Sommario del sito

Marocco 2003

Tragitto ideato per Marocco 2003
Tragitto

Informazioni utili per Marocco 2003
Info utili

Diario di viaggio di Marocco 2003
Diario

Letture consigliate per Marocco 2003
Letture

Galleria fotografica per Marocco 2003
Foto

Vecchio programma per Cina 20??
Cina

 Diario di viaggio Marocco 2003

Pagina precedente
Pagina 7

Pagina 8 (di 9)
(Marrakech, Imouzzer, Essaouira)

Pagina successiva
Pagina 9

Giornate:
13 novembre 2003
14 novembre 2003
15 novembre 2003
16 novembre 2003
17 novembre 2003

13-11-2003 “La riparazione della moto, qualche riflessione e l’attesa della malattia”
Mi risveglio all’alba. Ho un leggero mal di testa e sono di nuovo di cattivo umore. Dopo pochi minuti attaccano le urla a squarciagola dei muezzin. Mi irrito oltremisura.
Dopo 5 minuti di muggiti e circa 20 minuti di pausa, ricominciano. Non è possibile, va oltre l’umana sopportazione, non possono vivere in questo modo tra urla, sirene antiaeree, colpi di cannone, digiuni di un mese.
Durante la notte si è sviluppata la contusione alla gamba. L’escoriazione essuda copioso siero e brucia molto. Il colpo alla mano destra non fa molto male: riesco a stringere gli oggetti e non è molto gonfia.
Mi medico nuovamente: forti bruciori, ma poi grande sollievo.
Dopo qualche minuto che sono sveglio, bussano. So già che è la vecchia cui ieri ho dato dei panni da lavare. Mi irrito di nuovo per il modo: se dormivo? Se sa che non dormo vuol dire che ha sbirciato dalla serratura, ancora peggio. Mi consegna la biancheria e mi chiede i soldi.
Salgo in terrazza a scaldarmi un po’ e fare colazione.
Devo pensare alla moto.
Ripenso al Fato che ha nuovamente stravolto i miei piani che...avevo fatto proprio ieri mattina!
Stavolta è stato violento e doloroso, al contrario delle ultime volte ch’era stato ironico, beffardo, gentile. Ripenso anche al fatto che torno a farmi male con una moto da enduro, come 11 anni fa.
Ripenso alle parole del ragazzo di ieri, circa la pericolosità della strada.
Esco. Il primo meccanico è chiuso, me ne indicano un altro. Mentre mi avvio, chiedo informazioni a un poliziotto che a sua volta me ne indica un altro. Senza motivo apparente, decido di seguire il suo consiglio. Il “suo” meccanico si trova nel mercato dei polli, il “souk des poulets”.
Lo trovo quasi subito. Il cambiamento nel mio aspetto, il colorito e non so cos’altro fanno in modo che vengo lasciato in pace e quando chiedo informazioni mi rispondono subito. Incredibile!
Trovo il mercato, un coacervo di piume, penne, uova, tacchini, polli, galline, galli, carcasse.
Il meccanico si trova in un piccolo locale buio e sporco con alcuni depliant di moto appesi alle pareti. Ha un motorino e un paio di biciclette in riparazione. Gli spiego il problema e mi dà l’OK.
Porto Zukki, lui l’osserva e inizia a smontarla. Sia perchè prevedo tempi lunghi, sia perchè non mi sento in forma, sia perchè, infine, mi ha sempre fatto impressione vedere le moto smontate, ci accordiamo sull’ora della consegna: le 14 e 30.
Non riesco a capire cosa ha intenzione di fare: lo stelo destro è storto a occhio nudo e tutto l’avantreno è svirgolato.
Li lascio lavorare, Insciallah! In ogni caso sono tranquillo, in un modo o nell’altro riesco a viaggiare, sempre che costui non peggiori la situazione!
Tanto per contraddirmi di nuovo torno nell’Internet Cafè. Nelle ultime settimane ero indeciso se togliere dal mio sito la bandiera della pace. Purtroppo le notizie in arrivo dall’Iraq mi convincono che deve restare.
Arrivo alle 15 dal meccanico che come temevo è ancora in alto mare anche se il ritardo è giustificato.
Nelle settimane passate ho spesso riso con altri marocchini sui minuti indigeni e quelli europei. I primi sono dilatati e indefiniti i secondi netti e precisi, quasi scarsi.
Ne approfitto per osservare la mattanza di una gallina. Ci sono stie ammucchiate in ciascuna bottega, una fianco all’altra. Il cliente sceglie la bestia che viene estratta dalla gabbia e pesata. Si paga il dovuto e si cambia banco: la pulizia. Anche di questi ce ne sono diversi, tutti affiancati. Il cliente consegna la gallina, ancora viva. L’addetto le tira il collo, in un istante, tanto che l’animale riesce ad emettere solo un brevissimo verso. Poi la infila in un barile in attesa che terminino gli spasmi mortali. Sento sbattere ripetutamente sulle pareti del contenitore, che oscilla. La frequenza dei movimenti diminuisce, fino ad arrivare alla quiete mortale. L’addetto riprende l’animale ormai esangue e accende un macchinario dalla larga imboccatura, simile ad un forno. All’interno ruota, non troppo velocemente, un cilindro con delle pale, fissate perpendicolarmente. Tenendo la gallina sopra le pale, queste la spiumano del tutto. Nell’aria si spande l’odore nauseante e intenso delle piume bruciate.
Ora la gallina è pronta per essere sviscerata e tagliata secondo le indicazioni del cliente.
Torno dal meccanico. Riesco a capire che uno stelo della forcella era storto e che l’hanno fatto raddrizzare dal fabbro. Ora sta mettendo nuovo olio nelle forcelle. Nel frattempo chiacchiero con un ragazzo che ha un fratello a Torino. Non sa che lavoro fa, poi scopro che poco tempo fa ha portato qui una Mercedes rubata. Mi conferma che in Italia la maggioranza dei marocchini spaccia.
“Infatti in Italia i marocchini hanno una brutta reputazione!” gli dico.
“Sì, ma quelli che ci sono, sono tutti terroni!”
“Che vuol dire “terrone”?” gli chiedo incuriosito.
“Vuol dire che vengono dalla campagna, non dalla medina”
Poi propone anche a me, come Idriss a Telouet, di portare qui auto o moto rubate.
“Mi vendi la tua?”
“E io come torno in Italia?”
“Non so.”
La moto è pronta. La provo, mi sembra leggermente storta, ma è quasi perfetta, mille volte meglio di ieri!
La forcella pare più rigida e più alta. Mi accorgo che il dado del cannotto è solo appoggiato. Lo stringe subito, ma...ce ne saranno altri?
Mi chiede 500 Dh, ne ho solo 450.
“Affare fatto?”
“Ti faccio un prezzo da marocchino, non da turista!”
Sarà vero? In ogni caso per 45 € si può fare, sono contentissimo per Zukki e per Manu. Torno in albergo e la accudisco un po’. Ormai le sono molto affezionato. Rabbocco l’olio e ingrasso la catena.
Nel frattempo mi raggiunge uno degli aiutanti dell’officina. Parla solo arabo, ma ci capiamo. Vicino c’è un’altra officina che è molto migliore e più economica. Entra in gioco un interprete francese - arabo.
“Ormai è riparata!”
“Va bene per le prossime volte! Questo non è bravo, lavora solo sui motorini, non sulle moto grandi. Invece dall’altro trovi solo moto come la tua.”
“Ma tu dove lavori?”
“Da Aziz” ossia dal meccanico che ha appena riparato Zukki.
“E perchè mi dici questo?”
“Perchè l’altro è più buono e più economico!”
“Perchè non me l’hai detto prima?”
“Non potevo! Vieni, ti faccio vedere dov’è.” Non sono in forma, non riesco tanto a guidare. Mi immergo nella corrente violenta e caotica del traffico, entrando in vicoli angusti dove passano auto, motorini, biciclette, pedoni, tutti insieme, nei due sensi. È un delirio, ma mi piace, mi coinvolge.
Il meccanico è chiuso, quindi è andata bene così.
Zukki è pronta a ripartire e sono libero di decidere.
Torniamo all’albergo. Non ho pranzato, ho una fame da lupo che tampono con tonno portato dall’Italia e olive locali.
Sono molto fiacco e quasi completamente senza soldi. Non so se fare un breve giro nella “Grande Place” oppure andare a dormire.
Cerco una busta di tabacco, ma non ne hanno:
“In Marocco, solo a Casà o Rabat!”
Invece hanno le cartine che quindi, più esplicitamente che altrove, servono solo per arrotolare joint!
Prima di uscire guardo l’escoriazione. Brucia e ha una brutta faccia. Decido di andare alla ricerca di un medico. La guida dice che a 15 metri dall’albergo c’è una Croce Rossa 24h.
Sotto l’albergo sono intercettato dal garagista che mi dice che l’ambulatorio è chiuso, devo provare alla farmacia notturna dall’altro lato della piazza.
Mi trascino con fatica e poco prima di arrivare incontro dei poliziotti che mi fermano, chiedono cosa cerco e mi dicono che nella farmacia danno solo medicamenti e mi indicano l’ospedale, qualche isolato più in là.
Scarpino fin lì mentre mi accorgo di essere esausto e pesto.
Arrivato all’ospedale, mi dicono che non possono fare niente del genere (non capisco la spiegazione) e mi mandano in un altro ospedale molto lontano, dovrei prendere un petit taxi.
Decido all’istante di mandarli tutti a stendere e di fare da solo.
Tornando, poco prima della Grande Place ho alcune vertigini. Sento nuovamente il bisogno di dolci: compro un gelato e una crepe al cioccolato.
Mangio passeggiando sulla Djema el Fnaa. Arrivato quasi davanti al mio albergo mi viene sete, decido di prendere un bicchiere di spremuta. Mentre bevo guardo poco oltre e vedo, aperto, l’ambulatorio della Croce Rossa! A momenti mi strozzo e vorrei strozzare il garagista.
Trovo un’infermiera che mi dà pochissima soddisfazione: guarda la ferita e mi dice di lasciare tutto così com’è per un paio di giorni. Ho paura delle infezioni, non so cosa fare. In più, se già adesso, dopo poche ore, il siero è diventato un tutt’uno con la garza, non oso immaginare come sarà tra due giorni!
Sento telefonicamente Manu, che conferma la versione della dottoressa. Anche lei non mi convince, temo sempre il suo forte spirito corporativo.
Per stasera lascio tutto così com’è, domattina decido.
Mi infilo sotto le coperte, a pezzi. Sono esausto, anche se oggi non ho fatto nulla. Sarà l’effetto dell’incidente.

