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 Diario di viaggio Marocco 2003

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Diario

Giornate:
18 novembre 2003
19 novembre 2003
20 novembre 2003
21 novembre 2003
   

Essaouira

 

Struscio essaouirese
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Essaouira

 

Porta incastrata
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Essaouira

 

La torre dell'orologio
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Essaouira

 

Pino montano al mare
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Essaouira

 

Prove di colore
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Essaouira

 

Gabbiano a passeggio
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Essaouira

 

Gabbiani notturni
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Essaouira

 

Inizia la giornata!
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Essaouira

 

Monumento al gabbiano
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Essaouira

 

Appostamento
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Essaouira

 

Imbiancami!
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Essaouira

 

Porte gemelle
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Essaouira

 

Plaza Major
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Essaouira

 

Scogli alla rinfusa
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Essaouira

 

Fortino sul mare
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Essaouira

 

Occhio ai pirati!
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Essaouira

 

Roccaforte marittima
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Essaouira

 

Nessun avvistamento
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Essaouira

 

Spiaggia per soli gabbiani
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Essaouira

 

Gabbiani in picchiata
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Essaouira

 

Accerchiamento di gabbiani
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Essaouira

 

Vista con gabbiano
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Essaouira

 

Yacht di lusso
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Essaouira

 

Porta al porto - 1
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Essaouira

 

Consulto portuale
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Essaouira

 

Porta al porto - 2
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Essaouira

 

