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 Diario di viaggio Marocco 2003

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(Tafraoute, Taroudant, Ouarzazate, Ait Benhaddou, Telouet)

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Giornate:
04 novembre 2003
05 novembre 2003
06 novembre 2003
   

Oumesnat

 

Mimetizzazione - 1
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Oumesnat

 

Palazzotti nobili
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Oumesnat

 

Mimetizzazione - 2
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04-11-2003 “Valle degli Ameln; arrivo a Taroudant”
Mi sveglio tardi, consulto di nuovo la cartina. Carico la moto e parto per le 10.
Compio un anello attorno a Tafraoute addentrandomi nella Valle degli Ameln. Ripasso per Tafraoute e parto per davvero.
Questa zona è favolosa! Mi muovo sul fondo della valle sovrastato da alte montagne granitiche che, tra picchi e vallate, si mostrano su 3 ordini diversi e, mentre cammino, si muovono l’una rispetto all’altra come una immensa scenografia teatrale.
 

Verso Taroudant

 

L’infinito
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Verso Taroudant

 

Poggio solitario
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Mi arrampico su uno jbel: panorama amplissimo, ma con un po’ di foschia.
La strada si snoda ora a mezza costa per km e km offrendomi una vista a volo d’uccello sulle vallate sottostanti.
Ripenso a Jan Potocki quando scrive:
“Non si apprezzerebbe la più bella campagna del mondo senza qualcuno cui poter dire: ecco una bella campagna”
In simili momenti, quando sei un tutt’uno con il mondo che ti circonda, quando il cuore è pieno del sole, dell’aria, delle montagne e di tutto il resto, provi quasi la necessità di condividerlo con qualcuno, come se non si riuscisse a contenere tanta gioia e se ne volesse alleggerire il carico.
Purtroppo posso solo scrivere queste righe.
Le montagne durano molti km replicandosi all’infinito, sempre diverse. Scendo a valle ed attraverso un paesaggio piatto, monotono e fertile come le campagne italiane.
Mi deviano sulla nuova strada a 4 corsie che stanno costruendo tra Agadir e Ouarzazate. Per ora è quasi tutta sterrata.
A 5 km da Taroudant, invece, scopro qual era la direttrice che avrei dovuto prendere, poco più a nord, per evitare quest’altra fatica.
Quella che ho percorso è una nuova autostrada che sarà conclusa nei prossimi anni. Nei tratti già asfaltati ci sono le 2 carreggiate, ciascuna a 2 corsie, separate da un profondo fossato, tranne in rari punti che consentono l’inversione di marcia. I contadini per entrare nei loro campi o semplicemente per tornare a casa, viaggiano contromano, insieme a tante altre persone che in auto, bicicletta, furgoni e quant’altro si trovano “bloccati” nell’altra corsia.
Lungo il tracciato, specialmente nei pressi di Taroudant, vedo molte case demolite su quella che sarà la sede stradale.
Arrivo sotto le mura, decido di passare la notte qui.
Vengo portato all’albergo da 2 ragazzi sul motorino che si offrono come guida.
C’è un caos incredibile di bancarelle, persone, macchine e motorini. Friggono pesce, gamberi e altro, cuociono carne. Odori e colori intensi, pulsazione sincopata del cuore della città.
Mi faccio una doccia e scendo proprio alla fine della giornata di Ramadan. Nel giro di mezz’ora si è trasformato tutto: botteghe chiuse, silenzio, nessuno in giro.
Arrivo alla piazza principale, mangio kefta con patate fritte e insalata. Faccio un giro poi torno in albergo per crollare in pochi istanti.

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05-11-2003 “Passeggiata a Taroudant; arrivo a Ouarzazate con la pista”
Decido di partire oggi stesso: rapido giro in città, poi Ouarzazate.
Nel souk vengo agganciato da Abdul. Si chiacchiera del più e del meno poi mi porta nel suo negozio di
   
 

Taroudant

 

Caravanserraglio
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souvenir.
Noto la maglietta con la scritta Kawasaki e vengo a sapere che guida dei tour nel deserto. Prendo il nome per futuri viaggi con 2000Moto.
Parlo con suo fratello. Ormai mi diverto a dire che ho conosciuto persone che non fanno il Ramadan. Immancabilmente all’inizio non ci credono, poi mi chiedono:
“Dove??” e cito 2 o 3 città.
   