Torna all’inizioTorna all’inizioTorna all’inizio

14-11-2003 “Malattia in solitaria: pensieri e deliri”
Mi sveglio dopo un paio d’ore che ho spento la luce, poco dopo mezzanotte.
Ho violenti brividi, batto i denti. Indosso calzini, pantaloni, maglietta, pile a collo alto. Mi infilo sotto due coperte di lana.
Penso di avere la febbre, si spiegherebbero anche i dolori muscolari e articolari di poco fa, quando mi sono coricato.
Cerco di addormentarmi, sperando che sia solo stanchezza.
Alle 3 mi sveglio, sono rovente: 38,5 nell’ora di bassa marea della febbre. Chissà nel pomeriggio...
Rovisto tra i medicinali: ho solo l’Efferalgan 500. La Tachipirina è rimasta a Roma accanto al Mercuro Cromo che userei per l’escoriazione! Strozzerò Zeno...
Dopo la spesa del meccanico sono rimasto con 7,5 Dh. Ne spendo 5 per l’acqua. Devo assolutamente cambiare.
Mi rilasso alla musica di “Toward the Within” dei Dead Can Dance splendido anche se contaminato, alle 4:30, dall’irritante urlo nasale del muezzin.
Ripenso alle ultime ore e forse individuo causa ed effetto del mio stato: datteri andati a male, infezione intestinale come in Grecia al ritorno da Samarcanda un paio d’anni fa.
Mi vengono in mente, in sequenza, Kit e Port de “Il tè nel deserto”. La prima per la sua mania riguardo i presagi, simile alla mia. Il secondo per la sua tragica fine, morto di febbre tifoide in un villaggio sahariano.
Ho dei rigurgiti all’uovo, lo stomaco è ancora pieno. Ieri non ho mangiato uova, poi mi torna in mente improvvisamente la crepe acquistata al ritorno dall’ospedale.
Spengo la luce e provo a dormire.
Prima di stendermi vengo illuminato dal pensiero che il viaggio finisce così com’è cominciato: molto male. Il cerchio si chiude, attendo con rassegnazione quello che mi riserveranno gli ultimi giorni. Anche oggi, in modo negativo, il Fato ha stravolto il debole piano ideato ieri pomeriggio dopo la riparazione di Zukki.
Lo stomaco è sempre più in difficoltà, accendo la luce dopo pochi minuti.
Mi immergo nella lettura dei bugiardini, incomprensibili e nella loro ripiegatura, veri nodi gordiani alla rovescia.
In attesa delle indicazioni di Emanuela, sorseggio disperato del Biochetasi. Nel mentre parte il muezzin delle 5:30. Con i tappi nelle orecchie, il suo urlo ascendente mi entra ugualmente nel cervello. Spero intensamente in un suo malore fatale, ma nulla da fare!
Ogni volta che ho preso Biochetasi ho rigettato nel giro di poco tempo, vediamo se anche stavolta sarà così. Continuo ad eruttare all’uovo, il solo pensiero della crepe mi dà la nausea.
   

