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 Diario di viaggio Marocco 2003

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(Ouarzazate, valle e gole del Dades, gole del Todra, Valle delle Rose, Marrakech)

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Giornate:
07 novembre 2003
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09 novembre 2003
10 novembre 2003
11 novembre 2003
12 novembre 2003

07-11-2003 “Ozio a Ouarzazate”
Anche stamattina mi sveglio alle 4:50, pochi minuti prima della sirena ululante che risveglia la città per il pasto precedente l’inizio del Ramadan.
Dopo qualche istante dalla fine dell’allarme, esplode un potente colpo di cannone. Sono fuori di testa!!
Mi riaddormento all’istante e pesantemente, visto che non sento il lamento dei muezzin alle 5.
Mi alzo alle 8, doccia a pezzi fatta con il lavabo in camera.
Faccio colazione, la stessa che servono in tutto il Marocco. Un alto bicchiere di spremuta d’arancia, un canestro di pane affettato (in questi giorni di Ramadan spesso non è molto fresco), 2 ciotole o piattini, uno con il burro, l’altro con la marmellata. A chiudere, a scelta, cafe noir oppure cafe au lait.
Lavo un po’ di indumenti e aspetto Katia sentita via SMS e che dovrebbe arrivare da Zagora verso le 12.
Dovremmo fare qualche giro in moto per un paio di giorni, poi ho intenzione di proseguire per Marrakech. A furia di fare soste e deviazioni impreviste sto finendo i giorni senza aver ancora visto le attrazioni principali. Buon motivo per tornarci...
Le ore passano, indistinte. Leggo avidamente “Il tè nel deserto”, è quasi finito e penso con preoccupazione ai giorni che rimangono. Mi immergo nella storia con un misto di brama, curiosità e angoscia.
Le prime perchè è scritto molto bene, con uno stile asciutto ma ricco allo stesso tempo e l’ultima perchè ritrovo numerose analogie tra la storia di Port e Kit e quella mia e di Manu degli ultimi mesi.
Leggo riscaldato dal sole ancora potente dietro uno dei tavolini del bar sotto l’albergo. Sono assalito, come sempre, da 5 o 6 mosche avido del mio sapore per loro esotico.
Arriva finalmente un cat cat che scarica Katia, seccata per la discussione avuta sul prezzo del passaggio da Zagora. La mattina stava per prendere il bus che sarebbe arrivato qui alle 13 quando uno dei suoi nuovi amici le ha proposto il trasporto su una macchina di amici. Il tutto alle 9. Alla fine, senza particolari spiegazioni, è partita proprio alle 13!
È amareggiata dalla discussione. Conveniamo sul fatto che molto degli atteggiamenti che riscontriamo così spesso finiscono per tirare fuori il peggio di noi stessi.
Per esempio, non sono mai stato assolutamente sospettoso. Ho viaggiato diverse volte in Russia e una delle cose che più mi diverte notare nelle persone che vengono con me è il loro cercare un secondo fine nei favori ricevuti dagli indigeni. Invece, nella stragrande maggioranza dei casi i patti sono chiari fin dall’inizio, se si tratta di affari o favori.
Qui no. Vieni approcciato con la scusa di un favore o di una chiacchiera e finisci quasi sempre nell’ennesima Maison Berbere.
Non facciamo in tempo a terminare queste riflessioni che dal tavolino a fianco veniamo interpellati:
“Espanol?”
“No, italiani!”
“È la prima volta au Maroc?”
“Sì!”
“Piace?”
“Sì!”
“Se volete, più tardi passate nella mia agenzia di tour in cat cat, ecc ecc ecc”
Che tempismo!
   

Ouarzazate

 

Cinecittà maroquaine
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Ouarzazate

 

Castello di fango - 1
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Ouarzazate

 

Castello di fango - 2
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Ouarzazate

 

Castello di fango - 3
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Nata come uno scambio curioso e amichevole di battute, finisce immancabilmente con l’offerta di servizi, in questo caso, o di merce negli altri.
Andiamo nell’albergo per prendere una stanza per Katia. La prima è un buco. La seconda puzza di fumo. La terza è vicina al bagno comune. La quarta, con gioia del receptionist, va bene.
Passeggiata in centro, vogliamo fare due passi e cercare un negozio o qualcuno che possa affittarci un casco.
Il paese è deserto, è l’ora del pasto della fine del Ramadan.
Ci infiliamo nei disordinati dintorni della larga strada principale. Veniamo fermati da un tizio che lavora nell’hotel di fronte al nostro. Ci offre delle stanze a un prezzo irrisorio.
Ceniamo, appuntamento alle 8 del mattino successivo per partire alla volta delle gole e della valle del Dades delle gole del Todra.