Taroudant

 

Lavoro minorile
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Riesco a non comprare nulla, proseguiamo il giro. Abdul mi porta in una cooperativa femminile dove estraggono l’olio di argan. Mi guida Fatima, un angelo sceso in terra con profondi occhi orientali e un fisico da odalisca. La ascolto rapito, senza capire cosa mi dice.
Vedo un cartello che indica il prezzo dei massaggi. Attendo con ansia il momento, arrivato poco dopo, in cui mi chiede:
“Vuoi un massaggio?”
“¡¡¡SÌ!!!”
“Ahmeeeeeeed!!”
Entra Ahmed.
Vorrei uscire, ma lo fa Fatima.
Resto solo con la mia delusione a farmi manipolare in modo mirabile da Ahmed.
Mi scopro teso e contratto: guidare Zukki ha il suo prezzo.
Torna Fatima e con lei il mio sorriso, mi rifila una boccetta di crema solare e una di antirughe: sono completamente in suo potere.
Mio malgrado finisce la visita, baci e abbracci, di nuovo fuori nel souk. Addormentato e monotono, niente a che vedere con quelli di Guelmin o Zagora.
Torno in albergo, carico Zukki e parto. Cerco le concerie per le quali Taroudant è famosa.
   

Taroudant

 

E i caminetti?
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Taroudant

 

Vasche profumate
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Sono fuori le mura, si lavora poco perchè c’è il Ramadan. Si tratta di una grande corte porticata. Al centro ci sono le vasche di lavorazione, mentre ai lati, sotto i portici, si affacciano numerose porte: alcune sono ulteriori laboratori di lavorazione o deposito, tutte le altre sono le entrate delle botteghe dei diversi artigiani che lavorano lì formando una cooperativa.
Mi accompagna un ragazzo che mi spiega le diverse lavorazioni delle pelli, la pulizia con il sapone, lo sfregamento con l’allume di rocca, l’essiccazione al sole, la cardatura del pelo e la lavorazione della pelle.

Verso Ouarzazate

 

Capre
arboricole - 1
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Verso Ouarzazate

 

Capre
arboricole - 2
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Al termine mi fa toccare manti morbidissimi, passiamo da una bottega all’altra. Acquisto due paia di sandali: ormai sono vicino al pieno totale di bagaglio.
Fuori da Taroudant ritrovo la pianura fertile e noiosa incontrata ieri fin quando non affronto i primi rilievi che rendono il panorama di nuovo interessante. Fiancheggio delle basse colline fittamente striate come le curve di livello delle carte topografiche.
   

Verso Ouarzazate

 

Menhir sparsi
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Verso Ouarzazate

 

Ora di punta
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Inizio a salire fino a trovarmi su un vasto altopiano. Viaggio sempre sopra gli 8/900 metri slm.
Nonostante sia molto tardi decido di fare ugualmente una pista che mi porterà verso la valle del Draa.
I raggi radenti del sole accendono di fuoco gli alti picchi che mi circondano. La luna quasi piena appare ancora come una macchia biancastra nel cielo, ma in pochi minuti diventa più brillante.
Sta arrivando la notte.
Inizio la pista, Zukki è inguidabile.
Fisso meglio il bagaglio, eccessivo.
È cambiata radicalmente da quando ho fatto la pista con Bruce e Angela. Forse è anche un cambiamento psicologico visto che sono da solo su una pista sconosciuta al calar della notte. Credo di avere le gomme sgonfie, sicuramente ho più bagaglio.
Proseguo lentamente, chiedo informazioni: sono sulla pista giusta.
Dopo qualche km trovo una spianata ampia e regolare. Anche qui stanno costruendo una strada! Che peccato...
Inizio a correre sul fondo in terra battuta. Ogni pochi km c’è una breve deviazione per aggirare i ponti che ancora devono essere costruiti. Riesco a mantenere una media accettabile.
Di colpo la strada termina. Per alcuni km percorro la pista: è piuttosto dura e, essendo ormai notte, quasi invisibile.
Procedo lentissimo. Mi preoccupo.
Dopo un tempo imprecisato vedo una macchia nera davanti a me. In men che non si dica mi ritrovo su una carreggiata in perfette condizioni.
Urlo nel casco: “Asfalto?!?!”
Rido, torna la felicità e la velocità, evitando i mucchi di sabbia depositati dopo le ultime piogge.
Arrivo sulla direttrice Ouarzazate - Zagora e percorro gli ultimi 60 km illuminato dall’angelica luce lunare che dona alle montagne e ai canyon che attraverso un tono argenteo, fiabesco.
All’ingresso di Ouarzazate sono avvicinato da un ragazzo completamente fuori di testa, ma simpatico. È nato a Nizza ed è qui per il Ramadan, per trovare la famiglia.
Trovo un albergo, crollo in pochi minuti.