I muezzin insonni

 

Salva MP3: click destro -->
Salva oggetto con nome
(136 KB)

 
Dopo essersi interrotto alle 5:15, il muezzin riparte alle 5:20, seguito in lontananza da quelli delle altre moschee.
Sono fuori di me, benedico (per così dire) il mio ateismo e spero in una grande rivoluzione socialista che restituisca la pace ai cittadini, la dignità alle donne, numerosi spazi alla collettività e che mandi tutti i muezzin a riunirsi in un ampio salone, riverberante ma insonorizzato, ognuno dotato di microfono attaccato ad immani amplificatori, che pilotano casse titaniche, obbligandoli ad assordarsi a vicenda, tutti insieme, per il resto dei loro giorni.
Cullato da questa immagine consolatoria spengo la luce e riprovo ad addormentarmi.
Come mi aspettavo dopo poco, alle 6:10, lo stomaco mi fa molto male e dopo un’ora è insopportabile. Non ho lo stimolo del vomito, ma sento la pancia gonfissima, come sotto pressione
Mi decido a vomitare, mi alzo. Non succede niente. Poi arriva uno stimolo che non riconosco subito e prorompo in un lunghissimo ruggito, poi altre tre eruttazioni in sequenza.
Scrivo un sms ai miei indicando i sintomi. Dopo un po’ mi telefonano per darmi la cura. Sono più tranquillo anche se sto sempre da cani.
Mi viene da ridere quando mi indicano la dieta:
“compra del prosciutto crudo”
A parte che è vietato, ma fuori dall’Italia si trova in pochi Paesi.
Arriva la diarrea, ora non manca nulla!
Ho nuovamente dei brividi di freddo, rubo una coperta dalla stanza a fianco.
Vivo un’inedita dilatazione temporale: ho la sensazione di dormire ore, in realtà non ne è passata nemmeno una!
Raduno le forze e vado a cambiare 100 € e a comprare acqua, tè e zucchero.
La mano destra mi sembra leggermente meno gonfia, in ogni caso ha un aspetto migliore. Idem la gamba destra. Quella che invece mi preoccupa è l’escoriazione sul polso sinistro. Ha continuato a buttare fuori siero che poi si è rappreso, raggrumandosi e inzuppando la benda. Ora è un pezzo unico di crosta che non ho idea di come si potrà togliere. Inoltre tira e brucia.
La giornata passa così, tra ricadute e leggeri miglioramenti. Alle 17 la febbre sale a 39,2. Scendo a cercare medicinali più potenti, ma la farmacia è chiusa.
Preparo qualche tè e mi rinfresco con una pezza bagnata in fronte.
Sono letteralmente torturato da una mosca: si posa negli occhi, sulla bocca, sul naso, sulla fronte. La scaccio ma torna a posarsi dopo 2 secondi sempre sul viso.
Continuo, dopo un intero giorno, ad eruttare al gusto di uovo. È disgustoso e nauseante sentire ogni volta quel sapore in bocca, ma non so cosa farci.
Alcuni amici dall’Italia vogliono ripetere l’esperienza di “Marrakech Express” e venirmi a recuperare.
Domani proverò a fare la spesa: riso, frutta, patate.

Torna all’inizioTorna all’inizioTorna all’inizio

15-11-2003 “Mi rimetto in piedi; girovago a Marrakech”
Ore 00:34
Tutto il viaggio in una poesia, 39 di febbre.

Nelìk eccitato decide di andare in Marocco,
dove per giorni e giorni piove a dirotto!
Dal fiume in piena rischia di essere trascinato,
ma riesce a passare trattenendo il fiato.
Seguono molti giorni tranquilli,
dove felice si arrampica per monto e per valli,
ma quando il viaggio sembra ormai finito,
arriva l’ineluttabile Fato a puntare il dito!
Gli fa evitare una bambina per un capello,
ma con la moto sull’asfalto finisce lungo e bello!
Lui sbagliando pensa di aver “già dato”,
perchè dietro una curva c’è un’auto in agguato!
Lo scontro avviene in un Ave Maria,
e dal paraurti viene trascinato via!
Cavallo e cavaliere sono un po’ ammaccati,
ma in breve tempo vengono riparati.
Quand’ecco che per ironia della sorte,
una maledetta crepe lo mette di nuovo alle corte!
Grandi malesseri lo costringono a letto:
riuscirà il nostro eroe a prendere il traghetto?

