimi 10 anni. Purtroppo devono importare quasi tutti i generi di prima necessità, compresa l'energia elettrica, nonostante abbiano diverse centrali nucleari, compresa la tristemente famosa Chernobyl, e la Russia è creditrice per milioni di dollari in energia elettrica, soldi che gli ucraini non possono restituire. Marco ed Adriano avevano ragione. Quando ci avviciniamo alle prima case, la strada diventa lastricata. I primi metri mi fanno ben sperare, sono sistemati molto meglio dei famigerati sanpietrini romani, ma dopo qualche centinaio di metri, diventano sempre piu' irregolari, fino a sembrare più ammucchiati alla rinfusa che non sistemati per creare un fondo stradale. Sembra come se li avessero divelti uno ad uno, e poi sparsi come i semi durante la semina. Tra un sasso e l'altro si incastrano anche le rotaie del tram, che in alcuni punti sporgono di molti centimetri, formando una piccola barriera metallica, e alcuni tombini. I tombini sono davvero inquietanti: molti sono notevolmente inclinati, e creano una specie di trampolino, mentre altri sono privi del coperciho di protezione, lasciando scoperto un buco nero. Ho un brivido pensando a quello che potrebbe succedere se dovessi finire con la ruota anteriore in una simile voragine! Sono indeciso se procedere lentamente o, come sullo sterrato, accelerare e cercare di "galleggiare" sulle asperità. Aumento l'andatura ma la schiena e i rumori secchi delle sospensioni della moto mi suggeriscono di rallentare. Passiamo accanto a un mercato alimentare, iniziamo a sentirci gli occhi addosso. Procediamo più o meno a caso, seguendo una cartina incompresibile che nei mesi di ricerche su internet prima della partenza, avevo scaricato e stampato. Alla fine arriviamo in quello che sembra il centro e cerchiamo una strada tranquilla dove parcheggiare. Fa caldo ed è un piacere passeggiare lungo le strade alberate! Finalmente senza moto, e noi senza caschi perchè legati alla moto, mi sento più un essere umano e non più un alieno. So di rimanere sempre riconoscibile, ma almeno non sento più il disagio fortissimo di essere fissato da *tutti*. La città è bella, testimonia antiche ricchezze nei bei palazzi, ora rovinati, ma non troppo. A Budapest vidi situazioni molto peggiori. E' arrivata l'ora di pranzo e, arrivando, abbiamo intravisto un Mc Donald's! Anche qui!! Marco è assolutamente contrario a quello che noi chiamiamo amichevolmente "Zio Mac", abbreviato in "Zio". Noi in questi anni abbiamo imparato a conviverci. La stitichezza del viaggiatore trova dallo Zio la sua sicura cura e alle volte è l'unico "ristorante" aperto. Decidiaom di separarci per il pranzo: noi 4 dallo Zio, Marco da solo. Poco prima di arrivare davanti allo Zio, all'altezza della vetrina immeditamente precedente, la sorpresa: un fast food all'ucraina! Tavoli per mangiare in piedi o seduti, e bancone in cui scegliere le pietanze già pronte. Felici per il compromesso raggiunto, ci fiondiamo dentro! Accodandoci alle tante persone in fila, inizio a sentirmi davvero contento! So di provenire da una realtà completamente diversa, nella quale tornerò a breve, ma in questo momento mi sto mescolando alle persone. Ho voglia di provare, di conoscoere, di assaggiare e di annusare! Dopo pochi secondi avviene il nostro primo incontro casuale. Si tratta di un signore sui 40 che si è accorto che siamo stranieri e mi rivolge la parola in un inglese perfetto. In pochi secondi ci ritroviamo seduti al tavolo, con lui che ci descrive la composizione dei vari piatti e ci consiglia quelli più buoni. Coe se non bastasse, quando tutti abbiamo scelto cosa prendere, si cala nella parte del cameriere e, nonostante le nostre rumorose proteste, va ad ordinare al posto nostro! Torna insieme al suo pasto e iniziamo a mangare tutti insieme. A me tocca una zuppa di ciu non capico bene la composizione, però è calda e buona. L'unica cosa che stona è un'erba aromatica dal sapore asprigno che ricopre interamente la superficie. Dentro ci sono verdure e pezzi di carne, e inzuppo volentieri il pane nero. Come secondo ho un po' di carne, molto saporita. Anche questa è ricoperta dall'erbetta verde, simile al prezzemolo ma più acidula. Il nostro amico, con un nome complicatissimo che alla terza volta che mi ha ripetuto ho fatto finta di capire, è ucraino emigrato da molti anni in Canada, per questo conosce così bene l'inglese. Però voglio allenare il russo, per cui lo prego di proseguire la conversazione in russo. Gli cihedo un po' della situazione dell'Ucraina e mi conferma la prima impresione che ho avuto, di una grave crisi economica. Gli chiedo anche