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08-11-2003 “Valle e gole del Dades”
Siccome non pensiamo di farcela in giornata, portiamo un po’ di necessarie per pernottare fuori.
Andiamo al negozio indicatoci la sera prima da un paio di motociclisti francesi. Affitta moto da enduro.
Propone un casco senza visiera, ma decido per un integrale. Prezzo chiesto per 2 giorni: 15 euro.
“Follia!”, così inizia la contrattazione di Katia che offre 5 euro.
Nulla da fare. Lunghe discussioni, lei si innervosisce.
“Ok, 10 euro, ma non di meno!”
“Fabio andiamo, metterò il foulard!”
 

Lago di Ouarzazate

 

Mare interno
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Non voglio intromettermi per non offrire un alleato insperato al tipo del negozio, ma ho intenzione di parlarle fuori. Per fortuna si raggiunge un accordo: 5 euro con passaporto come cauzione.
Lungo il tragitto ci fermiamo diverse volte: sul lago vicino Ouarzazate, nella kasbah di Skoura e in altri punti.
   

Valle del Dades

 

Fiume possente
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Valle del Dades

 

Nido d’aquila
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Valle del Dades

 

Stendino per datteri
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Valle del Dades

 

Nothing but mud
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Entriamo nella valle del Dades. Km dopo km sono sempre più deluso. È un nastro unico di nuove costruzioni, senza soluzione di continuità, che
   
 

Valle del Dades

 

Skyscraper
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Valle del Dades (cimitero islamico)

 

Profondo raccoglimento
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sommerge gli antichi villaggi fortificati per i quali è famosa la valle. Per vedere qualcosa occorre addentrarsi tra le abitazioni sulla destra, verso il fiume.
In un caso ci spingiamo fino al fiume. Campi coltivati sullo sfondo di una gola piuttosto profonda e molto ampia.
L’erede di quello che un tempo doveva essere un potente fiume, scorre ora con il lieve gorgoglio di un piccolo torrente.
Le gole del Dades iniziano con piccoli villaggi che colorano il panorama con piccoli appezzamenti coltivati che sfruttano ogni metro disponibile. Le gialle sfumature dell’autunno rendono tutto ancora più incredibile, sullo sfondo di rocce che assumono le sfumature più assortite: ocra, rosso, verde, grigio, giallo, marrone in infiniti melange.
La strada si impenna in un passo a picco sul fiume, da vertigine. Gruppi di italiani
   
 

Gole del Dades

 

Nessun bungee jumper?
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Gole del Dades

 

Profondo rosso
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Gole del Dades

 

Pozza invitante
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assiepati attorno a una mostra improvvisata di bigiotteria “berbere”.
Proseguiamo la strada asfaltata per molti km. È tardi, ma quando dico a Katia che esiste una pista che sfocia nelle gole del Todra, consentendo di concludere il giro che avevamo in mente, insiste per proseguire.
Ho ancora in mente le parole di Fedro e Francesco, che definivano quella pista come impraticabile, ma proseguo.
Il sentiero in alcuni punti è pessimo, ma si riesce ad andare avanti. Tra un’ora sarà buio. Non sono sicuro della strada, vorrei chiedere a qualcuno, ma non si vede nessuno.
Il Fato torna ad aiutarmi. All’orizzonte vediamo arrivare due moto. Sono francesi, hanno appena fatto la pista per il Trodra. Quando chiediamo informazioni sono categorici:
“Con quella, per giunta in 2, non passate!”
Katia si convince, la mia scarsa intenzione svanisce. Torniamo sui nostri passi diretti all’albergo dei 2 motard.
Finora sono andato molto piano per far abituare Katia alla moto. Ora però voglio divertirmi un po’ sulle invitanti curve e ingrano un’andatura fluida e brillante. Lei mi segue col corpo e inizia una danza sinuosa sul serpente di curve annidato tra pareti di roccia infiammate dal tramonto.
Mi sento magnificamente a mio agio.
Arriviamo all’albergo dove alloggiano i motociclisti. Mando avanti bulldozer-Katia che si informa sul prezzo.
Il ragazzo della reception è confusionario, non si riesce a capire la differenza di prezzo tra le diverse sistemazioni. Per giunta fa storie perchè vogliamo 2 singole: vorrebbe aggiungere un lettino in una angusta matrimoniale.
È uno spettacolo vedere Katia in azione: è il mio esatto opposto. Non molla fino all’ultimo e oppone una forte resistenza a tutto ciò che non risponde in pieno alle sue richieste o aspettative. Dovrei prendere un po’ da lei.
Stavolta non riusciamo a raggiungere un accordo.
“Fabio, andiamo!”
Ok, in fondo la valle è piena di alberghi! Ci fermiamo al successivo, la Kasbah de La Vallee. L’esterno è molto bello, l’interno anche.
Va a discutere per la sistemazione mentre parlo con Mohamed, guida esperta del deserto che collabora con AnM (ma quanti sono?!).
Torna dopo una decina di minuti, non riesco ad interpretare la sua espressione. Aspetta che finisca di parlare con Mohamed che, quando capisce che forse non restiamo lì, torna con lei a mediare nuovamente sulla camera.
Dormiamo in doppia. Panico, anche se i letti sono separati.
Non sono assolutamente abituato a dormire con altre persone in camera. Ho difficoltà quando sono amici, se si tratta di persone che conosco poco è ancora peggio. Si vedrà.
Praticamente salto la cena per la tensione, mitigata in parte dalla chiacchierata con la guida e la sua protetta, una giovane francese in viaggio da sola.
Fa molto freddo, la stufa che ci danno è rotta. Sto gelando, in un misto di nervosismo e temperatura da cella frigorifera.
Ci stringiamo attorno al caminetto mentre si parla di tutto. Affari, vita quotidiana in Marocco, politica.
Si va a dormire.