Scrivo di getto, mentre una potente febbre mi annienta: non so in che posizione mettermi.
Alle 5 vengo svegliato dal solito muggito. Lo registro col cellulare, forse riuscirò a metterlo sul sito.
Mi sento meglio, lo stomaco è meno spaccato di ieri. Il dolore che sento mi sembra dovuto alla giornata di digiuno assoluto di ieri.
La febbre è ancora alta, alle 6 del mattino segna 38!
La mano destra è meno gonfia, si iniziano ad intravedere i tendini. Anche la gamba e il fianco fanno meno male. L’escoriazione mi incuriosisce: si è trasformata in un blocco unico con la garza e prude leggermente. Come toglierò la garza? Se riuscirò ad alzarmi, in mattinata andrò nell’ambulatorio della Mezzaluna Rossa e vedrò.
Faccio colazione con pane e tè, lo stomaco reagisce bene. Oggi il tempo ha ripreso a scorrere normalmente e la mattinata passa rapidamente tra un sonnellino e una lettura.
Faccio la spesa e vado a farmi vedere la ferita. Il mio dubbio su come si toglie la garza , saldata alla ferita, si scioglie subito: si strappa!! Vedo stelle, santi e fanti ma non fiato e lascio fare all’infermiera che disinfetta nuovamente e mi rimanda ad una nuova sessione di tortura tra 2 giorni. Pago 6 Dh.
Torno in albergo e pago le notti: sono 6. Mi sembrano molte, ma non obietto. Torno in camera e controllo sul diario: devo pagare 4 notti! Scendo alla reception, ma il tipo con cui ho parlato poco fa se n’è andato, tornerà alle 14:30. Ho forti dubbi che rivedrò mai i miei soldi.
Sono molto debole, ma mi sento abbastanza bene.
Guardo da lontano la cartina. Ho paura a prenderla. Le ultime due volte che l’ho fatto per stendere un programma ho avuto due incidenti e un’infezione intestinale!
Ormai la vacanza è finita, tra 4 giorni ho il traghetto e la cosa più incredibile è che dopo un mese in Marocco non ho visto le cose più importanti! Ho saltato Fes, Meknes, Volubilis, Casablanca, Rabat, Essaouira, Tangeri.
Mi sono addentrato accuratamente in tante altre zone, però un po’ mi spiace. Più che pentirmi del giro che ho fatto, vorrei avere un paio di settimane in più. E dire che all’inizio del viaggio avevo paura che il tempo fosse troppo, non sapevo che fare, non sopportavo l’idea della solitudine.
Ora è esattamente l’opposto. L’idea di tornare nella fredda e umida Italia mi rattrista, soprattutto perchè mi aspettano delle decisioni importanti. Il lavoro, la casa, Emanuela.
Ho letteralmente divorato “Le voci di Marrakech”. È stupefacente e incredibile quanto la descrizione dei souk sia oltremodo attuale e precisa. La conformazione delle botteghe, la contrattazione, l’esposizione della merce, i colori, gli odori. Forse in un aspetto sono cambiati, rendendoli più simili ai nostri mercati, ossia dove si trovano solo prodotti finiti.
Difatti Canetti descrive anche molto botteghe degli artigiani che producevano, senza vendere, gli articoli esposti poi tutt’intorno.
Oggi questo non c’è quasi più. I tappeti e gli altri gioielli sono prodotti in cooperative sparse per il Paese e, forse, da qualche berbero nel deserto, ma sono poco propenso a crederci!
Gli unici che resistono sono le concerie, anch’esse ormai mete turistiche e qualche gioielliere. Ricordo ancora il laboratorio di un orafo a Tiznit, tutto sommato professionale e attrezzato e il lurido stanzino nella mellah di un villaggio vicino Zagora. Lì era tutto ricavato e appoggiato sul terreno: stampi, fornace, crogiuolo, strumenti.
In un piccolo foro si accendeva un fuoco e, quando aveva raggiunto la temperatura giusta, si poneva sopra il crogiuolo pieno di argento. Quando questo era fuso, veniva versato negli stampi: delle rozze forme di terracotta che, unite, creavano l’alveo che, riempito di argento fuso, dava la forma al gioiello: la Via Lattea, la Mano di Fatima e altro.
Il risultato che mi avevano mostrato era talmente mal fatto che stento a credere che potesse venire trasformato in quello che mi avevano fatto vedere pochi minuti dopo nell’immancabile bottega.
Canetti ha avuto la fortuna di visitare la mellah ancora abitata dagli ebrei. Difatti, questi si sarebbero trasferiti in massa in Israele, da tutto il Marocco, di lì a pochi anni dalla sua visita.
Anche lui descrive l’insistenza e l’onnipresenza dei mendicanti e dei bambini questuanti. A questo punto non so se si tratti di un atteggiamento insito nella natura indigena oppure se sia dovuto all’invasione francese con tutto il carico di ricchezza portato qui (e via di qui!), ma non condiviso.
È meraviglioso e rassicurante constatare anche come sia rimasta sostanzialmente immutata la Grande Place.
Gli scrivani non ci sono più (anche se mi torna in mente un ufficietto che offriva tale servizio ad Al Hoceima), nemmeno le processioni di ciechi, però tante altre figure esistono ancora e, cosa più importante, non ad uso e consumo dei turisti! Ci sono anche loro, ovviamente, ma non in tutti i gruppi. I cantastorie ammaliano ancora decine di persone che partecipano con entusiasmo ai loro inviti e alle provocazioni.
A proposito dei ciechi, la descrizione delle loro urla invocanti Allah mi riporta alla mente una vecchia nozione mai verificata, secondo la quale i muezzin sono tutti ciechi. Questo si accorderebbe perfettamente con i lamenti che mi torturano regolarmente durante la giornata.
L’unica cosa effettivamente cambiata nei 50 anni trascorsi dalla descrizione di Canetti è il mercato dei cammelli. Come allora, vengono venduti principalmente come carne da macello (come mi ha spiegato Lhassen a Guelmin), ma non vengono più portati in lunghe carovane fino al luogo della macellazione.
Mi accingo ora, con estrema curiosità, a leggere il resoconto del viaggio in Marocco di Jan Potocki, datato nientemeno che 1791! Purtroppo tocca mete che non sono riuscito a vedere, ma sarà senz’altro interessantissimo.
Prima di prepararmi per la notte decido di fare un breve giro in piazza. Anche se sono molto debole, sono sicuro che se non lo facessi, me ne pentirei una volta in Italia.
Ritrovo il gruppetto che mi aveva colpito qualche sera fa e che non avevo ritrovato in una passeggiata successiva.
Stavolta c’è un percussionista in più, oltre a quello che già conoscevo. La differenza è sottile ma netta.
   