Manca l'acqua!
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18-11-2003 “Ozio nella splendida Essaouira”
Fuori è buio, spero non ci sia ancora brutto tempo. Apro le imposte e scopro che il sole è ancora alle spalle dell’albergo.
Il cielo è limpido, luminoso come nelle prime giornate primaverili, quando tutto esplode di vita.
Le candide mura sono scaldate da una calda luce ancora radente.
Una grande gioia si impossessa di me, voglio fare 1000 cose! Scaccio il pensiero che domani a quest’ora starò correndo verso Tangeri per raggiungere il traghetto.
Faccio colazione nella piazza di ieri sera. Dopo pochi minuti si siede al mio tavolo un ragazzo alto e robusto, dal viso allegro. Non capisco il nome, ma continuiamo a parlare. Rompe il ghiaccio con il solito:
“Tu non fai il Ramadan?”
“Eh no!”
Rido mentre addento una lunga fetta di pane croccante con burro e marmellata. Risponde con l’altrettanto ovvio e immancabile:
“Fa bene alla salute!”
“Lo so, ma gli italiani non lo fanno. Tu lo fai?”
“Sì, da 4 anni!” risponde soddisfatto.
“Come da 4 anni? Soltanto?” chiedo incuriosito.
“Sì, prima ero buddhista.”
La questione si fa interessante.
“Come mai buddhista? I tuoi genitori lo sono?”
“No, solo io ero buddhista!”
“Perchè?”
“Perchè i buddhisti possono bere, fumare, scopare e non fanno il Ramadan! Fanno quello che vogliono!”
“E gli altri musulmani di qui cosa ti dicevano?”
“Nulla, non gli interessa quello che faccio.”
“E poi perchè hai cambiato?”
“Perchè ho capito che la vita che facevo prima era nulla!” e accompagna le parole con un gesto che indica frivolezza, inutilità.
A parte il fatto che lo sfido a bere in Marocco... Ho provato a cercare una birra anche qui, niente da fare!
Poi mi stupisce la scelta religiosa fatta in base a quello che ti permette e ti proibisce.
Si racconta che anche Jaroslavl’ I, il mitico re dell’antica Rus’ kieviana, fu posto davanti alla scelta tra cristianesimo e islamismo. Dopo essersi fatto illustrare le prerogative delle due dottrine scelse immediatamente la prima in quanto non proibiva gli alcolici! Da buon russo...
In altre parole, mi stupisce il fatto che si debba forzatamente aderire ad una religione, che non se ne possa fare a meno.
Dal suo punto di vista, non avendo credo si è liberi all’ennesima potenza, non esistono vincoli o prescrizioni, a parte quelle della legge.
Però, forse, entrerebbe presto in gioco, e pesantemente, il dover pensare con la propria testa. In assenza di una liturgia prefissata che ti guida, ti ostacola, ma facendolo ti sorregge e ti rassicura, in assenza di questo occorre costruirsi una propria morale, un proprio codice di comportamento, una propria filosofia. Può essere più o meno restrittiva rispetto a quella delle religioni più diffuse, però è un passo necessario. Più si è convinti di questa scelta, più diventa faticoso, sia la costruzione della propria essenza, sia il confronto con gli altri, forti di una risposta preconfezionata per qualsiasi questione.
“Quindi da 4 anni sei musulmano?”
Si allarga in un sorriso soddisfatto e annuisce.
L’argomento lo stanca e passa al vero motivo per cui si è seduto accanto a me.
“Vuoi hashish?”
“No, grazie, ce l’ho.”
“Kif? Oil?”
Non indago su cosa sia l’“oil” e rispondo “no” su tutta la linea. Penso a come tutti si professino musulmani, non bevano nemmeno una birra (almeno pubblicamente) e poi si sparino canne spacciando appena possibile.
Bene avrebbe fatto, il Profeta, a pronunciarsi anche su questo. A meno che non l’abbia fatto, ma venga bellamente o opportunisticamente ignorato.
Saluto il mio amico, che mi dà un’ultima informazione utile:
“Oggi le banche sono chiuse perchè è l’anniversario dell’Indipendenza.”
Vado al porto, ci sono molti turisti. Salgo sulla “sqala”, un’antica fortificazione. Mi incanto ad osservare per molto tempo il volo dei gabbiani. Soffia un forte vento dal mare, sufficiente a sostenerli in miriadi di acrobazie e per farli planare fin quasi sopra la mia testa.
Una signora di mezza età, arrampicatasi fino alla mia postazione, mi rivolge la parola in perfetto italiano:
“Buongiorno!”
“Buongiorno! È italiana?”
“No, sono del Galles, ma ho visto la tua guida in italiano.”
“Ah! Come mai parla così bene italiano?”
“Purtroppo non lo ricordo più molto, sono stata alcuni anni tra Rapallo, Lerici, Sestri Levante.”
“Zone meravigliose!”
Nel frattempo sale anche il marito.
“Piacere, Fabio!”
“Peter”
“Cynthia”
Mi dicono che fino a ieri il tempo era stato pessimo. Allora aveva ragione il Grande Jettatore! Ieri, tra le molte cose che mi ha detto, quando ha saputo che ero determinato ad arrivare fino ad Essaouira, mi aveva avvertito:
“Oggi sono arrivati da me alcuni miei amici francesi che stavano lì e mi hanno detto che piove e fa molto freddo.”
Naturalmente non gli avevo dato il minimo credito.
Ci salutiamo, proseguiamo ognuno per conto proprio.
Voglio raggiungere i bastioni della vecchia città che ho ammirato fino ad ora. Alte mura merlate costruite sugli scogli a pochi metri dal mare.