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09-11-2003 “Valle delle Rose; gole del Todra”
Praticamente non chiudo occhio. Non mi sopporto quando sono preda così assurdamente della mia tensione. Anche Katia si rivolta come una frittata, ma quando ci alziamo alle 8 dice di aver dormito.
Colazione e partenza verso il nido d’aquila di ieri, stavolta con la luce brillante del mattino.
Seguiamo il cat-cat di Mohamed fino alla pista per la Valle delle Rose. Ce l’ha consigliata lui ieri sera, indicandoci il punto in cui usciremo...se non sbaglieremo strada!
   

Valle delle Rose

 

Grand Canyon
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Valle delle Rose

 

Vado bene di qua?
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Valle delle Rose

 

Poi fate anche il pane?
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Valle delle Rose

 

Wanted, dead or alive - 1
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Valle delle Rose

 

Wanted, dead or alive - 2
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Ci addentriamo in una valle che a volte ricorda le immagini tipiche del Grand Canyon statunitense, con le sue basse e piatte montagne stratificate, rosso intenso.
Vorrei avere conferma della direzione da qualcuno, ma incontriamo solo sporadici greggi di capre e pecore.
Arriviamo in un villaggio piuttosto grande, sviluppato in un’ampia rada attraversata da un ouadi che dona la vita ai campi circostanti.
Valichiamo la montagna che ci separa dalla Valle del Dades, lontana ancora una trentina di km.
Fino ad oggi i posti più belli ed emozionanti li ho raggiunti tramite pista.
Arriviamo all’asfalto e sgroppiamo fino alle gole del Todra attraversando un immenso e desolato altopiano.
Incontriamo di nuovo Mohamed e la “gazelle”.
Mangiamo un boccone poi iniziamo l’esplorazione delle gorges.
Sovrastiamo un ampio e rigoglioso palmeto finchè la montagna non minaccia di stritolarci. Sembra caderci addosso, così alta e stretta. Nel punto più spettacolare l’apertura è ridotta a pochi metri. Piccola feritoia in una superba e massiccia barriera di pietra alta centinaia di metri. A fianco della sottile banchina di cemento, il solito debole, pallido erede della furia che ha creato questa spettacolare scenografia.
La strada asfaltata prosegue e la seguiamo per molti km. Attraversiamo alcuni villaggi in cui i ragazzini e anche quelli un po’ più grandi sono più aggressivi di quelli incontrati finora. Si legge negli occhi di alcuni di loro la rabbia per questa continua sfilata non richiesta di cat cat, moto, pulmini.
Cosa ha portato qui il turismo? Polvere, inquinamento, rumore, pericolo, verosimilmente morte, che sia anche solo di animali investiti.
È molto tardi, vorrei tornare a Ouarzazate anche se è distante più di 200 km.
Raggiungiamo Mohamed e la francesina nell’albergo ricavato nell’orrido. Lo salutiamo accettando qualche enorme dattero e l’immancabile tè alla menta.
Partiamo col buio, il piccolo guado attraversato per arrivare all’hotel è illuminato solo dal faro di Zukki.
Il cielo è minaccioso, ben presto inizia a piovere.
Usciamo da Tinherir, corriamo in un mondo oscuro, senza il minimo segno di vita.
Zukki proietta uno stretto fascio di luce che precede i nostri passi e accompagna i miei pensieri.
La pioggia arriva, improvvisa e abbondante. Il cono di luce illumina un bianco muro d’acqua. Non rallento, nemmeno quando si aggiunge un potente vento laterale. Sarà una lunga serata...
L’obiettivo rimane ancora Ouarzazate, anche se dista ancora 180 km.
La pioggia si interrompe, poi riprende, poi di nuovo si interrompe.