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Verso Ait Benhaddou

 

Autoroute maroquaine
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Verso Ait Benhaddou

 

Sculture di pietra
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Verso Ait Benhaddou

 

Fortezza Bastiani - 1
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Verso Ait Benhaddou

 

Fortezza Bastiani - 2
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Verso Ait Benhaddou

 

Curve di livello
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Verso Ait Benhaddou

 

Agglomerato metropolitano
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06-11-2003 “Ait Benhaddou; pista per Telouet”
Fortunatamente l’insonnia mi richiama al mondo pochi minuti prima che, alle 4:50 del mattino, esploda l’urlo di una potentissima sirena antiaerea. Chissà perchè.
Alle 5 iniziano i soliti muggiti dei muezzin, poi mi riaddormento incastrato tra una molla e l’altra di questo letto da fachiro.
Più tardi riesco ad ottenere una stanza molto più grande dal letto apparentemente normale.
Oggi giro a Ait Benhaddou, vediamo cosa succederà.
Corro attraverso un vasto altopiano desertico tra basse montagne piatte e brulle, terrose.
Arrivo sotto la kasbah dopo aver fiancheggiato una piccola gola scavata dal fiume Ouarzazate sulla quale si affacciano alcuni villaggi fortificati.
Incrocio molti cat-cat carichi di turisti.
Appena parcheggio sono avvicinato da alcuni bambini. Mi chiedono come al solito penne e soldi. Per scoraggiarli li affronto parlando in russo.
L’altra sera avevo riso e osservato, con Olivier e Matthew, che dall’anno prossimo probabilmente inizieranno anche loro a parlare russo!
“Bounjour!”
“Dobrij den’!”
Se ne vanno ridendo e ripetendo le mie parole.
Mentre mi avvicino al fiume vengo apostrofato da un altro ragazzo. Stessa risposta in russo, rimane interdetto e passo oltre.
Passo il fiume su alcuni sacchi di terra posti a mo’ di passerella.
   

Ait Benhaddou

 

Castello di fango - 1
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Ait Benhaddou

 

Castello di fango - 2
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Ait Benhaddou

 

Castello di fango - 3
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Ait Benhaddou

 

Castello di fango - 4
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Ait Benhaddou

 

Castello di fango - 5
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Ait Benhaddou

 

Castello di fango - 6
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Ait Benhaddou

 

Castello di fango - 7
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Ait Benhaddou

 