quando, secondo lui, la situazione potra' migliorare, ma è pessimista. Finisco col cihedergli cosa pensa dei russi e come vengono visti dalla popolazione ucraina. Mi risponde che le tensioni ci sono, ma non sono esasperate come in altri paesi. Naturalmente mi vengono in mente i paesi baltici in cui la "minoranza" russa, che spesso supera il 30% dlla popolaizone complessiva, è stata privata dalle nuove costituzioni di molti diritti fondamentali, compreso quello di voto. E' comprensibile come in situazioni del genere le tensioni siano inevitabili. La conversazione prosegue piacevolmente, il nostro amico canadese ci fa anche notare che da quando siamo entrati, un poliziotto ci ha seguito sedendosi un paio di tavoli distante da noi. Continua a scrutarci in modo disinvolto, anche se, ora che ce lo ha fatot notare, si vede lontano un miglio che non è lì per mangiare. Non riesco a capire il motivo, il nostro amico dice che ci protegge da eventuali scippi che potrebbero farci. La risposta mi soddisfa poco, ma è la più plausibile. Dopo qualche minuto ci saluta, chiedendoci prima se ci serviva qualcos'altro. Si accorge che manca il pane e lo va a prendere! L'imbarazzo è forte. Marco ci trova immeditamente. Ora che siamo di nuovo tutti insieme e con lo stomaco pieno possiamo iniziare a fare un giro in città. Ci dirigiamo verso quella che arrivando in moto ci era sembrata la piazza principale, sulla quale si affacciano numerosi palazzi antichi e qualche chiesa. Mi colpiscono, in particolare, le iscrizioni in latino di una iscrizione sopra il portone d'ingresso di una chiesa. Sapevo che qui a Leopoli si trova una numerosa comunità cattolica, ma mi stupisce vedere delle chiese cattoliche in così buone condizioni, soprattutto dopo il lungo periodo di "ateismo di Stato" e ancor di più in terre a maggioranza ortodossa. Ammiriamo molti bei palazzi, e mi perdo nuovamente nei miei ragionamenti. Molte costruzioni testimoniano un'antica ricchezza, sicuramente erano case nobiliari e alto borghesi. Ora sono in cattivo stato, e fa un certo effetto vedere su un balcone adornato da splendide statue, dei panni stesi irriverentemente ad asciugare appoggiandosi alle statue stesse e, accanto, una antenna parabolica e diverse cianfrusaglie. Questa visione mi offre l'occasione di perdermi negli inizi della Rivoluzione d'Ottobre, quando i bolscevichi riuscirono a prendere il potere e a promulgare le prime leggi. Tra i primi provvedimenti ci fu, oltre l'enorme miglioramento delle condizioni lavorative e la creazione di cooperative per gestire le imprese confiscate ai proprietari, anche la ridistribuzione degli alloggi. Le famiglie borghesi che occupavano gli alloggi migliori e più costosi furono sfrattate e al loro posto vennero sistemate le famiglie operaie costrette a vivere nelle periferie, spesso nelle famigerate communalke, esistenti ancora oggi, cioè in alloggi multifamiliari, un po' come quelli in cui vengono ritrovati ammassati decine di immigrati nelle periferie delle grandi città italiane. Mi diverto a pensare allo scandalo e all'incredulità che all'inizio del secolo può aver suscitato un provvedimento del genere, e agli effetti che si sono avuti in realtà. Nei vari furori ideologici che hanno mosso i sovietici, a torto o a ragione, c'è sempre stata la movimentazione delle persone come se fossero oggetti, pedine di un grande gioco superiore. Si deve costruire una grande centrale elettrica in Tagikistan? Bene, si mandano 50 tecnici e centinaia di operai, con rispettive famiglie, a costruirle! Il socialismo richiede una parità e un'auguaglianza tra le classi, a partire dalle case? Perfetto, si prendono le famiglie che vivono da una vita nei loro quartieri e si sistemano nelle ricche case del centro, naturalmente divise per poterne dare i benefici a piu' famiglie. Mi infilo curioso tra le bancarelle che vendono un po' di tutto: giocattoli per bambini, libri e materiale di cancelleria (come sempre mi chiedo quando iniziano le scuole nelgi altri paesi, poichè vedo sempre, in pieno agosto, grandi campagne pubblicitarie su atricoli scolastici), prodotti per la pulizia della casa e della persona, e infine un campionario infinito di cianfrusaglie in mezzo alle quali infilo il naso contento come un bimbo, che si stupisce di tutto ed è entusiasta anche delle più piccole cose. Anche solo una scritta in cirillico, fa diventare bellissima una banale penna. Dopo aver comprato qualche libro, continuiaom la nostra passeggiata arivando nella piazza del vecciho mecato. E' molto bella, molti palazzi sono in restauro, non si riesce a capire da quanto. E' eonrme e al centro