Continuo a notare molti lustrascarpe, di ogni età, e moltissimi mendicanti. Probabilmente visto che la città è piccola e molto turistica, verranno anche dalla campagna.
La stradina costeggia le mura dall’interno, è larga un paio di metri e stretta dalle mura di cinta alte almeno 5 metri da un lato e dalle abitazioni alte anche il doppio, dall’altro.
Dev’essere un riparo piacevolissimo dal calore estivo, ora invece è un po’ fredda.
A metà strada vengo fermato da un ragazzo che espone alcuni suoi dipinti. Indossa una giacca di lana di cammello praticamente identica alla mia, che vende a 1/3 di quello che l’ho pagata a Zagora.
Scrivo un sms a Katia. Mi risponde che ho fatto del bene e che con i miei soldi hanno comprato due capre. Se Katia sapesse quante capre e quanti altri animali hanno nella loro tenuta di Oulad Driss...
L’artista ha 25 anni, sposato con 3 figli. Alcuni quadri sono carini. Uno in particolare è grazioso, inizia la contrattazione a 350 Dh. A furia di scambi di battute e prezzi lo prendo a 120 Dh, lo regalerò a mio fratello.
Torno sul lungomare, avevo visto una bancarella con del pesce fresco che dava la possibilità di cucinarlo sulla brace e mangiarlo subito. Ci sono granchi, gamberi, seppie, sogliole e altri pesci. Scelgo un granchio enorme, pesante 8 etti. Si muove ancora.
Dopo un quarto d’ora è pronto, diviso in quattro parti e con una infinità di zampe. Sono impegnatissimo ad estrarre ogni stilla di gustosa carne e non mi accorgo che proprio al mio fianco sono seduti da un po’ Cynthia e Peter. Mi racconta che è stata in Italia per un po’ di mesi negli anni ’70, dopo l’università.
“Allora era facile, si poteva. Adesso è molto difficile.”
Hanno 3 figlie, tutte laureate. Le due più grandi vanno a fare le volontarie in Sud America e in Africa. Le racconto di Katia e vengo a sapere che anche le sue due figlie volontarie sono insegnanti. Mi convinco sempre più che è una vita che mi piacerebbe fare.
Mi ci vuole quasi un’ora per concludere la battaglia col granchio. Peter impiega meno della metà! Ci salutiamo nuovamente.
Mi arrampico sul bastione a nord delle mura. Il mare si infrange in grandi esplosioni di schiuma che viene trascinata via dal vento.
Mi immergo nel souk. Di nuovo macellai con carne appesa all’aria aperta, banchetti odorosissimi di menta, spezie, verdure, vecchietti con sveglie perennemente in allarme e orologi digitali stesi su un lenzuolo per terra. Carretti trainati dagli onnipresenti asini o da rassegnati uomini, donne velate, mendicanti. Questi ultimi mi colpiscono soprattutto in una breve galleria d’accesso alla medina. È un basso passaggio con 6 nicchie, 3 per parte. In ciascuna di esse è accoccolato un uomo o una donna con la mano tesa, come in una drammatica galleria della miseria umana.
Torno in albergo e crollo mezz’ora sul letto.
Vado in spiaggia a prendere un po’ di sole. La bassa marea ha scoperto una vastissima spiaggia sabbiosa dove si improvvisano molte partite di calcio. Mi appoggio ad un muretto in pietra e vengo avvicinato da Mohammed:
“Sì, ma per i turisti mi chiamo Jacques, mi piace di più!”
Ha 21 anni, vende paste, dolci e biscotti su un piccolo vassoio di legno riparato da un foglio di plastica trasparente.
“Ho paura a comprare roba da mangiare, perchè a Marrakech sono stato malissimo!”
“Marrakech è uno schifo, ho lavorato in un paio di ristoranti là, ai turisti servono di tutto. Per loro no, cucinano bene, ma ai turisti danno cose vecchie di giorni. Ma la mia roba è freschissima! Parola mia, amico!”
Mi offre un biscotto, è molto buono. Ne prendo 4 e chiacchieriamo ancora un po’.
“I marocchini in Italia lavorano tutti per la mafia! Vendono droga” mi dice.
“Sì, ma anche qui...”
“Non c’è lavoro! Molti lavorano anche per la polizia!”
“Cioè?”
“Stanno in giro e guardano. Se vedono qualcuno che vende o che ha la droga lo vanno a dire alla polizia.”
Tremo al pensiero di tutte le volte che ho mostrato il mio pezzetto di hashish a chi voleva vendermene dell’altro.
“In Italia è molto pericoloso lavorare nella mafia” gli dico.
“Perchè?” mi chiede perplesso.
“Perchè muoiono in molti: uccisi dalla polizia o tra di loro.”
“Davvero?? Qui ho lavorato un paio d’anni per la mafia, non è pericoloso. Lo fanno in molti, non c’è lavoro!”
Mi lascia all’ultimo sole. Domani a quest’ora sarò sul traghetto.
Voglio vedere il tramonto dalle fortificazioni. Mentre vado il disco scompare dietro l’orizzonte. Scatta una sirena antiaerea come quella di Ouarzazate. Aveva ragione Idriss di Telouet!
Sui bastioni incontro di nuovo i miei amici gallesi. Mi raccontano che in albergo sono nella camera 13, numero sfortunatissimo per gli anglosassoni.
“Io alloggio nella stanza 17, numero sfortunatissimo per gli italiani!”
“Ma come farai domani ad essere per le 13 a Tangeri?”
“Non so, mi sveglio presto e corro, Insciallah!”
Mi augurano buona fortuna e ci scambiamo le mail.
Torno in albergo e preparo lo zaino che terrò in nave, con il necessaire per il bagno e poco altro.
Cenetta in piazza, stavolta all’esterno e non nel salotto dei piaceri.
Mi ritiro presto.