La Valle del Dades fatta al buio è ancora peggio: decine e decine di persone ai lati della strada, invisibili nei loro burnus; via vai zigzaganti di biciclette e auto.
Finisce anche la valle, torniamo nel deserto illuminato dalla luna, tornata in grande forma.
Improvvisamente un grosso cane attraversa la strada: lo evito per un pelo (suo).
Dopo un paio d’ore arriviamo in città. Prendiamo informazioni per il pullman di domani che riporterà Katia a Zagora.
Piacere proibito di un paio di birre. Chiacchieriamo anche con un marocchino che ci illumina su alcuni aspetti e curiosità del suo Paese. Ad esempio ci spiega che alla tv, quando vedevamo la fine della giornata di Ramadan, le immagini si riferiscono sempre e solo a Rabat, mentre nelle altre parti del Marocco occorre aspettare che il sole tramonti effettivamente, quindi si aspetterà da pochi secondi ad alcuni minuti.
Ama molto il nuovo re, che definisce “bello” e di cui si può vedere la moglie (fino ad oggi la regina non si faceva vedere dai sudditi).
Scopriamo che spesso qui i figli non vanno con la madre, ma col padre, che da poco tempo hanno introdotto gli alimenti a seguito di un divorzio, che anche la donna divorziata può risposarsi e che, per quanto riguarda i matrimoni combinati, sono i genitori del figlio che gli trovano moglie, ma lui può rifiutare (non capisco se anche lei ha la stessa facoltà) e, per ufficializzare il fidanzamento, la famiglia di lui fa un regalo alla famiglia di lei.
Dopo questa lezione, crolliamo a dormire, esausti.

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10-11-2003 “Kasbah di Taourirt; arrivo a Marrakech”
Sveglia presto per visitare la kasbah di Taourirt, abbracci e saluti. Katia torna a Zagora, io vado a Marrakech.
La prima città imperiale del viaggio. Sorrido pensando al progetto iniziale del viaggio, che avrebbe dovuto attraversare tutte le città imperiali mentre adesso sono in forse su quali altre riuscirò a vedere prima di dover tornare in Italia. Il pensiero di avere un biglietto prenotato che in maniera così netta e decisa pone un limite al mio orizzonte temporale, come un cancello che già vedo vicino e che so essere invalicabile, mi disturba molto...
   

Col Tichka

 

Sempre più in alto!
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La strada del Tizi-n-Tichka si trasforma da brulla e pietrosa (lato Ouarzazate) a fertile e verdeggiante (lato Marrakech) con numerosi e imponenti pini di montagna.
   
 

Marrakech

 

Ennesimo Grand Hotel
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Tramonto di mille colori, ingresso in Marrakech.
Intrecci impossibili e fitti di motorini, biciclette, persone e sporadiche auto.
Giro notturno nella incredibile piazza Djema el Fnaa. Banchi con cibo, bevande, si miscelano fumo, profumi, si sovrappongono artisti di strada, danzatori, suonatori, narratori, mendicanti.
Torno presto in albergo per riposare, leggere, scrivere.

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11-11-2003 “Rapito dall’incredibile Marrakech”
Pessima nottata: mi addormento alle 23:30 e mi risveglio dopo 3 ore. Fino alle 6 leggo e finisco “Il tè nel deserto”. Magnifico, ma triste e in alcuni punti angosciante. Oggi decido se iniziare un libro di Canetti o uno di Potocki.
Alle 3, alle 4:50, alle 5 e alle 5:15 sono assordato dai lamenti nasali dei muezzin che, scaglionati di pochi secondi l’uno dall’altro, si levano su tutta la città. Quello a me più prossimo si interrompe e si schiarisce la voce un paio di volte. Capisco così che è ben reale e non un nastro come da tante altre parti.
Giro in città immergendomi nei souk e nella kasbah.
   