si trova il municipio che, immerso in un tale contesto, sembra piccolo. Passeggiaom lungo il perimetro della piazza e passiamo davanti a una farmacia che sembra essere molto antica. L'interno è completamente in legno e le pareti sono occupate interamente da eleganti scaffali che proteggono vasi di ceramica decorati, dove una volta venivano conservate le varie essenze mediche. C'è anche una vecchissima bilancia, perfettamente conservata e ancora funzionante. Proseguiamo la nostra passeggiata... (mo' pero' vado a dormi'!! ;)) ...infilandoci nei vicoli della città vecchia. Dopo qualche decina di metri sbuchiamo in un'altra piazza, più piccola di quella che abbiamo lasciato. E' dominata dalla mole di una grande chiesa. A giudicare dall'aspetto, priva com'è delle classiche cipolle ortodosse, e senza la croce tagliata, la classifico come di rito cattolico. A conferma di questa impressione, appena entro sono circondato da immagini del papa e da manifesti inneggianti al Giubileo del 2000. Ringrazio ancora una volta l'essere partito e penso a come può essere Roma, soffocata da migliaia di pellegrini sballottati dai loro pullmann, nel caldo umido estivo. Un altro dei motivi che mi fanno gioire l'estate è l'allontanarmi anni luce dalle mode estive, che trovo di una stupidità incredibile. Le canzonette ossessionanti, gli scandali di cronaca rosa e nera, le inchieste sulle abbronzature, sul Super Enalotto e le migliaia di modi possibili per spendere le ipotetiche vincite, le discussioni da ombrellone, i servizi più inutili possibili sulle vacanze dei VIP, ecc. ecc. Ogni anno torno ignaro e inconsapevole di quale è stato il "tormentone" dell'estate, di qualunque natura esso sia! Ascolto con indiffirenza e autocompiacimento un po' da snob le canzoni che ormai hanno nauseato tutti e mi intristisco un po', per essere tornato a queste banalità. Uscaimo subito, dato che l'interno della chiesa non è molto interessante, e ci dirigiamo in un vicino parco. All'improvviso vengo fulminato! Poco più avanti c'è un mercatino!! Adoro i mercatini, girare tra i banchi, vedere le cianfrusaglie che vendono, cercare di trovare uno scopo agli oggetti più curiosi e apparentemente inutili. Se poi hanno anche dei libri, è la fine! Sono capace di aggirarmi per ore tra i vri banchi, spulciando tra i titoli, cercando qualcosa che possa mai interessarmi, anche in un futuro. So già che fine fanno questi libri: ingrosseranno le già immense pile di libri comprati e mai letti che affollano la mia camera, surclassati da libri più recenti e da nuove passioni. Le merci sono poggiate per terra, sopra dei lenzuoli per non farli sporcare e i venditori sono quasi sempre seduti accanto, su delle piccole sedie, leggendo qualcosa. Non sono molto invadenti, almeno finchè non ti fermi davanti alla loro "bancarella". In questo sono molto diversi dai venditori del mercatino di via Sannio, a Roma. Quando passi negli stretti e bui vicoli ricavati in mezzo alle bancarelle, ti agganciano con un "Che te serve, a gggiovane? Na majetta? 'N jjjeans?" E ti seguono per i successivi dieci metri, in cui devi stare attento a non sfiorarli con lo sguardo, altrimenti è la fine, ti fermano del tutto e solo dopo una decina di minuti riesci a liberarti di loro. Per fortuna negli altri mercatini romani difficilmente si trovano venditori così invadenti e appiccicosi! Qui invece, per fortuna, i vecchietti si fanno i fatti loro. La merce più diffusa sono i libri, poi ci sono anche molti dischi, qualche spilla sovietica e altri oggetti assortiti. Si può andare da vecchi elettrodomestici, dall'aspetto "vissuto" che dà l'impressione di un lontano passato in cui funzionavano sì, ma adesso... Come al solito la mia attenzione è catturata da alcune cartine stradali. Sono dei piccoli atlanti stradali dell'Unione Sovietica e mi convinco immediatamente a comprarne uno perchè è fatto molto bene. Non appena dalle bancarelle vicine notano che ho comprato un atlante stradale, iniziano a chiamarmi sempre meno timidamente per farmi avvicinare alle loro "bancarelle", per esaminare altri atlanti assolutamente identici che cercano di vendermi. Ne compro un altro, stgavolta delle ferrovie sovietiche. Non si sa mai, si può sempre rompere la moto e in qualche modo dovrei pur proseguire! Continuando a spulciare tra i libri ne trovo uno magnifico! Si tratta di un piccolo manuale di conversazione russo/italiano. La struttura è pensata per i russi che vogliono imparare l'italiano, per cui le spiegazioni sono interamente in russo, poi ci sono le frasi tipiche russe, con accanto la traduzione in italiano e la pronuncia italiana, espressa