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19-11-2003 “Corsa contro il tempo per il traghetto: Essaouira - Tangeri”
Sveglia alle 5:30, butto giù dal divano il portiere notturno che a sua volta butta fuori me con tutto il bagaglio, richiude e torna a dormire.
Guardo il cielo che lentamente si schiarisce, le stelle si indeboliscono. Passa dal nero al rosa, all’azzurro.
Saluto Essaouira che lentamente si risveglia e riprende il carosello di uomini che trainano i loro piccoli carri a due ruote dalle piccole sponde.
Li ho visti quasi sempre vuoti, non so se li portano in giro come portafortuna o se effettivamente li usano. A Guelmin ricordo che Lhassen ne aveva affittato uno per portare la ciclopica spesa acquistata al mercato.
Lascio questa bellissima città col desiderio di tornarci quando potrò.
Superate delle basse colline si apre un’ampia vallata resa eterea da una bassa nebbiolina che confonde i contorni e li relega ancora nel regno dei sogni. Alle spalle delle montagne all’orizzonte il sole si preannuncia con colori sempre più vividi.
I minuti e i km passano, all’improvviso esplode. Resto abbagliato da uno spicchio che si affaccia potente e vitale. È commovente, due lacrime sgorgano spontanee. Sono preso dalla profonda felicità della natura.
Decido, anche se so che difficilmente riuscirò a mantenere la promessa, che da ora in poi privilegerò l’alba al tramonto. Fino ad oggi ho sempre preferito viaggiare di giorno fino a notte fonda. Oggi mi ha colpito la bellezza e la potenza dell’alba. Anche il tramonto può essere meraviglioso, ma poi è solo notte, buio. Si può apprezzare questo momento anche prima dell’alba, con la differenza che poi nasce un nuovo giorno, che si schiude interamente davanti a te, pronto ad essere vissuto.
Mi inoltro nell’entroterra e mi trovo avvolto da una fitta nebbia. Di tanto in tanto degli squarci nella coltre mostrano, come una beffa, un azzurro brillante quasi a portata di mano, subito inghiottito dall’umido.
Fino alle 8 incrocio molti gruppi di bambini e bambine, nel loro grembiule bianco, in cammino verso la scuola. Contadini che si avviano verso i campi, muratori che si preparano al lavoro. Mi sono un privilegiato che viaggia sulla sua astronave, circondato ma non toccato, da un mondo di lavoro e di fatica. Arriverà il momento anche per me.
Mi accodo ad un furgone che procede come se nulla fosse. Ora capisco come si creano quegli impressionanti tamponamenti a catena. Ti incolli a chi ti precede altrimenti lo perdi di vista, ma è sufficiente che a quello succeda qualcosa, che automaticamente gli sei dentro.
Molti km passano così, a velocità moderata e molta nebbia.
Sono in ritardo clamoroso, sono le 10 e non sono nemmeno a Casablanca. Alle 13 inizia l’imbarco e alle 15 la nave parte.
Rinvio il più possibile il rifornimento, ma negli ultimi 60 km non ho visto un solo benzinaio.
Improvvisamente dalla nebbia se ne materializza uno. Torno indietro e ne approfitto anche per fissare meglio il bagaglio, che ad ogni frenata mi spinge sul serbatoio.
Finalmente la nebbia finisce, inizio a viaggiare più rapidamente.
Incrocio per la prima volta in vita mia branchi di...tacchini! Inizialmente penso che vengano esposti, in vendita, per automobilisti affamati, poi mi accorgo che stanno semplicemente pascolando, placidi, sul ciglio della strada! Sono in gruppi di 10/12, col padrone che li sorveglia a poca distanza.
A Casablanca entro in autostrada e aumento ancora la velocità.
Rimando il rifornimento fino a 350 km dall’ultimo. La moto entra in riserva, il benzinaio arriva dopo altri 25 km. Sono le 12:20 e mancano ancora 210 km da Tangeri. Inizio a dubitare di farcela.
Riparto subito, stavolta ancora più velocemente, sui 140 km/h, ossia quasi al massimo delle possibilità dell’innocente Zukki.
L’autostrada è semideserta. Una BMW mi supera. Cento metri dopo si piazzano in mezzo alle carreggiate due poliziotti della stradale. Fermano la macchina ma non me, che seguivo a breve distanza, poco più lento. Mi sento baciato dalla fortuna.
Ad Asilah finisce l’autostrada, mancano 45 km. Sono tesissimo, il traffico è intenso e non posso permettermi nessun ritardo.
Limite dei 40 km/h quando vengo fermato dalla polizia a 110. Inizio a implorarli, gli dico che sto per perdere il traghetto. Niente da fare, multa.
“Sono 400 Dh.”
“Va bene, fammi sta multa e fammi andare.”
Non ci crede che mi arrendo così. Gli metto due biglietti da 20 euro in mano.
“Avanti, fammi sta multa e lasciami!”
Torna dal collega coi soldi e i miei documenti. Mi saltano i nervi, inizio ad urlare:
“Ma porca puttana!! Uno si fa un culo così, si alza all’alba, corre tutto il giorno per cosa? Nulla!!”
Il poliziotto torna, ride.
“Ridi, ridi... Allora??”
“Con ricevuta o senza?”
“Ah no! Con ricevuta 400, ma senza 200!”
Ride di gusto, ma in modo stentoreo, forzato.
“AH, AH, AH!“
Poi si zittisce e mi guarda.
“Allora??”
Mi ridà una banconota da 20 euro.
“Ok, gli altri puoi tenerli.”
O mi spiego molto male in francese, o quello non capisce.
“Vuoi anche questi?” e mi porge l’altra banconota.
“E dammeli, basta che mi mandi via...”
Me li ridà.
“E per me?”
L’altro poliziotto sbraita qualcosa dall’altro lato della strada, sta per mandarmi via, ma ormai gli ho messo in mano una banconota da 10 euro.
“Questi sono per voi!”
“Grazie!”
Finalmente mi restituisce i documenti. Schizzo via.
Tangeri, traffico, rotonde, incroci, semafori, motorini, furgoni, auto, il porto!
All’ingresso vengo fermato dal solito scocciatore.
“Hai il biglietto?”
“Sì!”
“Hai il foglio d’uscita?”
“Sì!”
Prosegue nelle sue inutili domande per capire se può spillarmi soldi in qualche modo. Io resisto per capire se può darmi qualche informazione utile. Quando mi propone il cambio di dirham contro euro, deduco che non ha nulla da offrirmi e riparto.
Seguo i cartelli “Partenza per Genova” per un bel po’. Arrivo al terminal e rivolgo a un tizio quella che a prima vista sembrerebbe una domanda retorica:
“Partono da qui i traghetti per Genova?”
“No, partono dal terminal vecchio!”
Panico.
“E i cartelli?”
Non capisco la risposta, fa un gesto vago verso la mia sinistra. Decido di andare nel punto in cui avevo attraccato all’andata.
Benedico la moto che mi fa passare in mezzo al labirinto di camion ed auto.
Vengo abbordato da altri due seccatori.
“Genova?”
“Sì!”
“Sbrigati, lascia la moto lì e vieni con me che la nave sta partendo!”
Mi affido a lui, andiamo allo sportello del check in. Guardo per la prima volta da un bel po’ l’orologio: sono le 14:50!
L’addetto al check in se n’è andato da tempo. Il seccatore si rivela assai utile: lo va a snidare, lui non vuole, è troppo tardi, ma il protettore insiste. Il tizio si mette al computer, prende i miei documenti.
Dopo qualche minuto mi dà il biglietto per la nave, ora è il turno della polizia.
Passaporto e documenti moto.
Attraverso un cancello, entro nel piazzale, vuoto. Sono già tutti nella pancia della nave.
Ci sarebbe il controllo dei bagagli, ma vengo spedito a grande velocità verso la Tadla.
Congedo i miei due protettori con una moneta da 10 Dh a testa. Uno protesta, l’altro ha un po’ di cervello e soprattutto si lascia convincere dal mio portafogli che esibisco, vuoto. Avevo provveduto a nascondere l’ultima banconota da 100 Dh mentre ero allo sportello della polizia!
Mi lascio inghiottire dal traghetto, sono le 15:10.
Alle 15:25 siamo fuori dal porto!
Sarebbe bastato un nulla, un altro piccolo contrattempo e sarei rimasto a terra, perdendo più di 1 milione di lire!
Stavolta la nave è pulita, la ragazza alla reception parla italiano, c’è la carta igienica nei bagni, la camera è grande il doppio dell’andata. Mi sento praticamente in Italia.
Faccio il letto e vado in giro. Mi accorgo di aver perso la penna stilografica! Probabilmente me l’ha presa uno dei due miei protettori mentre firmavo uno dei fogli che mi porgevano. Mi spiace molto perchè ci ero affezionato.
Torno in camera: uno dei 3 ragazzi che dormono con me mi ha preso la coperta. Grande irritazione. Vado alla reception a chiederne un’altra.
Verso le 17:30, alla rottura del digiuno, si leva in stereofonia in tutta la nave il canto di ringraziamento ad Allah. Allo stesso piano della mia cabina trovo il piccolo locale adibito a moschea con alcune persone che pregano. Mi trovo su una nave benedetta, una novella Arca di matrice musulmana, un’isola sacra navigante! mi dico che non potrà accaderci nulla di male!
Vado a dormire presto, sono stanchissimo.
In un’ora incognita della notte i miei compagni di stanza accendono la luce ed escono lasciando la porta aperta.
“Andiamo a mangiare, vieni anche tu?”
Balbetto un:
“No grazie, ho già mangiato!” senza rendermi conto nemmeno su che pianeta sono.

