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Giornate: 18/08/2008 - “Il primo mare!”
Esco a fare una passeggiata e qualche foto. Mangio altro cocomero, adorato frutto dell’estate. Arrivo fino ad una chiesa abbandonata a fianco della cascina dove ieri sera era scoppiato l’incendio. Lo sguardo aggressivo di un cane fa svanire in un attimo le mie velleità da Indiana Jones. Rientro subito alla Škola. Mi siedo su una panca di legno vista mare a leggere e scrivere. Ad un certo punto lo scampanio di decine di sonagli irrompe come un boato. Arriva un gregge di decine di capre sgambettanti e belanti che si arrampicano un po’ ovunque per strappare foglie e germogli. Le guida un anziano curvo e claudicante col quale mi scambio un cenno di saluto. Scompaiono come sono arrivate: all’improvviso. Passano un paio di macchine che parcheggiano poco dopo. Vanno al cimitero, che è proprio qui a fianco, lungo il sentiero fatto ieri notte per salire al paese. Sulla scena irrompe anche un terzetto di asini. Pochi secondi dopo ne arrivano altri due. Ragliano. In risposta arrivano altri ragli dalla valle sottostante. Questo posto è trafficatissimo! Caterina si sveglia. Ammiriamo muti il panorama, poi passeggiamo. Di nuovo verso la chiesa abbandonata e l’incendio. L’edificio è ovviamente chiuso e sbarrato. Dei cani nessuna traccia. Seguiamo il sentiero, anche dell’incendio nessuna traccia! Dovremmo entrare nelle case che intravediamo sotto la folta vegetazione, ma non ce la sentiamo e dopo un bel pezzo torniamo indietro. Arrivano altri pastori, altre capre. “Il lavoro e lo studio temprano l’uomo nuovo”, si legge a caratteri cubitali sul fianco della scuola. Proprio ieri sera c’era stata una discussione al bar tra i vecchietti del paese e Edvin, il ragazzo che gestisce l’ostello: “Sotto il comunismo ho sofferto e ora devo leggere quella frase ogni volta che passo sotto la scuola!”, si lamenta uno. “É storia ... e poi è anche una curiosità per i miei ospiti!”, si difende lui. “Ma allora anche la svastica è storia!”, controbatte il primo, chiudendo in un certo senso un discorso che pare ripetersi sempre uguale da settimane, forse mesi e più. Stiamo per salire in paese a fare colazione, ma Edvin si sveglia portando fuori del pane e un barattolone di plastica nera, tutto appiccicoso. “Cosa c’è dentro?”, gli chiedo con un misto di schifo e curiosità. “Assaggia!”, mi risponde con un misto di sfida e sarcasmo. Sembra salsa di yogurt ... non è male! Di nuovo asini, pecore, capre.
Man mano che ci avviciniamo al mare, aumenta la spazzatura abbandonata in giro. Devono assolutamente risolvere questo problema, stanno devastando il Paese. Le ragazze sono molto avanti a noi, poi ci siamo Caterina ed io, infine Alberto e Lucia che seguono a grande distanza. Finalmente arriviamo sulla spiaggia e il pensiero assillante di quando dovremo rifare la salita a fine giornata sparisce in un attimo. Purtroppo l’occhio è attratto dalle brutture, un po’ come la lingua che batte dove il dente duole. E così ai miei occhi spicca una palazzina semi distrutta sulla sabbia, a pochi metri dall’acqua: “Era abusiva, per fortuna l’hanno abbattuta!”, esclama contenta la fidanzata di Edvin. “Bè già c’erano potevano finire il lavoro ... ora è un pugno in un occhio!”, ribatto forse un po’ brutalmente. Al centro della spiaggia c’è una specie di punto di raccolta della spazzatura: centinaia di sacchetti a costruire una piccola montagna che perde pezzi in tutte le direzioni ogni volta che tira il vento, cioè sempre. Però ... tolto questo la spiaggia è spettacolare e mi butto subito nell’acqua trasparente come vetro. Perdo una lente a contatto, inizio ad andare come Polifemo, monocolo. Qua e là occhieggia un bunker, a pochi centimetri dall’acqua. Inutile dire che ormai servono solo come latrine e discariche. Si susseguono piccole e improvvise trombe d’aria che fanno turbinare alti nel cielo ombrelloni e indumenti e tutto quello che incontrano nella loro traiettoria imprevedibile. La spazzatura decolla direttamente in orbita. Pranziamo in un ristorante bordo mare. Cozze sgusciate, un pesce ignoto alla brace, cocomero comprato dal fruttivendolo a fianco. Ancora spiaggia, mare, bagni, scrivo, leggo. Relax. Tra una raffica di vento e l’altra. Verso le 18:30 iniziamo a risalire. Tiriamo fuori il pollice alle poche macchine che passano, ma sono ovviamente già tutte cariche anche oltre il consentito. Alla fine un fuoristrada con a bordo una famigliola di padre, madre e figlio si ferma. Hanno solo altri due posti. Alberto ed io ci guardiamo e ci capiamo al volo: “Ragazze, andate voi, noi proseguiamo a piedi, è meglio per tutti.” Non se lo fanno ripetere due volte e saltano a bordo. Loro sono contente di evitare la sfacchinata e noi possiamo subito prendere un passo decente invece di trascinarci e fermarci ogni 10 metri.