con i caratteri cirillici! Bellissimo! Leggo divertito quelle che secondo gli autori del piccolo volume sono delle tipiche frasi italiane: "Grazie di regalo!", con le varianti in "Grazie di sera!" e "Grazie di cena!". Oppure, incontrando qualcuno, scopro che la frase più comune usata dagli italiani è "Guardate chi è!!" insieme alle più insolite "Non aspettavo d'incontrarLa qui" e la banale "Il mondo è piccolo!" Cerco di immaginare un russo alle prime armi con l'italiano esprimersi in questo modo fermando un vigile per chiedergli informazioni! Sospetto anche che il traduttore sia un mio concittadino, tradito dalle molte frasi storpiate dall'inflessione romanesca: "Lei non vorebbe..." oppure "Ha raggione Lei!". Appena leggo, nella sezione "Richieste di aiuto" la frase "Non potrebbe darmi la mano?", rischio di sentirmi male dalle risate e decido di leggerlo nelle settimane di vacanza successive, magari nei momenti in cui piove e fa freddo! Prima di chiuderlo lo scorro rapidamente e nalla sezione "Sorpresa. Irritazione" scopro la fulminante esclamazione "Dio Cristo!!". Immagino una signora russa impegnata nell'esclamare questa frase nel momento in cui le cade la guida turistica all'interno della Basilica di San Pietro. Questo libro è bellissimo, chiederlò alla mia insegnate di russo di adottarlo come libro di testo! Dopo aver bighellonato un po' tra tutti i lenzuoli, ed aver rifiutato almeno 5 atlanti stradali identici a quello che ho appena comprato, proseguiamo la passeggiata. Costeggiamo un bellissimo parco. I veicoli che saltano da un sasso all'altro in mezzo alla strada sono vecchissimi, ma ho l'ennesima conferma della praticità dei sovietici. Ricordo a questo proposito il discorso fatto con un mio amico pilota di aerei da turismo, riguardante le caratteristiche di quelli russi. Diceva che quelli fabbricati in URSS erano spartani, privi di comodità e rumorosi, però erano incredibilmente affidabili e longevi. La conferma ce l'ho guardando queste macchine con decine di stagioni e avventure scolpite nella lamiera. Resistere agli urti terribili, giornalieri sulle pietraie che attraversano la città, ai rigori del freddo, incuranti di ruggine e ammaccature, sicuramente carenti nella manutenzione, è qualcosa si straordinario. Ho l'impressione che le nostre auto occidentali, spesso più usa e getta che non realmente dei "mezzi di spostamento", non potrebbero resistere a lungo qui. Forse se ne accorgeranno anche i cosiddetti "nuovi ricchi", finalmente liberi di comprare le Golf o le BMW. Il pomeriggio sta finendo, così come la nostra passeggiata in centro. Lentamente ci avviamo alle moto, passando sotto la chiesa dei Cappuccini, che tante volte avevo visto, durante i mesi invernali, nelle foto su Internet. Fa sempre un certo effetto vedere e rivedere, imparare a memoria l'aspetto di alcuni monumenti, e poi ritrovarcisi sotto. Non riesco ancora bene a rendermi conto di dove sto passeggiando, lo trovo quasi normale. Forse il conoscere già l'aspetto dei luoghi che sto visitero' toglie un po' del sapore d'avventura che vorrei provare. Poi mi rendo conto che la realtà in cui sono immerso comunque non può essere riprodotta da nessuna fotografia, e mi immergo subito in un negozio per divertirmi un po' con il russo. Stiamo cercando di procacciarci il cibo, ma è tardi e molti negozi sono già chiusi o hanno terminato le provviste. L'unica cosa di cui sono pieni gli scaffali di tutti i negozi in cui siamo entrati finora è la vodka. La città è davvero molto carina, più la giro e più mi piace. Il vicolo che stiamo percorrendo si apre all'improvviso: siamo arrivati in una grande piazza, dalla forma molto allungata. A una estremità riconosco il teatro dell'Opera, sempre grazie alle fotografie di Internet. Per arrivare al teatro si passa attraverso una specie di viale ricavato all'interno della piazza. I lati sono occupati da due file ininterrotte di panchine, gremite di presone sia sedute, sia in piedi. Non capisco cosa fanno e mi avvicino per guardare. Giocano! Quelli più diffusi sono gli scacchi, ma molti giocaon a dama, altri a backgammon, o a domino. E' bellissimo vederli, i giocatori, seduti, si fronteggiano, studiando sia le mosse sia le espressioni dell'avversario. Sono concentrati, raramente si lasciano andare a una risata o una battuta. Tutt'intnrno alle panchine, vocianti e rumorosi, gli spettatori. Attorno ai giocatori più bravi sono assembrate anche più di 10 persone, che commentano e cercano di capire la mossa successiva. In fondo anche i pensionati italiani si impegnano in giochi simili. La tradizione italiana è più legata