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20-11-2003 “Riflessioni da traghetto”
Mi sveglio con la sensazione di aver dormito tantissimo, ma sono solo le 2:30 del mattino. Anche ora mi avranno svegliato i miei compagni di cella.
Alle 5 vado in bagno e trovo uno che sta pregando in moschea. Non so perchè, ma mi irrito. Ma vai a dormire! Cosa cazzo ci fai qui, sveglio a quest’ora da solo a genufletterti e a cantare?! Alle 5!! Dormi, riposati!
Alle 8 ho la sensazione di trovarmi su una nave fantasma: non c’è nessuno in giro e i pochi che vedo, dormono.
Per fortuna al ristorante c’è il cameriere che mi ha preso sotto la sua protezione che mi dà doppia razione di croissant.
A metà mattinata vengo avvicinato da Abdel. Ha il viso largo, accogliente. Gli occhi sono buoni, ispira fiducia.
Mi chiede del fuoco, ma con discrezione.
“Sai, qui tutti fanno il Ramadan!”
“E tu?”
“L’ho iniziato, ma poi mi sono sentito male, diarrea e altro. Sono due anni che lo faccio.”
“Come due anni? E prima?”
“Prima no, mai fatto! Ero marxista!”
Allora esistono!!
Persone sempre più rare da noi, pressochè introvabile da loro.
Inizia a parlarmi di Lenin, della Rivoluzione, della Russia: i miei argomenti preferiti. Dopo un po’ si ferma:
“Conosci Lenin?”
“Un po’”
Cerco di spostare il discorso sulla sua vita, di Abdel.
“Sono venuto in Italia nell’86”
“Come sei arrivato? Da clandestino?”
“No, allora non c’erano problemi. Non serviva il visto, venivi e basta. Poi alla dogana se trovavi quello bravo ti metteva il timbro sul passaporto, se trovavi quello cattivo ti mandava via.”
“cosa gli dicevi?”
“Turismo. Gli facevi vedere che avevi un po’ di soldi e a loro bastava.”
“Poi in Italia?”
“Ho fatto per molti anni un lavoro di merda! Vendevo sigarette.”
“Bè, è normale, non sapevi che fare!”
“Sì, ma è un lavoro di merda!”
Calca di nuovo quella parola, come se volesse concentrarvi tutta la rabbia, la frustrazione, la delusione accumulate negli anni in cui l’ha fatto.
“Come hai avuto il permesso di soggiorno?”
“Dal ’91 hanno messo il visto in Italia e in Spagna. In Francia c’era già da 2 anni. Nell’87 mi hanno preso e siccome ero senza lavoro fisso e senza casa mi hanno dato il foglio di via. Sono rimasto ancora qualche mese, poi sono andato a Forlì perchè dicevano che lì davano ancora i visti. Appena hanno visto la mia espulsione entro 24h, mentre io ero ancora lì da più di un mese, mi hanno preso immediatamente. Dopo qualche giorno mi hanno portato dal giudice che ha capito i miei problemi. Mi ha permesso di sistemare alcune cose a Milano, poi sono tornato da lui, mi hanno portato a Roma e lì con l’aereo mi hanno rimandato in Marocco.”
“E poi?”
“Poi sono stato in Spagna. Dopo un po’ ho saputo che in Italia davano il permesso a chi dimostrava di stare lì da prima dell’87. Sono andato lì con i documenti della mia espulsione: più prova di così! Da allora ho il permesso, sono regolare. Era il ’91.”
“Come mai non stai più a Milano?”
“Più comodo per il mio lavoro.”
“Che lavoro fai adesso?”
“Da due anni ho comprato un furgone, lavoro con quello, giro molto. Milano era troppo cara e avevo un affitto che non sfruttavo mai”
“Come ti trovavi a Milano?”
“Bene, molto bene.”
“Non era un po’ chiusa la gente?”
“No, la gente capisce, è intelligente, pensa bene. Vede che lavori, no problem”
“Di dove sei in Marocco?”
“Vicino Casablanca. Sono stato 3 mesi là adesso. Mio padre è morto un mese fa.”
“Mi spiace...”
Si rabbuia, corre col pensiero al padre e me ne parla parecchio. Sposto l’argomento sulla politica perchè si sta intristendo troppo.
“Gli arabi hanno fatto le cose giuste. Sono andati in Spagna, hanno lasciato un mare di monumenti e di altre cose, poi se ne sono andati e non hanno lasciato nemmeno la lingua. Qui sono arrivati i francesi. Hanno lasciato le strade e cos’hanno preso? Tutto! Hanno portato tutto nel loro paese. E tutti sanno il francese, era obbligatorio.”
Tralascio il fatto che gli arabi “se ne siano andati” perchè ci sono state molte guerre tra Marocco e Spagna e gli arabi non erano certo contenti di abbandonare il regno El-Andalus, ma sul resto del discorso circa il colonialismo, concordo. Tutti i colonialismi europei.
“Muore un americano, un inglese o un francese, tutti ne parlano per giorni. Muoiono 100 arabi, a malapena lo dicono. La colpa è tutta di Israele. Sono arrivati in Palestina. Hanno comprato la terra e poi li hanno cacciati. Bush era un alcolizzato. Ora non può più toccare un goccio di alcol perchè ha fatto una cura, ma era alcolizzato, molto malato. Bin Laden! Prima Bush fa gli affari con lui, poi diventa il diavolo e gli fa la guerra. Ma Bin Laden chi è? È una persona...”
Fatico a seguirlo. Si esprime in modo poco chiaro e parla a ruota libera. Ne ha per tutto e tutti.
Torno in camera per prendere il caricabatteria del cellulare. I tre ragazzi stanno ancora dormendo. Pazzesco.
Scrivo e leggo a fianco della reception, dove c’è una presa di corrente.
Attacco bottone con un ragazzo che gioca con suo figlio. Ha un viso tagliente e gli occhi acuti, ma cattivi. Mi dà l’impressione di quelle persone di cui non puoi fidarti, pronte a rivoltarsi come serpenti anche se un secondo prima ridevano con te.
Si lamenta della nave di merda, piccola e preda delle onde. Sua moglie è di sotto che sta male.
In effetti stavolta è un’ecatombe. Da ieri, a qualsiasi ora, c’è qualcuno che sta male. All’andata, quando il mare era molto peggio, non era andata così. Secondo me sono gli effetti deleteri del Ramadan, che tutti si ostinano a fare, nonostante il Profeta abbia esplicitamente dispensato chi intraprende un lungo viaggio.
Chiedo lumi al mafiosetto che conferma il discorso del viaggio, ma poi si deve recuperare dopo! Il digiuno dura un mese, non si scappa! Se per qualche motivo si saltano dei giorni, poi si deve pagare appena si può, anche a Ramadan ufficialmente finito.
“Poi digiunare da soli, quando tutti gli altri mangiano, è molto più difficile!”
“tu da quanti anni fai il Ramadan?”