Mattoni fai da te
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Il villaggio si arrampica su una collina. La parte superiore è in rovina, mentre l’ingresso e le prime abitazioni sono in perfette condizioni dopo i lavori realizzati con l’Unesco.
Si tratta di fortificazioni, in fango e paglia, abilmente decorate con merli, losanghe, finti archi e piccole finestre. Molto scenografico, tanto che è stato scelto come set di diversi film.
mi arrampico per godere di una vista dall’alto. Sono affiancato da altri tre ragazzini. Questi sono più tenaci e nonostante l’incomunicabilità rimangono al mio fianco.
Mi scoccia perchè vorrei un po’ di tranquillità.
Arrivato su un piccolo sperone mi siedo. Dopo alcuni minuti 2 di loro se ne vanno, lasciandone uno a presidiarmi. Sostiene lo sguardo in modo ammirevole. Senza scomporsi rimane nella medesima posizione per quasi un’ora mentre addento, tra l’irritato e il sadico, oltre alla mia bile e alla delusione per un momento immaginato in un modo ma vissuto in un altro, una mezza baguette col formaggio, alcuni dolci al miele e un po’ di frutta.
Fumo una sigaretta, scrivo un po’, leggo.
Sempre qui, immobile, silenzioso.
Dopo un’ora esatta mi alzo e concludo l’ascesa alla sommità del colle mentre il ragazzino, sempre immobile, studia le mie mosse. Tanto sa che per scendere devo passare di lì, quindi aspetta filosoficamente.
La guida parla di nevi pressochè perenni sulle cime dell’Atlante, ma vedo solo panettoni tondi e brulli.
Aggiro i resti di una fortezza per evitare il ragazzino segugio che nel frattempo, vedendo che non tornavo, si è arrampicato. Mi corre incontro. Proseguo nella discesa. Lui, sempre dietro.
All’uscita dallo ksar finalmente è scomparso. Mi aggiro sul greto del fiume per dare un’ultima occhiata. È impressionante vedere i letti dei corsi d’acqua 20/30 volte più grandi di quello che scorre adesso. Evidentemente il clima si sta riscaldando da molti secoli, non solo nell’ultimo ad opera dell’uomo!
All’orizzonte, di fronte alla fila di sacchi che consentono di attraversare il torrente, scorgo il pertinace ragazzino!
Lo guardo ridendo, lui ricambia con l’espressione di chi si sente colto in flagrante.
Arrivo da Zukki apostrofato solo da altri due ragazzini.
Ragiono così sul turismo e il suo impatto. Giorni fa, quando seccato mi ero rivolto all’ennesimo scocciatore che mi chiedeva qualcosa da barattare, mi sono sentito rispondere:
“È normale, il Marocco è un paese povero”
Ho attraversato diversi paesi più poveri di questo, dove gli unici a chiedere l’elemosina erano i mendicanti, non in modo sistematico tutti i bambini e gli adulti che cercano qualcosa in cambio o ti trascinano nei loro negozi.
Mi spiace perdermi in simili congetture egoistiche e borghesi, ma mi risulta impossibile restare indifferente davanti a una tale insistenza. Dovrei avere un TIR di “stilo”, un camion di monete per accontentare tutti i bambini e un solido conto in banca per acquistare almeno un pezzo offertomi negli onnipresenti negozi di souvenir. E a quanto ho sentito e letto, d’estate, quando ci sono molti più turisti, la situazione è molto peggiore!
Molti dicono che il turismo porta benefici e ricchezza. A chi? Chi gode del denaro portato da tutto il mondo qua? Gli unici a guadagnare sono gli albergatori, i ristoratori, le rivendite di souvenir e, in generale, tutti coloro che vendono qualcosa che possa interessare un turista, oltre alle banche naturalmente. Cioè chi è già benestante.
C’è l’indotto ovviamente, tutti quelli che lavorano attorno al mondo del turismo, ma a ben vedere i soldi finiscono prevalentemente in poche tasche, sempre le stesse mentre per il resto non si costruisce un modello di sviluppo più solido, non sottoposto ai venti delle crisi politiche internazionali o allo scoppio di una bomba, che spaventerebbe i turisti annullando così, a questo punto, l’unica fonte di reddito per migliaia di persone.
Tutto è molto fragile, ingiusto e miope. Vedono passare davanti ai loro occhi ricchi stranieri e nuovi ricchi del posto senza avere praticamente nulla in cambio.
Basta guardarsi intorno. Nelle campagne lavorano ancora tutti con asino e aratri a lama singola per rivoltare secche zolle pietrose. La maggior parte delle persone vive in case di terra in villaggi fangosi, con la bicicletta o il mulo come unici mezzi di trasporto. Se devono andare più lontano si accalcano in piramidi umane in cima a vecchi camion asmatici.
In Marocco il turismo di massa è diffuso da molti anni, ma quello che vedo è una povertà diffusa ed evidenzia l’inefficacia e l’ingiustizia della “soluzione turismo” per risollevare l“economia.
Tutto questo mi fa sentire molto a disagio.
“Che fare?” come scriveva quasi un secolo fa Lenin. Lui aveva una risposta, io no.
Chiedo della pista per Telouet, mi dicono che ci vogliono 4 o 5 ore.
“Ma sono solo 30 km!”
“40...poi vedrai!”
Sono le 15, come al solito è troppo tardi.
Come al solito, mi avvio lo stesso: voglio vedere con i miei occhi.
   