ai giochi di carte o di abilità come le bocce o il biliardo. Però, non so perchè, ma il vedere anziani impegnati e concentrati in una partita a scacchi o di backgammon mi piace molto di più! Forse perchè non so giocarci, e per questo li ammiro più del dovuto. Attraverso lentamente questo vialone, intrufolandomi in diversi capannelli cercando di sbirciare a cosa stanno giocando le persone sedute nelle panchine più affollate. Arriviamo sotto l'Opera. Sotto l'imponente costruzione, rifatta di recente, si trovano alcuni ambulanti che per pochi copechi fanno fare le foto ai bambini in groppa a giocattoli elettrici o abbracciati a enormi pelouche. E' la prima volta che vedo affittare dei giocattoli. Evidentemente sono oggetti che non tutti possono permettersi, e alcuni di quelli che li possiedono ha deciso di mettersi in affari prestando ai bambini, per qualche minuto, un sogno. Torniamo siu nostri passi e mi faccio tentare da una dei numerosissimi banchetti ambulanti che vendono bibite, gelati e altri dolci il cui colore è sufficiente a cariarmi i denti! Prendo un gelato, pagandolo l'equivalente di 200 lire. Mi accorgo che è semi liquefatto. Mi fermo a ragionare e capisco che è impossibile per quei piccoli frigoriferi ambulanti avere l'allaccio alla corrente. Probabilmente i proprietari dei banchetti escano al mattino con i gelati ben ghiacciati, pronti ad affrontare l'intera giornata. Ora è quasi sera, e il tempo e il sole hanno ammorbidito tutto. Immagino che anche le birre siano calde. Entriamo in un alimentari molto grande, ma solo all'interno ci accorgiamo che è quasi del tutto vuoto. Mi ricorda un negozio nuovo in cui sono appena finiti i lavori di ristrutturazione. Una volta usciti facciamo caso a un crocchio di persone che entrando non avevamo notato. Si accalcano intorno a un ragazzo che mostra un enorme coniglio in equilibrio su una scatola di cartone malandata che fatica a sostenere ilsuo peso. E' enorme, grande quanto 3 conigli normali messi insieme. Marco ipotizza si tratti di un coniglio gigante, dice di avrne sentito parlare anni fa dal padre. A me viene in mente Chernobyl e lo paragono a una delle mutazioni che avvengono anche a Springfield, la cittadina nucleare dei Simpson della TV. Siamo tornati nei pressi del Mc Donald's, dove qualche ora prima avevamo incontrato Valdimir. Accanto all'Hotel George c'è un altro alimentari che sembra molto fornito. Entriamo e ci mettiamo in fila per il pane. Dopo un paio di minuti, un ragazzo mi rivolge la parola in un italiano molto stentato, poi prosegue in russo. Gli chiedo dove ha imparato l'italiano e risponde che suo fratello vive e lavora ad Alessandria, e che spera di raggiungerelo al più presto. Si mette a ridere per come chiedo il pane, mi corregge, ci saluta e se ne va. Un altro ricordo umano, di una persona che vive con il mito dell'Italia. Non riesco a condannarlo, probabilmente anch'io al posto suo farei lo stesso. Però secondo me molte persone hanno un vero e proprio mito pre l'Occidente, sono pronti a disconoscere e negare qualcunque aspetto positivo della loro società, come se fosse carente e priva di tutto, in un delirio di un atavico senso di inferiorità, creato ad arte, mi verrebbe da dire, dai ricchi borghesi capitalisti nemici della Rivoluzione. Cerco di scacciare dalla mente questa retorica sovietica, mi guardo intorno e mi rammarico per questo uccello che ormai ha chiuso le ali e non tenta nemmeno più di volare, ricordando il testo di una vecchia canzone di Gaber sull'argomento. Mi diverto ancora un quarto d'ora con il mio dizionario, chiedendo le cose più incredibili e sfoggiando una pronuncia degna di uno a cui abbiano appena tolto tutti e quattro i denti del giudizio! Torniamo alle moto, che troviamo circondate da diverse persone incuriosite dalle nostre astronavi parcheggiate come se niente fosse in mezzo alle strade del Pianeta Terra. Salire in sella dopo una lunga camminata è rinfrancante come poche cose! Le gambe si ammorbidiscono e si rilassano, e la schiena finalmente può riposarsi! Per tornare nella bettola, ehm, all'albergo, Manu ed io decidiamo di seguire un piccolo itinerario alla ricerca degli ultimi monumenti segnalati sulla cartina ma che ancora non abbiamo visto. Come se fosse il centro di Leopoli, ripassiamo per l'ennesima volta davanti allo Zio, e stavolta ci fermiamo noi maschietti per andare al bagno. Quando torniamo fuori troviamo le moto e le ragazze circondate da una piccola folla di curiosi, compresi un paio di poliziotti che mi chiedono di fare una partenza bruciante! Ci perdiamo nelle stradine del centro storico, impegnati in