“Da quando avevo 13/14 anni, ora ne ho 33.”
“L’hai sempre fatto?”
“Sì, a parte molti anni fa, quando ero giovane. Magari qualche giorno me ne fregavo e mangiavo, ma poi Allah subito mi puniva!”
Ovviamente quando si ha la coscienza sporca, qualsiasi evento negativo ci capiti, sappiamo già con certezza a quale causa ascriverlo. Quindi anche l’Islam conosce il potente meccanismo del senso di colpa, così diffuso nel Cristianesimo.
Parliamo di lavoro.
“Lavoro in una cooperativa. A volte non c’è lavoro e resto a casa per una settimana, ma è meglio che lavorare sotto padrone. Lì fai lo schiavo, ti sfruttano fino all’ultimo poi ti mandano via. Però ora nella cooperativa non ho certezze.”
“Anche per noi ormai è così. Quando riesci ad avere un contratto è solo di pochi mesi, poi non si sa. Insciallah!”
Apprezza molto che io adoperi questa espressione, mostra di essere molto credente.
Non so come, il discorso finisce sull’hashish, di cui si dice grande consumatore, ridendo.
“Ti faccio una domanda.” lo avverto.
“Dimmi” mi risponde.
“Ho incontrato moltissime persone in Marocco che non bevono nemmeno una birra, che per me è una bevanda leggerissima”
Mi interrompe:
“Anch’io bevo, non è che non bevo. Però il Profeta ha detto: “un po’ di alcol fa bene, troppo fa male”, allora tutto l’alcol è vietato!”
Mi ricorda molto la storia della carne di maiale raccontatami da Idriss al Cirque de Jaffair. Mi spiace molto avere una conoscenza molto superficiale del Corano, grazie alla lettura di qualche sura fatta anni fa. Vorrei proprio sapere dove vengono espressi questi concetti e da dove nascono i divieti. Divieti che trovo anche nel diario di Potocki, quindi sono secoli che si tramandano invariati.
“Quello che mi stupisce è un’altra cosa. Nessuno beve, ma molti si ammazzano di canne, che non fanno certo bene.”
“È vero, ma l’alcol ti rende aggressivo, quando sei ubriaco credi che puoi fare tutto e finisci per ammazzare qualcuno. Con le canne no, ti rilassi e dormi.”
È una spiegazione che fa acqua da tutte le parti, ma non insisto.
Finisce il digiuno e il mio amico scappa a mangiare. Insiste perchè vada con lui. Accetto. Al nostro tavolo siede un suo amico. Iniziamo a parlare dell’Italia e del Marocco. Lui commercia a Lecco l’artigianato marocchino. Ha una fabbrica a Taroudant e una a Marrakech. È sposato ma:
“La moglie è in Italia, l’amante in Marocco!”
Mi mostra felice alcune foto fatte col cellulare.
“Ma quante sono??”
“Tre!” mi risponde sorridendo compiaciuto.
“Quanti anni hanno?”
“Una 27, una 21 e una è molto piccola.”
“Piccola quanto?”
“Piccola, a volte ho paura di farle...”
Lo interrompo:
“16? 15?” azzardo, puntando al ribasso.
“Eh, non ancora...quasi.”
È un uomo grande e grosso, molto più alto di me. E bravo il musulmano che fa il Ramadan “perchè fa bene alla salute”!
Nel tardo pomeriggio torno in camera. La luce ora è accesa, ma i tre sono ancora qui che dormono. L’aria è irrespirabile, c’è un caldo soffocante, ma non sembrano curarsene. Anche se stessero male, starebbero molto meglio fuori di qui.
A cena, come sempre negli altri pasti, sono l’unico avventore del ristorante. Arriva Abdel a farmi compagnia. Parliamo ancora un po’ di lavoro e delle nostre vite.
“I tuoi dove sono, a Roma o a Torino?”
“Roma.”
“Tutti?”
“No, mio fratello abita sul lago di Bracciano, a 40 km da Roma.”
“Casa sua o in affitto?”
Mi viene da ridere al pensiero di mio fratello proprietario di una casa.
“Affitto, non abbiamo molti soldi. I miei hanno comprato una casa dopo 40 anni di lavoro.”
“Non costa tanto prendere una casa, chiedi il credito! Mio fratello abita a Rennes, in Francia, è professore di fisica all’università. Ha comprato una casa chiedendo il credito. Non è difficile.”
Penso che anch’io ci riuscirei se fossi professore universitario!
“Mio fratello è arrivato in Marocco il giorno dopo che nostro padre è morto.”
Mi ricorda i tristissimi giorni di quando morì mia nonna a Milano, alla quale ero e sono molto affezionato.
Tornando da uno dei miei viaggi estivi ero passato a trovarla. Non l’avevo mai fatto prima, ma quella volta era capitato e mi aveva fatto molto piacere. Stava male, ma sembrava stesse recuperando.
Poi il rapido peggioramento e la morte. Ricordo le lacrime di mia madre e la sua disperazione e la decisione di non dirlo subito a mio padre per fare il viaggio con un po’ più di tranquillità. Ricordo la corsa in auto, inutile fin dai suoi primi istanti. Poi, una volta lì, il dolore di mio padre nel sapere di essere arrivato troppo tardi. È bruttissimo non essere presenti durante il trapasso di un proprio caro. Si vorrebbe dargli l’ultimo saluto, un pezzetto di sè da portare via, nell’eternità. Ma perso quel momento, si sa tragicamente che non ce ne sarà più modo, nessun’altra possibilità.
“Invece mio padre è morto mentre gli tenevo la mano, qui.” e con un sorriso grato, profondo e tristissimo, si porta la mano al petto.
“Mio padre era buono, molto buono. Sono arrivate macchine da tutto il Marocco. Nemmeno io sapevo quanto gli volevano bene. Mia madre invece è cattiva.”
“Perchè?”
“Perchè ce l’ha con mia moglie.” e mi parla delle solite gelosie tra donne e chi porta via il figlio di un’altra. Tutto il mondo è paese!
Le ore scorrono uguali, scandite dai pasti, dalle preghiere nella moschea e dalle chiacchierate con le persone conosciute in nave.
Dopo cena incontro di nuovo il mafioso. Il discorso torna di nuovo sull’hashish. Gli dò un pezzetto del mio, tanto praticamente non lo fumo. Finalmente mi spiega cos’è l’“oil” che mi hanno offerto in moltissimi posti.
“Si mette del kif, l’erba marocchina, a macerare nell’olio d’oliva per 4 mesi.”
“Quattro mesi??” penso, incredulo.
“L’oil ora è pronto, ne spalmi un po’ sulla sigaretta e l’effetto è più potente della marijuana!”
Verso le 22 incontro di nuovo Abdel, ha comprato una stecca al duty free, mi regala un pacchetto.
Tutti continuano a chiedermi l’accendino, ho la sensazione di essere l’unico a bordo ad averlo.
Vado a dormire, trovando i tre, come al solito, a letto.