Verso Telouet

 

Rigogliosa vallata - 1
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Verso Telouet

 

Rigogliosa vallata - 2
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Verso Telouet

 

Rigogliosa vallata - 3
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Vado tra i 20 e i 40 km/h, in alcuni punti la pista è pessima con grandi pietre in punti molto stretti, ripidi e scoscesi.
Il posto è eccezionale, una stretta gola con alcune oasi e villaggi fortificati che si fondono e confondono con le rocce rosso intenso.
Dopo una decina di km incontro un cat cat di tedeschi.
“Quanto manca?”
“50 km!”
Dopo altri 10 km altro fuoristrada di spagnoli.
“Quanto manca?”
“12/13 km!”
Altri 10 km, altro fuoristrada di belgi.
“Quanto manca?”
“Ancora 15 km!”
In un’ora e 40 km in totale arrivo all’asfalto! Corro fino alla casbah di Telouet, vengo agganciato da Khilim che per 2 euro mi fa da guida.
   

Telouet

 

Nido balconatissimo
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Telouet

 

Finestra ricamata
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Telouet

 

Decorazione spartana
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Telouet

 

Serra casalinga
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Telouet

 

Castello abbandonato
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Il palazzo è quasi completamente in rovina. Gli interni sono integri solo in alcune stanze. Decorazioni a mosaico su pareti e pavimenti, legno di cedro intagliato e dipinto sui soffitti, porte e fregi, archi in gesso scolpito.
Somiglia molto all’Alhambra e ad altri palazzi andalusi, ma qui l’ambientazione è molto più scenografica.
All’uscita vengo portato nel negozio di Khilim. Conosco il fratello Idriss che lavora, come il suo omonimo di Midelt, per AnM.
Parliamo anche di tappeti:
“Ne ho comprato uno a Tafraoute”
“Dove?”
“Nella Maison Berbere di un certo Hassan”
“Uno con i denti brutti e sporgenti?”
“Sì!”
“Lo conosco, viene qui a comprare i tappeti alla cooperativa ogni 2 o 3 mesi...”
Incredibile! Si conoscono tutti anche a centinaia di km di distanza!
“Salutamelo quando lo vedi!”
“Ok, il ragazzo della Suzuki, si ricorda sicuramente”
“Anche perchè ha un mio maglione!”
“Ah ah!! Hai fatto un baratto?” mi chiede divertito.
“Sì, il maglione più 180 euro per un tappeto berbero 2m x 1m: è un buon prezzo?”
“Buono, sì... Quando scambi qualcosa si riesce sempre ad avere buoni prezzi.”
Quando viene a sapere che ho pagato 400 euro per Zukki, me ne offre 500 sull’unghia.
La moto non si vende, ma vengo a sapere che in Marocco esiste un floridissimo mercato di compravendita di auto.
“Anche sans papel!”
“Come senza documenti?”
“Amico, nessun problema, poi si rifanno!”
“Ho conosciuto a Guelmin un ragazzo che veniva a vendere una Mercedes olandese”
“Si fanno molti affari con l’Olanda”
Ormai sono sicuro che la macchina di Lhassen fosse rubata.
Anche Idriss, come Lhassen, parla correntemente 3 o 4 lingue, ma è analfabeta.
Dopo una decina di minuti che chiacchieriamo, gran fermento: è finito anche per oggi il Ramadan! E anche oggi vengo invitato a cenare con loro.
Trovo altri 3 francesi, mi unisco alla tavolata. Oltre alla immancabile “suppa”, lo yogurt, i datteri e dolci fritti e glassati di miele, c’è una crepe alta e spugnosa zuccherata e delle ottime sardine piccanti al pomodoro.
Parliamo un po’ di affari per i prossimi tour con 2000Moto.
Alle 19 saluto. Anche oggi torno col buio. La strada è poco più di una pista, ma asfaltata. Vado via veloce e fin troppo sicuro.
Raggiungo la direttrice Marrakech - Ouarzazate e danzo con un ritmo sostenuto. Sono in forma e infilo le curve agilmente.