quello che sembra più un raid da fuoristrada che non una passeggiata! Le buche sono enormi e le onnipresenti rotaie del tram non sono asfaltate all'interno. Questo significa che tra i due binari ci sono le traversine, come quelle dei treni. Il dislivello con l'asfalto è di molto centimetri e, oltre al salto, le traversine finirebbero l'opera di distruzione del mezzo. Mi chiedo in quanti abbiano distrutto semiassi e quant'altro incastrandosi lì in mezzo. Gli unici punti in cui anche l'interno delle rotaie è asfaltato è in corrispondenza degli incroci. Mi fermo a riflettere che, in fondo, questo è il modo migliore per preservare le corsie preferenziali! Finalmente ritroviamo la strada che ci porta fino alle baracche dove dormiremo anche stanotte, in attesa della partenza per Kiev prevista domani mattina. Per fortuna c'è ancora luce e riusciamo ad evitare le buche più grandi, compresi i terrificanti tombini scoperchiati. Lungo la strada del rientro, in un punto largo otto corsie, Marco finalmente riesce a dar fiato al motore, producendosi in una lunga accelerata. Mi accorgo solo quando mi sfrecciano accanto, che in realtà, per scherzo, si è messo a correre con una macchina guidata da un ragazzo! Lungo la strada, poco fuori città, per curiosità mi fermo in un motel che avevo notato la mattina all'andata. Il prezzo che mi propone il proprietario è esorbitante, mi chiedo chi possa mai andare a dormire lì! Il posto è effettivamente carino, si direbbe appena costruito, però si trova in una località non molto turistica, per giunta fuori città e con dei prezzi alti. In fondo ci siamo quasi abituati, per non dire affezionati, alle nostre baracche fatiscenti, al pozzo, ai cani che ti seguono a pochi millimetri di distanza, sperando in una briciola di cibo, alla signora della reception che ormai sembra più una mamma che non un'albergatrice e al pavimento della baracche che secondo me questa sera mi inghiottirà in un buco nero. Naturalmente foderato di linoleum! La serata si svolge come al solito: risotto Knorr, di quelli tanto odiati dall'amico di Manu, due chiacchere, un po' di musica e poi a nanna! L'aspettativa è grande, domani è prevista la tappa fino a Kiev. Sono contento di attraversare l'Ucraina, spero di farmi un'idea piu' prcisa della situazione del Paese, anche se mi sto convincendo sempre di piu' che questo non è il modo giusto di viaggiare. Almeno non come lo vorrei fare io. Purtroppo anche la moto, per quanto un mezzo che ti permette di venire a contatto con la realta' che ti circonda, molto piu' dell'auto, rimane pur sempre un mezzo che ti permette di muoverti velocemente senza "mischiarti" troppo con le persone. Negli ultimi anni si è fatto sempre più vivo in me il desiderio di conoscere le persone, capire le culture, i modi di approcciare alla vita. Forse può sembrare inutile, perchè anche nel caso incui dovessi realmente capire una briciola del modo di pensare di qualcuno, in ogni caso sarebbe fine a se' stesso. Vivo in una realtà (e mi verrebbe da dire purtroppo) che spesso è l'esatto contrario di quella in cui mi sono temporaneamente immerso, e il "fuggire" subito dopo aver ascoltato può sembrare inutile. Però l'uomo mi attira, le sue diversità, le diverse filosofie. Per esempio la concezione dle tempo è un argomento interessantissimo. La cultura occidentale lo vede come una risorsa preziosissima, non a caso lo si definisce analogo al denaro, mentre non dappertutto è così, anzi! Fortunatamente non sono mai stato vittima dell'orologio, forse perchè ho scelto deliberatamente, ormai da molti anni, di farne a meno. Però rimane comunque un assurdo, per noi, impiegare una giornata per fare qualcosa che noi faremmo (o faremmo fare, che è ancora diverso!) in poche ore. Il pensiero più comune sarebbe quello di classificare una persona del genere come "lavativa", uno che non ha voglia di lavorare. La convinzione che si sta facendo strada in me in modo smpre più deciso è che per consocere meglio, non dico bene, ma meglio, i posti in cui ci si trova a vaggiare, il modo migliore per farlo è quello di usufruire dei mezzi di trasporto locali. Ad esempio i treni, o i pullmann. Si sentirebbero i discorsi delle persone, si capirebbero le reali difficoltà o i pregi delle società, i modi di comportarsi. Le volte che mi trovo a viaggiare da Roma a Torino per andare a trovare la mia fidanzata, mi trovo spesso ad osservare ed ascoltare i miei vicini di viaggio, notando le differenze esistenti tra le persone, a seconda della loro cultura originaria. Per cui si differenzia il torinese da una generazione, in quanto "trapiantato" dal Sud, da