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21-11-2003 “Secondo giorno in traghetto; arrivo a Genova; fine del viaggio”
Mi sveglio molte volte, alle 7 non ce la faccio più e mi alzo.
La nave è ancora più deserta di ieri. Al ristorante non c’è nessuno. Dopo un po’ arriva il mafioso. Ha una faccia di cui non mi fiderei nemmeno dopo anni. Si perde in miriadi di spiegazioni e di giustificazioni sul perchè oggi romperà il digiuno.
Il mare è buono. Il cielo, come da molte ore a questa parte, è molto coperto, ma non piove.
Da quando siamo partiti, le onde vengono incontro alla nave, che le rompe perpendicolarmente. Ci ritroviamo quindi a beccheggiare piuttosto che rollare.
La mattinata scorre tra lettura e scrittura. Ogni volta che torno in camera vedo qualcuno pregare nella moschea e trovi i miei compagni di cella che dormono.
In coda per il pranzo trovo Roberto, un emiliano sposato con una marocchina, conosciuto ieri. È simpatico, ma è una persona molto sciapa, mi dà l’impressione di vivere come per caso.
Incontro anche un milanese incrociato già ieri, quando mi aveva chiesto:
“Sei anche tu in moto?”
Quell’“anche” così enfatizzato voleva provocare una controdomanda che non c’è stata. Oggi rimedio alla mia mancanza e gli chiedo:
“Quindi sei andato in Marocco in moto?”
“Sì, è la terza volta che ci vado! La prima ho fatto Milano - Casablanca via terra in 31 ore.”
Lì per lì non so cosa dire, poi prorompo in uno spontaneo:
“Perchè??”
Sembra non sentirmi e prosegue:
“Non mi sono mai fermato! 31 ore di seguito!”
“Perchè?”, insisto.
Sembra non capire la mia domanda:
“31 ore: c’ho messo troppo?”
“No, intendevo dire: perchè l’hai fatto! 31 ore, senza mai fermarti...”
“Perchè mi piace andare in moto!”
Contento lui...
La conversazione muore lì, ai suoi occhi non dò soddisfazione e lui ai miei non offre nulla di stimolante.
Domanda di rito:
“Che moto hai?”
“Ninja settemmezzo!” risponde fieramente.
Mi siedo al tavolo, dopo poco arriva Abdel.
“Sempre a scrivere, eh?”
“Sì, mi piace molto. Magari un giorno scriverò un libro.”
“Fabio...”
“Sì, Fabio Bertoldi!”
“Fabio...”
Continua a ripetere il nome, come per capire se davvero può diventare il nome di uno scrittore. Colgo la palla al balzo e chiedo:
“Senti, qual è il tuo nome, che non lo ricordo più?”
Scoppia a ridere e mi fulmina:
“Scrive, lui...cosa cazzo scrivi che non ti ricordi il mio nome! Non scrivi nulla!”
Balbetto un:
“Ma è difficile il tuo nome! Mi ricordo Abdel, ma lo so che non è quello!”
Non mi risponde, prende il libro di Potocki e legge tutta la quarta di copertina, poi mi dice che il leone disegnato in copertina è fatto con delle scritte arabe. Non ci avevo mai fatto caso!
   