I maghi di Djema El Fnaa

 

Salva MP3: click destro -->
Salva oggetto con nome
(1,37 MB)

 
Sono entrambi eccellenti, ma il nuovo arrivato è teso e concentrato sullo strumento, il corpo è rigido nonostante la musica esca fluida e perfetta. Il ragazzo che avevo già visto, invece, è stupefacente. È rilassato, domina e controlla lo strumento, lui È lo strumento. Le dita si muovono agilissime, ognuna indipendente ma coordinata alle altre. La loro mobilità le fa sembrare di gomma, morbidissime. Il loro tocco sa però essere anche secco e deciso. Sembra non fare alcuno sforzo, per lui è come parlare. Le sue mani mi ipnotizzano. Resto colpito anche dal giullare dell’altra volta, in particolare dalle dimensioni del suo cranio, sproporzionatamente piccolo, su un corpo già minuscolo.
Stasera non sono nell’umore, o forse è troppo presto. Il tizio della chitarra si alza e se ne va lasciando, con fare di scherno, il suo strumento al giullare, come a dire “suona tu se ti riesce!”
Quello si siede e dà vita a una musica frenetica, travolgente, quasi violenta. Un po’ come il suo atteggiamento, che sembra aggredire e divorare la vita, che ormai sembra non possa più stupirlo o spaventarlo in nessun modo.
È abitudine di questi gruppi fare uno spettacolo nello spettacolo, scambiando battute e chiacchierando tra loro, naturalmente a beneficio del pubblico. Spesso iniziano a suonare per fermarsi pochi istanti dopo, in veri coitus interruptus, per parlare nuovamente. Per me che non comprendo nulla dei loro dialoghi è una sofferenza subire queste continue interruzioni, ,ma mi adeguo al comune atteggiamento di tranquillità.
Anche la richiesta delle offerte è singolare. Buona parte dei loro discorsi si incentra su questo, preparano e conducono questa fase vitale. Dalle intonazioni e dalle espressioni questi scontri di battute fatti tra quelli del gruppo e che durano anche alcuni minuti, sembrano voler dire:
“Dì, ma ti sembra giusto che tutta questa gente stia qui ad ascoltarci senza dare nulla?”
“No, è assurdo, sono profondamente offeso dal loro atteggiamento!”
“Anch’io! Starei per andarmene se continuano così...”
“Queste persone non meritano nulla!”
e anche mentre raccolgono le monete continuano a dialogare, finchè non raggiungono una cifra che sia ritenuta sufficiente a convincerli a ricominciare l’esibizione. Altrimenti, continuano il giro delle richieste.
Ancora stupito per le qualità musicali del giullare, il chitarrista prende una delle percussioni e inizia a seguire, in modo impeccabile, il ritmo. Sono stupefatto: sembra che tutti sappiano suonare tutto.
Compenso la miserrima offerta dell’altra sera sperimentando la “mancia con il resto”. Consegno una banconota indicando la cifra che voglio in realtà dare. Dopo qualche giro raccolgono il resto necessario e me lo danno.
Sono molto debole e mi fa piuttosto male la ferita al polso. Dopo aver strappato la crosta ora è molto sensibile alla pressione sanguigna. Se tengo il braccio penzoloni, sento la ferita pulsare dolorosamente.
Tornato in albergo, inizio a pensare alla prossima tappa, ma non voglio assolutamente consultare la cartina. Decido che, se dopodomani riuscirò davvero a partire, prima farò i bagagli, li fisserò alla moto accenderò una sigaretta e solo allora deciderò dove andare.
Un’idea e un desiderio ovviamente ce l’ho, ma so perfettamente che sono puramente indicativi, potrei cambiare idea altre 10 volte.