quello che ci tiene a far vedere che è un VERO torinese (cosa voglia significare non l'ho ancora capito), fino all'immigrato "di fresco". Tutte queste persone hanno modi di approcciare alle altre persone, di parlare, di comportarsi molto differenti l'uno dall'altro, e viaggiando in un omdo che non ti metta in contatto diretto non ti premetterebbe mai di cogliere certi dettagli. Fortunatamente la moto è una buona via di mezzo, spesso si trasforma in un modo unico per attaccare discorso con le persone. Poi dipende molto anche dall'atteggiamento di chi viaggia. In fondo è anche vero che se non si è disposti al confronto, si può anche viaggiare a piedi senaz riuscire a guardarsi intorno. Però inizio a desiderare di fare un viaggio lungo sfruttando solo mezzi locali: treni, pullmann, traghetti. Se poi dovessi trovarmi male, almeno mi passerebbe la voglia e non ci penso più! La sveglia è concordata intorno alle 8, per fortuna i miei amici mi vengono incontro consocendo le mie abitudini poco mattiniere. La notte calavelocemente, non prima di aver ammirato un meraviglioso cielo stellato. Lo stare fuori città ha i suoi vantaggi. Mi sento improvvisamente in un luogo sperduto, lontano da tutto e da tutti, anche se sono in mezzo a una serie di fatiscenti baracche. Godo del silenzio assoluto, della brillantezza secca e limpida delle stelle, del fruscio del vento tra i rami e della sensazione unica di sentirsi "lontano", "in viaggio". Stiamo dormendo da un paio d'ore quando sentiamo improvvisamente musica ad alto volume e il rumore di una macchian che si ferma a pochi metri dalla nostra baracca. Il tempo di capire chi sono e dove mi trovo, mi alzo e come un perfetto James Bond scosto di pochi millimetri il bordo della tenda, guardnado fuori. Vedo il muso di una macchina di grossa cilindrata, di lusso (forse una BMW) ferma all'incrocio formato dalle 4 baracche del nel nostro albergo di lusso. Sembra quasi non facciano nemmeno caso alle moto. Sono legate a pochi metri da loro, verso destra. Non le degnano di uno sguardo, sono impegnati a scherzare e a confabulare tra loro Scorgo 2 ragazzi che erano già scesi dall'auto e arrivano a piedi da dietro, poi dal sedile posteriore vedo una gamba lunga due metri. Esce una ragazza molto bella. Poi un'altra. Ma quanti sono?? La musica ad alto volume e la lontananza da qualsiasi possibilita' di aiuto iniziano a farmi fantasticare. Già vedo la trama di una rete di informatori che hanno spifferato ai nostri mafiosetti della presenza di 4 stranieri a bordo di grosse moto. L'ideale per il piccolo pappone in erba, con una carriera da mofioso davanti. Ho già fatto tutto li film, di loro che iniziano a giocare con le moto in modo sempre più "pesante" e di noi che non sappiamo bene come reagire, peche' in certi casi le reazioni sono del tutto imprevedibili. Mentre continuo a vedere il mio film, loro sembrano mettersi d'accordo su non so cosa, poi una coppia di allontana dal gruppetto e si avvia vderso l'ingresso della nostra baracca. L'altro ragazzo fa un giro intorno alle moto, poi torna alla machcina, rimasta con stereo acceso, portiere aperte e fari accesi. I passi pesanti dei due rimbombano nella camera e le porte sbattute ci fanno capire che stanno cercando una stanza vuota. Fortuna vuole che scelgano proprio quella confinante con la nostra. Dopo un paio di minuti, passati alla finestra giuardando le mosse degli altri, iniziamo a sentire gemere, nell'ordine: la ragazza, il ragazzo, il letto, il pavimento, la baracca intera! Sembra l'audio di un film porno, gemiti e lamenti esasperati e quasi urlati, come a confortare lui sull'esattezza delle sue mosse. Fortunatamente dura poco, nel giro di 5 minuti emettono all'unisono un ululato di gioia e piomba il silenzio più assoluto. Come a rispettare il loro momento di estasi, i ragazzi all'esterno hanno spento lo stereo pochi istanti prima dell'orgasmo. In breve sentiamo nuovamnete i loro passi: tornano alla macchina. All'improvviso com'erano arrivati, ingranano la retromarcia e scompaiono nella notte, accendendo di nuovo l'autoradio. L'emozione provata è forte, fatico a riprendere sonno. Quando suona la sveglia ho ancora vivo il ricordo dell'episodio e non vedo l'ora di parlarne con i miei amici. Esco nel corridoio e l'odore familiare del caffè mi accoglie: Marco è già sveglio da tempo e, dopo aver preparato tutti i bagagli, si concede la colazione. Ha sentito i ragazzi solo quando sono entrati nella nostra baracca e, molto più coraggiosamente di me, è uscito a vedere chi era, quanti erano e cosa stavano facendo. Noi non abbimao sentito la sua porta aprirsi, sicuramente