Il mio nome in arabo

 

Facilissimo!
(4 KB)

 
Poi scrive il mio nome e numero di telefono su un foglio:
“Ti telefono tra qualche anno così mi dirai cosa hai fatto!”
Me lo faccio scrivere sul mio quaderno e lì concede di nuovo il suo nome. Zahiri! Qui continuerò a chiamarlo Abdel.
Riprendiamo a parlare di politica. Ce l’ha grandemente con gli israeliani.
“Hitler ha fatto bene!”
“Ha fatto bene ad ammazzare tutti quegli ebrei?”
“Sì, la dittatura è necessaria, non sempre va bene la democrazia.”
Sull’ultima parte del discorso sono d’accordo, sulla prima per nulla.
Dopo un po’ si alza e si siede Roberto. Pranziamo insieme. Mi racconta alcuni aneddoti di lui alle prese con la famiglia di lei e viceversa. Mi fa ridere quando mi racconta che suo fratello cerca in ogni modo di farle mangiare carne di maiale e che al loro matrimonio si è presentato con un maialino di campagna al guinzaglio e gliel’ha regalato.
Costeggiamo la Francia da molte ore, non vedo l’ora di arrivare.
Incredibilmente trovo i miei compagni svegli e arzilli, stanno preparando i bagagli. La notizia che siamo in ritardo di almeno 2 ore li priva dello slancio vitale e crollano seduti sul letto. Quindi stanno bene! Sono solo esauriti dal grande gioco collettivo chiamato Ramadan.
Sono le 16, manca poco allo sbarco. Torna Abdel per chiedermi se gli compilo il documento per la dogana. Scopro così che, come hanno fatto diverse persone conosciute in Marocco, prima aveva scritto il cognome, Zahiri. Il suo nome è Abdehlah! Mi consola sapere che avevo quasi indovinato. È del ’60, ha 43 anni. Come molti suoi connazionali, dimostra almeno 10 anni di più.
Mi raggiunge a prua mentre scrivo osservando il mare. Mi suggerisce:
“Scrivi: “il mare è una grande mucca!””
“Perchè una mucca?”
“Non vedi? Perchè dà il latte!”
Indica le onde:
“E tutti rubano il latte della mucca: i pesci e tutto il resto.”
Si vede la terra, siamo tutti tesi come a voler accelerare la nave.
Ultimo rapido controllo dei passaporti in nave, col motociclista da 31 ore in pole position, poi lo sbarco.
Non ci sono quasi macchine nella pancia del traghetto, che partorisce senza il travaglio caotico dell’andata.
Appena fuori, controllo antidroga con cani e alcuni poliziotti.
“Dimmelo subito, hai qualcosa?”
“Sì.”
Mi guarda.
“Dai, nessun problema, dammi quello che hai.”
Gli consegno il minuscolo pezzo di hashish che mi è rimasto.
“Hai altro?”
“No.”
“Sicuro?”
“Sì.”
Ci guardiamo.
“Va bene, parcheggia lì, devo perquisirti.”
Lo dice con un tono quasi di scuse. Parcheggio poco oltre e svuoto tasche e marsupio.
“Purtroppo anche la moto...”
“Fate il vostro lavoro, sono tranquillo. Mi spiace solo per il tempo che impiegherò a rifare il bagaglio, ma è un mese che lo monto e smonto!”
Metto a terra lo zaino e gli altri bagagli. Passa il cane, eccitatissimo, che annusa tutto. Non noto nulla di particolare, ma un piccolo segnale dell’animale da capire al poliziotto che forse c’è dell’altro.
“Apri questa tasca qui.”
Ci sono dei rullini, che esamina uno ad uno, alcuni regali e la boccetta di olio di argan.
“Cos’è?”
“Olio di argan, è tipo olio di oliva.”
“Va bene.”
Ispezionano a mano lo zainetto, tutto ok.
“Va bene, ci servono ancora un paio di informazioni, ma è tutta roba che rimane da noi, stai tranquillo.”
Mi chiedono alcuni dati sui miei genitori e su di me.
“Hai cinque giorni di tempo per chiamare la prefettura di Genova, loro manderanno il tuo fascicolo a Roma e lì verrai convocato dall’assistente sociale.”
“OK, grazie, buonasera.”
Rimonto il bagaglio e parto.
Code, cavalcavia, traffico, macchine che cambiano corsia per guadagnare un metro, clacson ,freddo, vento forte, autostrada.
Vengo schiaffeggiato da forti raffiche che mi spostano come vogliono. Non riesco a guidare bene perchè nel traghetto ho fatto uno sforzo che mi ha procurato un dolore fortissimo al petto, che dura ancora. Forse avevo una costola incrinata dopo l’incidente e ho finito di romperla. È un dolore sordo, continuo, ben localizzato.
I km passano, sono avvolto da una pioggia finissima, simile a nebbia che si trasforma in rovescio poco prima di Torino. Ci sono 6 gradi, ho i piedi allagati: ormai gli stivali non tengono più.
Arrivo sotto casa di Manu, ho voglia di rivederla. Ho voglia anche del piccolo rito della foto come sempre al ritorno da un viaggio.
Nuova doccia fredda, non vuole esserci.
“Sistemati, trovati un tetto, poi ti raggiungo.”
Ricevuto...
Vado nella mia nuova casa, per fortuna l’inquilino che ha occupato la mia stanza per 15 giorni e che mi ha fatto risparmiare un po’ di soldi dell’affitto, se n’è andato da una settimana. Ho un letto!
Smonto il bagaglio, parcheggio Zukki, è finita.
Dallo zaino scaturiscono, come da un altro mondo, una giacca di cammello, un caffetano, un turbante, minerali, un quadro, sandali e babbucce in pelle, gioielli, un tappeto.
Mi sento davvero trasformato in una carovana in miniatura, riportando in luoghi freddi e lontani sogni esotici e calore africano.
Mi guardo intorno.
Si schiudono i problemi di sempre, mi stavano aspettando.
Le questioni personali. La casa. Il lavoro.
Ma questa è un’altra storia.

INSCIALLAH!

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