Marrakech

 

Girone dantesco
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Marrakech

 

Porta segreta
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Marrakech

 

Piscina all’aperto
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Marrakech

 

Soffitto spartano
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Marrakech

 

Giardino senza pretese
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Marrakech

 

C’è Tan Tan?
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Marrakech

 

Vendesi erba (magari!)
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Marrakech

 

Spianata delle cicogne
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Marrakech

 

Ingresso vietato
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Marrakech

 

Arabesque
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Marrakech

 

Porta di servizio
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Marrakech

 

Carne fresca
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Marrakech

 

Casa, dolce casa - 1
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Marrakech

 

Casa, dolce casa - 2
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Marrakech

 

Chi è più alta?
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Marrakech

 

Torre di controllo
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Marrakech

 

Porte blindate
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Marrakech è impressionante, la materializzazione della vita stessa: travolgente, caotica, anarchica.
C’è una quantità incredibile di persone, motorini, biciclette.
Coloratissime botteghe si compongono in un mosaico affascinante, incastonate in mura sbrecciate e vicoli oscurati da radi cannucciati.
È incontenibile e onnicomprensiva, elegante e sgraziata, linda e lurida, profumata e maleodorante, monumentale e soffocante, ordinata e labirintica. Tutto e il suo contrario.
Nella kasbah assisto ad un funerale. Come mi aveva avvertito un ragazzo a Taroudant, quando passa il corteo tutti devono fermarsi. Anche stavolta non c’è disperazione, tutti cantano sommessamente. Il corteo è aperto da alcuni uomini dalle espressioni invasate, come si vede alcune volte nei servizi televisivi, in occasione delle esequie di qualche “martire”. Subito dietro viene portato un semplicissimo feretro posto su una spartana tavola portata a spalla da 4 persone (a Taroudant erano in 6). In coda il resto del corteo, a piedi.
I cimiteri islamici sono difficili da individuare poichè sono semplici mucchi di pietre senza lapidi nè iscrizioni, posti in fazzoletti di terra non recintati nè segnalati in alcun modo. La testa e a volte i piedi sono evidenziati da una pietra aguzza posta verticalmente, a mò di lapide, ma senza incisioni o scritte: completamente grezza. In breve tempo i tumuli scompaiono, inghiottiti e stravolti dalla terra stessa. Ben diversi dai nostri santuari a imperitura memoria e minaccia.
Visito le tombe dei saadit e ricordo il brano della Wharton che ha la fortuna, prima occidentale in assoluto, di poterle visitare nel ’17, quando furono scoperte per caso. Si entra attraverso un angusto corridoio tra alte pareti spoglie, poi si sbuca in un rilassante cortile. Osservo rapito il lento volteggiare circolare di una decina di cicogne.
Mi immergo nella kasbah. Mentre vado al palazzo della Bahia vengo fermato da alcune ragazzine in pausa dalla scuola. Iniziamo a chiacchierare mentre se ne aggiungono altre. Hanno sui 14/15 anni e sono molto curiose e simpatiche, scherzose. Da lontano sento i ragazzi che iniziano a chiamarmi, urlare e protestare. Alla fine uno di loro si avvicina mi chiede cosa cerco e mi trascina via, indicandomi la strada per la Bahia.
Mi ricorda quanto accaduto in Iran qualche anno fa, quando mi si avvicinò Myriam per parlare un po’ in inglese. Quella volta, però, si formò immediatamente un grande capannello di ragazzi che la schernivano con battute, risate e gridando in falsetto “I love you! I love you!”. Insopportabili e, per lei, umilianti.
Qui si vedono sia donne coperte che scoperte, almeno esteriormente la situazione sembra migliore che in Iran.
Ma basta tentare un qualsiasi contatto che le donne si nascondono o non rispondono oppure accade come con le ragazzine.
In ogni caso le ragazzine non demordono e dopo che il ragazzo mi lascia sulla strada, mi sbucano alle spalle per accompagnarmi. Hanno molta fretta perchè tra pochi minuti devono rientrare in aula.
Mi chiedono se sono sposato e quando rispondo di no, scoppiano in risate argentine e scambiano commenti tra loro.
Nel palazzo della Bahia incontro una famiglia di russi, con cui scambio con piacere 4 chiacchiere in questa lingua un po’ arrugginita.
Attraverso un unico, grande souk verso la Grand Place, come viene chiamata Djema el Fnaa.
Mi fermo a comprare del tè verde. Lo speziere indica una ragazza ed esclama:
“C’est une putaine!”
“Ah!”
Mi dice che hanno dai 14/15 anni in su, a 20 sono già vecchie. Mi chiede se ne voglio una, poi al mio rifiuto mi offre dell’hashish.
“È sufficiente il tè, grazie!”
Proseguo a nord, verso la medresa Ben Youssef.
Vengo apostrofato in continuazione ma riesco quasi sempre a liberarmi dagli scocciatori.
Torno in albergo con i piedi fumanti e la mente eccitata dalla giornata.
Mangio un po’ di tonno con le olive comprate al mercato, poi esco. Stasera sono annoiato e mi decido ad andare all’Internet Cafè dopo aver scritto alcune cartoline. In altre parole faccio in sequenza le due cose a cui da settimane non pensavo nemmeno.
La navigazione è lentissima e per lo meno mi convince a non provarci più per il resto della vacanza.
Trovo con grande piacere una mail di mio cugino Roberto, lo andrò a trovare quanto prima!
Faccio un giro in piazza passando da un capannello all’altro. Alcuni sono veri artisti, altri sono semplici mendicanti che picchiano indefinitamente su un tamburello.
Tutti contribuiscono a creare un tappeto sonoro di suoni striduli di flauti, canti, urla, percussioni.
Torno in albergo, inizio “Le voci di Marrakech” di Elias Canetti.