Torna all’inizioTorna all’inizioTorna all’inizio

16-11-2003 “Vagabondo a Marrakech: il marocchino in me”
Con mia grande meraviglia mi sveglio alle 8. Significa che il muezzin non ha cantato (impossibile!) oppure sono riuscito a non sentirlo o almeno non ne ho il ricordo.
Ho delle violente vertigini, di quelle che mi vengono una o due volte l’anno. Sarà perchè ieri ho guardato la cartina e pensato ad un programma?
Ho trovato il nome che darò a questo viaggio: “Marocco 2003: in viaggio col Fato” o qualcosa del genere, visto che di preordinato non ha avuto veramente nulla, ma tutto è stato deciso da contingenze, casualità, imprevisti, incidenti e sbalzi d’umore.
Il diario di Potocki è molto brillante e mi colpiscono alcune sue osservazioni generali sui viaggi, acute e profonde.
Mi decido ad aprire una sezione nel mio sito con citazioni di questo tipo. (NdA ad oggi, marzo 2006, non ho mai creato una sezione del genere e, visti i tempi e gli impegni, credo che non accadrà ancora per un bel po’... purtroppo) Prima però devo vedere se è possibile recuperare tutte quelle che ricordo di aver letto recentemente.
Ha piovuto, il cielo è coperto e uniformemente grigio scuro. Giornata uggiosa.
Nei corridoi trovo come al solito tutti i cestini rovesciati dal gatto che frequenta l’albergo e lo fa rimbombare con le sue lamentazioni. Nessuno ne sembra infastidito, viene preso come un’ineluttabile parte della vita quotidiana. Il gatto c’è, e non potrebbe essere altrimenti.
Sento dietro la porta sciacquare e strofinare. Sicuramente è l’anziana donna delle pulizie. Da quando sa che sto male, ogni volta che mi incrocia mi chiede notizie e si congeda con un “Insciallah”. Il problema è che non parla francese. Ieri mi ha addirittura raggiunto sulla terrazza dove servono le colazioni, sedendosi al mio tavolo. Con espressione sofferente, come a partecipare al mio malessere, mi ha dato la sua spiegazione in un misto di arabo, francese e mimica.
“Doctòr dì mangè mangè mangè (si porta idealmente molto cibo alla bocca) des dattes - poi parole incomprensibili - après boucoup de cacà (si massaggia la pancia con un’espressione ancora più sofferente), boucoup de cacà!”
Se riesco ad alzarmi approfitterò della doccia, sono 3 giorni che non mi lavo.
Provo a far colazione in terrazza. Fa piuttosto freddo. Ci sono molti turisti.
Torno in camera ad indossare, sopra il paio che ho già, degli altri pantaloni di velluto e un altro maglione.
Incrocio la vecchia donna delle pulizie. Mi convinco che non capisce una parola di quello che dico perchè mi fa tre volte la stessa domanda. Poi chiede:
“Douche?”
Dai miei gesti capisce che nell’immediato è un “no” e mi congeda con il solito, onnipresente, consolante, irritante “Insciallah”!
Sento che dovrei imparare molto da loro, dal loro fatalismo che non è necessariamente rassegnazione, ma forse un realismo molto più concreto del nostro, sapendo che in fondo nulla è certo. Probabilmente andrà come noi vorremmo, ma forse no: Insciallah! Più realistici e concreti di così...
Al tavolo a fianco si siede un giapponese che, con gesto rapido, estrae dalla tasca un candido pezzo di stoffa e lo passa sulla sedia su cui sta per sedersi. Non posso trattenere un sorriso, visto il posto in cui ci troviamo!
Qui l’igiene è più una cortesia che gli indigeni fanno agli stranieri. Un’abitudine bizzarra come un’altra, che accontentano (a modo loro) se sono costretti a farlo. Tutte le volte che ho visto le loro zone private (case, retri dei negozi) ho visto sporcizia e luridume in abbondanza, anche in zone frequentate abitualmente. Chiaramente c’è differenza tra igiene e cibo palesemente andato a male come quello che mi sta piegando da 3 giorni: quello avrei potuto trovarlo ovunque, la sporcizia che trovo qui, invece, no.
Attacco bottone con la coppia di americani al mio fianco e gli rivolgo la frase più odiosa, inutile e irritante che si possa rivolgere a chi viaggia.
“È il vostro primo giorno a Marrakech?” gli chiedo mellifluamente.
“Sì”
“Fino a ieri il tempo era magnifico, caldo e soleggiato!”
La battuta che gli ho appena fatto, me la sono sentita rivolgere decine di volte mentre battevo i denti dal freddo in Polonia, Russia, Ungheria, Francia, Spagna, ecc.
Nel giro di un minuto scoppia un violentissimo scroscio di pioggia, il vento trascina sedie e tavolini! Torno di corsa in camera mentre già un raggio di sole si affaccia. Mi tornano in mente le parole di una vecchia canzone di Venditti su Roma dove “se piove è solo per poche ore”. Speriamo sia così anche qui!
Nella mia stanza c’è sempre un gran numero di mosche, mai meno di 10, nonostante ne uccida quotidianamente 5 o 6 e tenga aperta pochissimo porta e finestra. Mi chiedo come sia d’estate.
Il soffio sul microfono amplificato dagli altoparlanti mi annuncia l’imminente richiamo tra le braccia di Allah. Non so perchè, ma mi sembra meno odioso del solito. Forse inizia a sentire davvero prossimo il ritorno e ne provo già nostalgia.
Leggo con grande interesse il diario di Jan Potocki. I passi che mi sorprendono maggiormente riguardano l’abbigliamento delle donne definito svolazzante, semi-trasparente e sconveniente! L’opposto della situazione odierna! Ripenso a ieri sera quando una famiglia di amici del chitarrista si è seduta al suo fianco: madre, figlia e, presumibilmente, marito di quest’ultima. La prima s’è premunita di sistemarsi meglio la parte finale del vestito, chiuso fino alle caviglie e la seconda si è pudicamente coperta una minuscola apertura sul collo. Gli sguardi, i sorrisi, gli atteggiamenti carichi di pudore e dignità erano estremamente affascinanti, ma lontanissimi dall’essere “sconvenienti”!
Leggo divertito delle punizioni corporali cui assiste Jan, incredulo della naturalezza con cui rileva il razzismo verso gli ebrei, poi parla di tribù e santoni, ormai scomparsi, dalle usanze più bizzarre ; scomparsi come le molte belve feroci di cui porta testimonianza, quali tigri, leoni, pantere.
La giornata non è invitante, ma decido di uscire. Non si sa mai che domani parta!