Raggiungo un pullman che procede a grande velocità per la sua mole, ma sono leggermente più veloce.
Tento un paio di sorpassi. Al terzo, convinto di essere su un rettilineo, mi ritrovo affiancato al bestione in piena curva.
Ormai ci sono e concludo l’azzardo.
Curva, controcurva, ho gli abbaglianti del bus piantati negli occhi per colpa degli specchietti di Zukki.
Accelero, curva a sinistra accentuata.
Chiude all’improvviso, mi spavento, mi attacco ai freni.
Il posteriore perde completamente aderenza, la ruota si blocca, la moto si intraversa, il motore si spegne per lo sbalzo di giri.
Sono senza freno motore, remo violentemente a destra e a sinistra in frenetica sequenza per tenerla in piedi.
Non riesco più a seguire la curva, punto sulla stretta banchina di brecciolino. Non ci sono nè parapetti nè guard-rail: solo un salto di qualche decina di metri nel buio.
Mi attacco con decisione disperata ai freni.
Mi fermo a mezzo metro dal vuoto.
Il cuore batte all’impazzata, le gambe tremano, non riesco a stare in piedi.
Il pullman mi sorpassa di nuovo lanciandomi un colpo di clacson.
Mi fermo per fumare una sigaretta e riprendermi.
“Ok, arrivo quando arrivo, ora si va piano...”
Esco dalle montagne, pianura, mi lancio sui 100/110 km/h. Dopo una ventina di km vedo un lampo luminoso a destra e, all’ultimo momento, un poliziotto che sto per investire. Quando stavo tornando da Erfoud avevo fatto un pelo ancora più pericoloso, ma anche stavolta prendo un bello spavento. Chissà il poliziotto!
Torno indietro, il collega sul ciglio della strada mi saluta con un ampio sorriso e, saputo che sono italiano, mi congeda con un “Gracias! Gracias!”
Quello che stavo per investire, invece, è ancora fermo sulla striscia di mezzeria, mi sorride ma mi guarda in tralice.
Saluto e riparto. Arrivo sotto l’albergo e incontro una troupe italiana che sta girando un film per una casa cinematografica americana, non riesco a sapere di più.
Piuttosto infreddolito arrotolo un joint e mi rilasso sul letto. Spero di non essere svegliato da quella terribile sirena nel cuore della notte.
Stando a Idriss, non era per l’anniversario della Marcia Verde come avevo pensato in un primo momento, bensì un segnale che chiama le persone a mangiare prima che inizi il giorno di Ramadan. A suo dire c’è solo in alcune città: Ouarzazate, Agadir, Essaouira e poche altre.
Che razza di metodi! Una sirena angosciante che alle 4 del mattino ricorda di mangiare, poi alle 5 riparte il muggito dei muezzin che chiamano alla preghiera. Ora capisco l’origine della proverbiale pazienza orientale.
Solo degli esseri profondamente saggi e serafici o semplicemente rassegnati possono sopportare tali torture quotidiane.
Così come le mosche. Spesso nei documentari sull’Africa si vedono persone con una o più mosche placidamente intente a nutrirsi su bocca, occhi e gote di persone più o meno macilente.
Il primo pensiero è:
“Poveri, non hanno nemmeno la forza di scacciarle”
Senza essere troppo cinici, questo è sicuramente vero. Ma è altrettanto vero che le mosche indigene sono quanto di più pertinace e aggressivo conosca. Si posano ovunque, con una insistenza e audacità incredibili. Non fuggono nemmeno agitando mani, braccia o testa. Se si cerca di schiacciarle, volano via all’ultimo istante per poi posarsi, un attimo dopo, sullo stesso posto per riprendere il pasto interrotto.
Dopo poco tempo, per quanto possibile, assicuro che si smette quasi di farci caso, è inevitabile se non si vuole impazzire.
Alle 22 sono già sotto le coperte a godermi la magnifica lettura de “Il tè nel deserto” sulle note di Marc Almond.

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