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12-11-2003 “Gita da dimenticare alle cascate di Ouzoud con...cascata”
Mi sveglio di cattivo umore al frastuono di un martello pneumatico.
Vorrei fare una doccia, ma desisto. Non mi va di lavarmi a pezzi nel lavabo. Se trovo una doccia in comune bene, altrimenti mi laverò nei prossimi giorni.
Dopo alcuni minuti bussano alla porta: è l’anziana donna delle pulizie, coetanea della figlia di Maometto, che mi offre di fare la doccia nella camera a fianco, appena liberata.
Accetto di buon grado, anche se la mia sospettosità mi avverte che probabilmente mi chiederà qualcosa. È insopportabile, non sono mai stato diffidente, eppure qui lo si diventa.
Appena rientro in camera, bussano di nuovo. È ancora la vecchia, mi chiede qualcosa per la doccia.
Vado a fare colazione. Per la prima volta da quando sono partito, faccio un programma per i prossimi giorni. Scopro con tristezza che li ho finiti, salterò moltissime cose. Pazienza, ci tornerò.
Mi scaldo al potente sole di Marrakech, poi mi preparo alle cascate d’Ouzoud. Spero mi faccia tornare il buonumore.
Mi getto nel traffico, esco dalle mura della Medina. Mi ritrovo in larghi ed eleganti boulevard. Questa città non smette di meravigliarmi. È in grado di unire il fascino limpido e sobrio di Parigi a quello multicolore e caotico dell’Africa. Corro verso Fes, poi devio verso Ouzoud. Al benzinaio incontro un marocchino che lavora a Firenze.
“Non hai paura a viaggiare da solo?”
“Mica è pericoloso il Marocco!”
“No, però...”
“È peggio l’Italia!”
“Ah sì! Dov’è che vai?”
“Cascate d’Ouzoud”
“Belle...ma attento alla strada che è pericolosa!”
Grattatina d’ordinanza e riparto. Il cielo è luminoso, il sole caldissimo ma l’aria rimane fresca, ho quasi freddo.
   

Verso Bin El Ouidane

 

Agricoltura meccanizzata
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Verso Bin El Ouidane

 

Poster
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Verso Bin El Ouidane

 

Gomma verde
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Il paesaggio diventa simile ad alcune zone del sud Italia: pini, bassa macchia mediterranea, terra rossa, muretti di pietra a secco. Anche gli odori sono familiari, mi ricordano quelli che ho sentito per anni in Calabria.
Proseguo per Azilal, valico un paio di montagne quando compare improvvisamente un gioiello turchese incastonato in una montatura rossa e verde.
È un grande lago artificiale creato da una diga sulla quale passo qualche km dopo.
Mi fermo ad ammirare il paesaggio. Su un'altura a pochi metri da me c’è un contadino che spinge, frusta e continua a parlare ad un cavallo ed un asino che tirano con poca convinzione un primitivo aratro a lama singola.
Sembrano volergli dire:
   