Come alcuni giorni fa, mi stupisco che nessuno, assolutamente nessuno, mi ferma più.
Arrivo al palazzo della Bahia tra uno scroscio di pioggia e l’altro. La residenza è un vero labirinto, magnifico di fresche piastrelle a mosaico, soffitti di legno di cedro intagliato e dipinto, delicate decorazioni geometriche di stucco che adornano archi, finestre e muri, a mò di troump l’œil. La disposizione degli ambienti è solitamente raccolta attorno a cortili quadrati ricchi di piante, con la centro una fontana.
Vado anche al museo Dar Si Sand. Interessante, sia il bel palazzo che lo ospita, sia l’esposizione stessa.
È tardi, ma provo ugualmente ad andare alla medresa Ben Youssef.
Anche stavolta attraverso molti souk passando davanti a decine di bancarelle. Ne provoco alcuni fermandomi davanti ai banchi.
Nulla.
Con altri proco a chiedergli informazioni. Fino a qualche giorno fa tentavano in tutti i modi di trascinarmi dentro il negozio. Stavolta invece mi rispondono.
Non si presenta nessuna guida nemmeno quando spalanco la cartina!
La medresa è chiusa. Sarà per un’altra volta...Insciallah!
Torno indietro. Stavolta, memore delle parole di Canetti, guardo con più attenzione le botteghe. Quelle dedite alla produzione di articoli sono più numerose di quello che ritenevo in un primo momento. Si vedono falegnami, pellai, ciabattini. In confronto alle rivendite sono molto pochi, ma in assoluto ce ne sono parecchi. Quello che però cambia da quanto descritto da Canetti è il fatto che anche chi sembra produrre soltanto, in realtà ha anche una piccola esposizione in vendita.
Noto un numero incredibile di storpi: sciancati, zoppi, monchi, volti deformati, braccia o gambe più corti, focomelici.
Due venditori di croissant si incrociano: si salutano e si augurano buona fortuna. Non sono rivali, non sono in competizione, nessuno ruba clienti all’altro. Al contrario, sono alleati, due esseri simili, fratelli che combattono con la stessa arma la battaglia quotidiana della sopravvivenza.
Decido di comprare un posacenere per la mia stanza a Torino. Passo davanti a una bancarella con un’ampia esposizione. Vengo ignorato. Passo oltre. Altra bancarella 5 metri dopo. Stesso copione. Indugio, mi fermo davanti. In Marocco questo è l’invito più esplicito, l’esca più efficace per i negozianti.
Nulla. Mi avvicino esitante agli scaffali su cui sono esposti piatti, tajine, tazze e altri oggetti in ceramica. Nulla. Torno dal primo. Entro nel negozio. Nessuna reazione! Sono esterrefatto. Chiedo al negoziante:
“Vorrei un posacenere”
Il ragazzo mi porta alla lunga bancarella con decine di questi oggetti dai più piccoli ai più grandi. Mi lascia fare, non mi guarda nemmeno più. Ne prendo uno anche per Valerio.
“Quanto viene questo?”
“20 Dh”
Penso alla cifra, pari a circa 2 euro...che razza di prezzo è? Come faccio a contrattare?? Mica posso dirgli 5 Dh!
“E questo?” chiedo prendendone un altro.
“Attenzione, questo è di Fes! Costa 60 Dh!”
”Ah, ecco, ora va meglio...” penso tra me e me, mentre mi lascio prendere dalla consuetudine ed esclamo:
“60! Ma è troppo!”
“No amico, ti ho fatto il prezzo da marocchino, non da turista! Prezzo da turista è: uno 60, quello di Fes 120 Dh!”
“Ma tu lo sai che sono un turista e non un marocchino”
“Sì, ma sei povero, sei come un marocchino”
“Ma sono un turista!”
“Un turista povero! Io le guardo le persone, ti ho guardato e ti ho fatto un prezzo da marocchino”
Concludo che devo avere un aspetto orribile.
“Fa 80”
“No dai...”
“70” e corre via per prendere il resto della banconota da 100 che gli dò.
“60!” gli urlo dietro. Credo che non mi abbia nemmeno sentito, ma quando torna mi dà 40 Dh di resto!
“Ciao marocchino!”
“Ciao...”
Me ne vado perplesso e, anche stavolta, come spiega splendidamente Canetti, completamente ignaro del prezzo che avrei dovuto pagare. Ho pagato troppo? Poco? Mi ha fatto davvero un prezzo da marocchino? Torno in albergo in tempo per evitare un violento rovescio.
Ho dame di carne, ma ho paura che sia ancora presto. Più tardi vedrò come mi sento.
Mi rendo conto che la mia stanza è in condizioni disastrose. Lenzuola sporche, pavimento lurido con macchie di cibo, tè e altro caduto negli ultimi giorni, bottiglia tagliata a metà, usata nei giorni scorsi in piena crisi e usata a mò di pappagallo, ancora piena di urina, a fianco c’è un sacchetto della spazzatura aperto, il lavandino è incrostato e pieno di residui, mosche morte ovunque.
Forse sono davvero diventato un marocchino!
Un’ora di Internet poi, dopo essermi fatto tentare per bene da tutti i banchi con distese di spiedini di montone, pollo, agnello, cascate di patate, montagne di couscous, piramidi di olive, ceste di verdure e abbondanza di ogni altro ben di Allah, compro una misera pagnotta e torno in albergo deciso a cucinare l’ultima busta di riso liofilizzato portata dall’Italia.
Torno in piazza poco dopo. La pioggia l’ha svuotata di turisti e artisti. L’unico che fa il pieno, come ieri, è il cantastorie.
Sento un urlo regolare, altissimo, poco distante. Sembra quello descritto da Canetti ne “Le voci di Marrakech”! È un vecchio con una specie di liuto in mano. Quando ha radunato in questo modo un po’ di gente inizia a parlare. Tutti sono molto divertiti, ridono e partecipano. Un altro cantastorie!
Mi infilo nei souk. Ora che è tutto chiuso si apprezza il labirinto incredibile di scale, piani rialzati, soppalchi che si intrecciano l’un l’altro senza criterio. Quando sono aperti si offre solo un muro di mercanzia e di persone e si scoprono le scalette qua e là.
Compro due dischi di musica tradizionale marocchina. Il ragazzo ha un’espressione seria, ma quando inizia uno dei pezzi che mi fa sentire inizia a ballare, convinto, per farmi capire che è proprio irresistibile!
Quando pago tiro sul prezzo. Loro insistono, io pure. Mi chiedono:
“Italiano?”
“Sì!”
Scoppiano in una risata e mi fanno lo sconto, come a dire che siamo conosciuti...
Torno in albergo, sistemo i bagagli e vado a dormire.