sono stati i gemiti della ragazza a coprire il rumore di Marco in perlustrazione. Invece Adriano e Ombretta non hanno sentito nulla. La macchina, le sgommate, la musica ad alto volume? Niente! La luce del sole ha il potere di migliorare tutto e la scenetta mia e di Manu in piedi che ci guardiamo da dietro il millimetro di tenda alzato, mentre cerchiamo di capire le intenzioni dei nostri "assalitori", mi fa sorridere! Carichiamo le moto, saluto la signora (nei due giorni che siamo rimasti lì ho visto almeno 3 signore, tutte diverse con nessuna che sembrava consocere le altre. ma quante sono a tenere quelle baracche?) e usciamo in strada. Ieri, tornando dalla città verso l'albergo avevo notato un distributore in corrispondenza di una grande rotonda, in cui una delle deviazioni porta a Kiev. Come molte altre volte in queste situazioni, assaporo e allungo questi momenti che precedono una partenza. Sono quelli più belli, hai molte aspettative, sei carico e pieno di energia e hai un mondo nuovo da vedere. Il benzinaio è come quelli vecchi che trovammo nei paesi baltici e in Russia l'anno scorso. Il funzionamento è più complicato, io ne ho un vago ricordo per i nostri vecchi distributori di miscela. Chiedi un certo numero di litri, tramite una leva vengono pompati non so bene dove, e poi si può usare la classica pistola. La procedura è questa: cerchi di capire quanti litri può contenere il serbatoio per arrivare più o meno al pieno, vai al gabbiotto super-blindato dietro cui è trincerato un impegato di cui non si vede nemmeno la faccia, ti piehi verso l'ignoto urlando il numero di litri, il tipo di benzina e il numero della pompa che vuoi, una voce metallica ti dice l'importo, inserisci i soldi in un marchingegno ogni volta differente, e ti rechi alla pompa. Una volta lì preghi che tutto sia andato a posto, abbassi una leva e attivi la pistola. Insomma, un self service un po' più complicato dei nostri. Fatta benzina arriviamo di nuovo alla rotonda e prendiamo stavolta a sinistra. Direzione Kiev! La strada quasi subito si restringe molto, diventando a due corsie non molto larghe, un po' più della nostra Cassia. L'asfalto peggiora rapidamente. E' un susseguirsi di "increspature" dell'asfalto che provocano colpi secchi e duri sulle sospensioni e sulle nostre schiene. Non so bene dove mettermi per evitare questi "rompivelocità". L'effetto mi ricorda i classici dossetti fatti nelle vie residenziali per far rallentare le macchine. Qui però i dossi sono molto più stretti, ma ugualmente fastidiosi. Purtroppo questi piccoli dossi attraversano la strada in tutta la sua larchezza, non ci sono zone lisce. E' un susseguirsi di TUM-TUM-TUM! Inizio a desiderare una moto da enduro, dalle sospensioni a corsa lunga. Si affaccia anche l'altra mia paura tipica dei viaggi: la rottura dei supporti delle valigie. Ogni anno, prima di partire, li controllo accuratamente per capire se stanno cedeno oppure no. Ricordo di aver letto un racconto di viaggio di un motociclista cui si era rotto l'attacco di un baule, e mi fece pensare che in una situazione del genere non saprei come comprtarmi. Gli attacchi sono fatti in modo tale che se se ne rompe uno, non riesci più ad agganciare la valigia, che dal canto suo ha delle dimensini tali da non poter essere portata in nesusn modo, nè in braccio, nè legata da qualche parte. Per cui temo per le valigie, e inizio un gioco con Emanuela in cui le chiedo la situazioni bagagli dopo ogni botta particoalrmente dura. BAMMM! "Situazione?" "Una passeggera e 3 valigie!" "Bene!!" Dopo qualche decina di km trascorsi chiaccherando con Manu e guardando il piatto paesaggio circostante, mi accorgo che da un po' di tempo vedo gli specchietti vuoti. Rallento molto ma dopo qualche km devo fermarmi: non arrivano. Rimango fermo qualche minuto, vengo sorpasasto da alcuni camion che mi fanno dei gesti. Immediatamente inverto la marcia e torno indietro. Li incrocio quasi subito, sembra tutto ok. Appena ci fermiamo mi dicono che Marco si è dovuto fermare per fissare melgio i bagagli. Le sue valigie sono del tipo morbido, fissate con delle corde alla sella e alle fiancate della moto. Oltre a queste, al posto del passeggero ha legato una serie di pacchi tenuti insieme con gli elastici. Tutte le buche che stava prendendo gli stavano facendo cadere tutti i bagagli e si è dovuto fermare a fissare meglio i bagagli. Il paesaggio è piatto, prevalentemente sono campi coltivati. Da molti km non incontriamo più nessuna altura, nemmeno modesta. E' tutto piatto, fin dove l'occhio si perde.
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