 

Verso Ouzoud

 

Geometria agricola
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“È inutile, lo sai...perchè ti accanisci?”
Ma lui non ascolta, si ostina a voler arare quel minuscolo triangolo.
La strada si addentra nelle colline e dopo diversi km si divincola da una stretta vallata, portandomi a volo d’uccello su un’ampia pianura coltivata.
Mentre scendo in un paesino, all’ultimo secondo vedo una bambina sbucare da dietro un palo, girarsi verso le amiche rimaste sul marciapiede e cominciare a correre per attraversare la strada.
Questione di istanti: è in piena traiettoria, inizio a frenare, la prendo! la moto si intraversa, oddio la prendo!! controsterzo, investo...la coda del suo grembiule, gonfiato dal vento.
La sfioro, mancandola per pochi centimetri, remo ancora un po’ col manubrio poi volo sull’asfalto.
La bambina spaventata scappa dalle amiche.
Sono furioso: con lei e con me. Zukki è in terra. Passa un signore che esclama:
“È andata bene!”
e prosegue, senza aiutarmi.
Lo richiamo e la alziamo. Non si è fatta praticamente nulla. Per fortuna stamattina, dopo aver titubato a lungo, indeciso tra jeans e completo in pelle, ho optato per quest’ultimo. Le escoriazioni di giacca e pantaloni sono in corrispondenza delle protezioni rigide sottostanti. Con dei vestiti normali mi sarei fatto molto più male, ora invece sono a posto.
Provo a far ripartire la moto, ma i carburatori si sono svuotati. Sono circondato da ragazzini, alcuni silenziosi, altri scherzano tra loro. Mi indicano un meccanico poco più in là, ma preferisco provare ancora un po’ per conto mio.
Finalmente si riavvia e i ragazzini, come per incanto, usciti dall’ipnosi della novità, dello straniero che tenta di far ripartire una moto, si rianimano e in molti, contemporaneamente, tendono la mano verso di me in un coro di:
“Monsiuer, un dirham!”
Mi sale la rabbia, sia per la caduta, sia per la situazione così paradossale. Fortunatamente mantengo il controllo.
Riparto, avvilito da una caduta così stupida. Continuo a chiedermi se ho fatto abbastanza, se potevo evitarlo. Chi lo sa?
Prendo il bivio per Ouzoud e torno tra le montagne. supero delle splendide e imponenti gole, corro su una strettissima lingua di asfalto aggrappata alla roccia.
Curve e controcurve. Una macchina a forte velocità, occupando l’intera carreggiata, si materializza dietro una curva cieca.
Di nuovo, questione di istanti. Freno per quello che posso, allargo la traiettoria stando attento a non avvicinarmi al ciglio della strada, a strapiombo.
Anche lui frena, se sterzasse un po’ mi eviterebbe. Vado a sbattere sul faro sinistro. Brutta botta.
La moto è storta, la forcella è andata. Me la cavo con una botta alla mano destra, una grande escoriazione sul polso sinistro e una forte contusione al fianco destro.
Discutiamo un po’, è un marocchino che lavora in Italia, la macchina è targata Genova. È molto dispiaciuto. Anch’io.
Come poco fa, sono arrabbiato con me stesso perchè non so se ho fatto abbastanza per evitare l’incidente.
Alla meglio riparto, col manubrio completamente storto a causa della forcella svirgolata, ma almeno riesco a proseguire.
In una sorta di stakanovismo, non so bene per quale orgoglio o determinazione o pretesa di normalità, decido di non variare il giro e le destinazioni e proseguo per le cascate, con l’intenzione di vederle.
Dopo 5 km arrivo, litigo per il parcheggio e con una pseudo-guida. Trovo da solo i sentieri.
   

Cascate Ouzoud

 

Rubinetto rotto - 1
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Cascate Ouzoud

 