Torna all’inizioTorna all’inizioTorna all’inizio

17-11-2003 “Marrakech - Essaouira; cascate e jettatore di Imouzzer”
Mi sono completamente rimesso, faccio colazione completa.
Chiedo al barista della terrazza com’è il passo Tizi-n-Test. Qui a Marrakech, a 450 m. slm ieri ha piovuto a dirotto e anche oggi il tempo è brutto. Immagino che il Tizi-n-Test, a 2100 m. sia chiuso per neve.
Così è! Me lo dice con convinzione, senza dubbi.
In altre situazioni non mi sarei fatto convincere, ma i giorni sono finiti e non sono ancora nel pieno delle forze, cerco di evitare altri imprevisti e decido di fare la strada in pianura.
Nuova medicazione al polso. Dolore, ma meno di 2 giorni fa. Foto alla moto sotto l’albergo, parto.
Strada monotona ma diversissima da quella descritta dalla Wharton nel ’17. Lei vedeva deserti pietrosi infiniti senza nulla. Oggi ci sono centrali elettriche, campi coltivati, abitazioni, vita.
Verso Agadir iniziano basse montagne. In lontananza vedo alte cime innevate. Fa piuttosto freddo, vento potente.
Gli incidenti mi hanno reso timoroso, mi sembrano tutti contromano. Un camion con rimorchio però È contromano! Mi attacco ai freni. Per sorpassare ha invaso anche la stretta banchina di terra battuta della mia corsia. In una nuvola di terra rientra, non vedo nulla. Passata anche questa.
Agadir: palazzoni sulla spiaggia, enorme. Placide onde si infrangono.
Zona industriale devastata lungo pezzo di litorale. Cementifici, enormi sfere, capannoni, ciminiere.
Deviazione per Imouzzer. Inizio deludente, poi entro in una gola spettacolare. Palme altissime, piccolo torrente in letto pietroso che crea pozze di tutte le tonalità di verde e azzurro. Si sale un po’, ho di nuovo freddo.
Cerco le cascate. Fermo 2 ragazzini. Un signore di mezza età con la fisionomia da alcolizzato, viscido e disgustoso nei modi, impone la sua presenza.
Cascate asciutte, salto impressionante. Da qui si tuffano quando c’è abbastanza acqua.
È quasi buio. Dò 3 Dh ai ragazzini, il vecchio inizia a chiedere. Uno dei ragazzini vorrebbe chiedere di più, poi capisce che non è aria, avverte la tensione tra me e il vecchio, e si dilegua.
Il vecchio diventa sempre più insistente ed aggressivo. Sono deciso a non dargli nulla.
Accendo la moto, si piazza davanti e in francese stentato mi dice, con l’indice puntato verso di me:
“Se non mi dai nulla per il parcheggio, questa sera morirai”
Parto quasi scappando da quell’uomo orribile e dalla sua maledizione.
Piuttosto che fare 45 km di pista sconosciuta, al buio e col malocchio sulla testa, preferisco farne il doppio su asfalto e rifaccio la strada inversa, verso Agadir.
Sono su tutte le furie, vorrei colpire quell’uomo come lui ha colpito me.
Guido con questo pensiero fisso e, dopo gli incidenti, sono ancora più scosso. La strada è molto stretta e al buio diventa molto impegnativa.
Man mano che passano i km riesco a tranquillizzarmi e rilassarmi. Mi chiedo quale dio possa togliermi la vita per non aver dato dei soldi a qualcuno. Mi viene anche da ridere pensando che, se così fosse, la mia vita varrebbe veramente poco!
In un’ora arrivo di nuovo sulla statale e punto su Essaouira. Vorrei fermarmi: se lungo la strada trovo un albergo con ristorante lo faccio, altrimenti proseguo.
Vado piano e con prudenza forse eccessiva quando vengo superato, a velocità quasi doppia, da un’auto. Mi aggancio sentendomi come la piccola barca de “Il vecchio e il mare” di Hemingway, trascinata a grande velocità dal Pesce.
Dopo diversi km raggiungiamo una macchina che va un po’ più piano. Ne approfitto per cambiare lepre e guidare con più calma.

[Riordino i ricordi sul traghetto, 3 giorni dopo. Scrivo a matita perchè ho perso la mia amata stilografica].

La strada corre a picco sul mare. Il buio della strada punteggiato solo dalle rare luci dei pescatori, continua a rimandarmi alle parole del Grande Jettatore. Alla fine trovo una interpretazione che me le fa assimilare e, ancora meglio, con la quale concordo!
Mi aveva detto che sarei morto. È vero. Muoio...di rabbia per non essere riuscito a passare di qui con la luce del giorno! Deve essere una strada bellissima, alta sul mare con ripide scogliere.
Ora non posso far altro che immaginarla e immergermi nelle consuete meditazioni notturne. Passo sotto un faro gigantesco che lancia 4 fasci di luce potentissimi. Ciascuno spazza, ruotando, le colline alle spalle via via fino all’oceano, per poi tornare verso di me.
Torno nell’oscurità più fitta, decido di fermarmi. Un veloce pensiero corre al pericolo di qualche cane annidato nell’oscurità, che avrebbe tutto il tempo di aggredirmi mentre tento di riaccendere la moto, con la pedivella.
Il pensiero si scioglie nella miriade di stelle che mi sovrastano, arrotolo una sigaretta, per un attimo mi sento parte, divento parte di quello che mi circonda.
Riparto. Alle 22 arrivo ad Essaouira. Ho difficoltà a trovare l’albergo indicato dalla guida. Mi fermo davanti ad un altro albergo, provo a chiedere: Hotel Sahara, 80 Dh con doccia, ottimo e molto carino.
Esco per mangiare qualcosa nel centro storico. Passo sotto ad alte mura merlate, perfettamente illuminate. Le strade sono eleganti e pulitissime. Non sembra più Marocco, ma Francia.
Trovo un ristorante ancora aperto in piazza. Fa freddo e salgo al piano di sopra. Meccanicamente saluto quelli al primo tavolo. Metto a fuoco: sono 2 ragazze sole, vestite in modo molto appariscente. Per usare le parole di Potocki: sconvenienti.
Continuano a guardarmi, sono a caccia di clienti. Il terzo e ultimo avventore è un ragazzo, solo. Mi lancia delle occhiate imbarazzanti.
Mi siedo nell’unico tavolo libero: a sinistra le signorine, a destra il signorino.
Guardo fisso davanti a me e mando qualche sms per sembrare meno imbarazzato.
Una delle ragazze si alza e si siede accanto a me. Per fortuna non mi rivolge la parola: non sono in vena di chiacchiere nè tantomeno di altro.
Dopo 5 minuti capisce e torna a fianco dell’amica. Dopo altri 5 minuti se ne vanno. Resto solo col ragazzo.
Mi giro di sfuggita e lo osservo. Evidentemente il mio atteggiamento con le ragazze deve averlo incoraggiato. Manco solo che tiri fuori la lingua e siamo a posto! Per il resto, mi guarda con occhi di fuoco ed è proteso con tutto il busto (spero solo quello!) verso di me.
Dopo 10 minuti di quella posizione da fachiro e della mia ingrata indifferenza, anche lui va a cercare altrove.
Rimango da solo, a finire la mia tajine di pesce.

Pagina precedente
Pagina 7

Pagina successiva
Pagina 9

Torna all'inizio della pagina

Torna all’inizio
della pagina

Torna all'inizio della pagina