Rubinetto rotto - 2
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Lo spettacolo è eccezionale, alcuni torrenti spiccano salti di oltre 100 metri in un anfiteatro scavato dalle loro stesse acque.
Non mi godo la visita perchè non sto bene
Torno alla moto e riparto. Ho paura di perdere la targa perchè si è rotto il telaio che la sostiene e si regge su una sola vite, rispetto alle 4 originali.
Ironia della sorte: strada bellissima e tramonto tra i più belli visti in Marocco.
Scende l’oscurità. La strada è larga, ma arriva nell’altro senso una macchina completamente contromano.
La evito per un soffio, mi spavento molto perchè procedeva a grande velocità.
Arrivo sulla statale, mi tranquillizzo un po’. Il problema è che, con l’anteriore svirgolato, il faro illumina la carreggiata opposta! L’abbagliante, addirittura, illumina gli alberi oltre l’opposta banchina!
Grazie al faro storto che illumina il campo oltre l’altra carreggiata, mi accorgo di un movimento tra l’erba alta. Pochi istanti dopo sbucano 3 cani in corsa che attraversano la strada. Anche se in preallarme, la situazione è pericolosa e li evito per un soffio.
Sono stanchissimo, questi continui incidenti mancati mi fanno saltare i nervi. Urlo a squarciagola:
“COSA CAZZO SUCCEDEEE?? CHE C’EEEEEE’???”
Nessuna risposta.
In un paio d’ore dalle cascate arrivo a Marrakech. Un carretto, nonostante il semaforo rosso, mi taglia pacioso la strada.
Sono a pezzi.
Albergo, risotto pronto con olive.
Mi medico. L’ampia escoriazione sul polso sinistro ha una brutta faccia, Stringo i denti, la innaffio di acqua ossigenata e la pulisco con del cotone, poi la chiudo con la garza sterile.
disinfetto anche il piccolo taglio sulla mano destra. Per la contusione non posso farci nulla, comunque non è molto gonfia.
Ho i brividi di freddo, batto i denti.
Ho voglia di qualcosa di dolce ,scendo in piazza. È sempre fantastica, mi riprendo un po’. Compro delle noccioline glassate e una spremuta d’arancia fresca.
Giro tra i vari gruppi spizzicando un po’ qui e un po’ là dalle varie esibizioni.
Poi trovo loro: sono in 4. Quello che sembra il capo, un ragazzo sui 30 anni, suona uno strumento a corde molto strano. Ha una cassa armonica a forma di fico: larga e tondeggiante sotto e a punta sopra. 5 corde, 2 semplice e 3 doppie, si fissano alle chiavi, poste quasi a 90° rispetto al manico. È attaccato ad un’autoradio che funge da amplificatore e manda il segnale ad un altoparlante ammaccato ma funzionante quanto basta.
Il suono è ammaliante, leggermente stridulo ma piacevole. Viene suonato in modo veloce e ritmato, simile ad una chitarra.
Poi c’è un anziano avvolto in un candido caffetano che canta e aggiunge il ritmo tintinnante di un tamburello. Alla sua sinistra c’è un ragazzo sui 20 anni che trascina la melodia facendola rimbalzare, sollevandola e precipitandola con il suo piccolo bongo. Lo solletica con agili tocchi, lo percuote con colpi decisi, lo inganna con i polsi.
Infine c’è lui, il vero fulcro dell’ensemble.
Minuscolo, dall’aspetto scimmiesco, il volto deforme, completamente sdentato a parte due mozziconi che spuntano, contrapposti, nei pressi dei perduti canini. Vestito con una giacca lacera di taglio europeo, sovrabbondante sul petto nudo. Un paio di pantaloni, anch’essi oltre misura, fissati in vita con uno spago, così come su una caviglia. I piedi nudi mobili dentro babbucce sfondate.
Canta, urla soprattutto, si dimena, aggredisce e assale gli spettatori, ride demonicamente, mima grottesche e oscene danze del ventre, ammicca, tira fuori la lingua in mostruosi richiami erotici.
Mi ricorda moltissimo Jorge, de “Il nome della rosa”.
Attira gli sguardi e le risate di tutti. Sì, perchè è un personaggio, non si capisce fin dove “ci sia” e quanto “ci faccia”. Fatto sta che la musica ruota attorno a lui e lui ruota attorno alla musica, ritmandola con un tamburello, con il battito frenetico delle mani o con le urla.
Tutto contribuisce a fare musica. Misteriosamente qualsiasi suono si aggiunga alla loro melodia, la arricchisce e la abbellisce. Sembra tutto casuale, ma si miscelano in modo armonioso e preciso, come se fosse tutto studiato.
Il pubblico è esclusivamente indigeno, sono l’unico europeo tra una cinquantina di persone. Molti cantano, evidentemente suonano musiche tradizionali, alcuni ballano e altri si uniscono con frenetici battiti ritmati delle mani.
Vola così un’ora, poi il peso della giornata piomba sulle palpebre.
torno in camera, rimasta tutto il giorno con la finestra aperta. Conto circa 30 mosche posate su pareti, soffitto, oggetti.

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