Finalmente arriviamo al bosco, torna ad essere una passeggiata e riprendo un colorito normale. Arriviamo all’ostello, ma ... ci attende una sgraditissima sorpresa! Non siamo più soli, è pieno di gente! Una coppia di italiani con un cane enorme, un norvegese, un danese, dei tedeschi. L’atmosfera incredibile di ieri è persa per sempre. Peccato. Decidiamo di cenare a Himare. Chiediamo consiglio sul ristorante a Edvin, poi ci avventuriamo sulla stradaccia costiera. Sorpresa delle sorprese, poche centinaia di metri si allarga e si alliscia: la stanno rifacendo! Questo però implica brecciolino e pezzi improvvisi distrutti o in costruzione. A metà strada torna pessima, come nelle ultime decine di km. Scendendo da una collina vediamo in lontananza un incendio che brucia basso, cupo. Le braci rosse sono affascinanti, spiccano nella notte. Dalla loro estensione capiamo che è andato in fumo un bel pezzo di montagna. Himare è incasinatissima e sporca. Nessuna sorpresa, ma ogni volta uno ci spera. Ceniamo in un ristorante greco, che in effetti non è una grande idea per chi, come noi, andrà in Grecia tra pochi giorni! Facciamo un giro in centro, ma non ha nessuna attrattiva. Torniamo in ostello. Qualcuno si è già addormentato nella “nostra” camerata. Fuori ci sono un po’ di persone a parlare. É arrivato un amico di Edvin con un cane che è un demonio. Nero come il carbone, l’occhio assassino. Ringhia sordo e aggressivo a chi gli si avvicina. Il padrone lo tiene a bada con un collare particolare. Ha degli elettrodi, gli dà la scossa non appena esagera ad abbaiare, ringhiare o se si mostra aggressivo. Mi chiedo: “e se gli si scaricano le pile del collare??” La prima vittima sarebbe sicuramente lui, come vendetta per un trattamento così folle. Andiamo a dormire all’1:30. Caterina mi annega nel liquido antizanzare. Speriamo che l’intossicazione serva a qualcosa! 19/08/2008 - “Verso Sud”
Salutiamo i ragazzi e facciamo colazione in paese: pane, burro e miele, caffelatte.
Per un’incomprensione ed una scarsa propensione da parte mia di fermarmi e nessuna voglia di Alberto, proseguiamo. Caterina, giustamente, si dispiace moltissimo.
All’improvviso un folto gruppo di polizia, sia in auto che su Moto Guzzi. Sirene, auto blu, guardie del corpo: Berisha! L’attuale primo ministro albanese passa tra i tavoli, saluta, sale sulla terrazza del bar a prendere un caffè e riparte. Il tutto in 10 minuti scarsi. Probabilmente sta andando ad inaugurare un pezzo della strada costiera. Così si spiegherebbero l’elicottero visto qualche decina di km prima, la folla ed il palco con microfono a bordo strada. Dopo un frappè dell’onnipresente Nescafè, ripartiamo. A sud di Saranda la strada migliora, ma le spiagge peggiorano notevolmente. Incrociamo 3 motociclisti romani. Sono i primi motociclisti che incontriamo, a parte un gruppo di tedeschi incrociati oggi sulla costiera.
Purtroppo il mare non è più quello visto lungo la strada. Ci buttiamo in mare per un bagno lungo, ristoratore ... Nulla a che vedere con Porto Palermo o spiagge limitrofe viste oggi, ma in ogni caso il posto è carino. Ovviamente c’è la spazzatura.
Torniamo al mare. Patatine e succo di frutta, poi affittiamo un pedalò. Ci lasciamo cullare dalle onde fino al tramonto. Alle 20 il canto sommesso del muezzin dichiara conclusa la giornata. Prima di andare da Alberto e Lucia cerchiamo un ristorante. Anche il loro albergo ha molti dettagli non finiti, ma non è certo nelle condizioni della casa dove stiamo noi. Torniamo in camera. Vorrei fare una doccia, ma l’acqua non ha pressione. Andiamo a cena. Siamo avvolti dall’allegria e dal frastuono dei festeggiamenti per il decimo anno compiuti dalla nipote del proprietario. Musica ad altissimo volume e balli in cerchio di decine di persone. Se l’umore fosse migliore potremmo anche unirci, ma non me la sento. Mangiamo feta cotta con le verdure, patate fritte con origano, octopus alla brace, calamari ripieni da scoppiare, gamberi alla brace e altro. Stella cadente, il desiderio si esprime ma non si scrive. L’importante è che Dio o Chi per Lui lo esaudisca. Andiamo a dormire a mezzanotte e mezzo, con musica di sottofondo che arriva chissà da dove. Mi ricordo che ho la moto in mezzo alla strada. Vado a parcheggiarla dove mi è stato indicato dal proprietario nel pomeriggio. La metto in un quadrato di terra, chiuso da una rete metallica chiusa con un anello, senza lucchetti o altre chiusure. 20/08/2008 - “Il gelido Occhio Blu”
Ci addentriamo tra antiche terme, mozziconi di mura abitative, una bella chiesa senza copertura, un tempietto rotondo con colonne. Dalle foto esplicative scopriamo che sotto le protezioni ci sarebbero mosaici stupendi, ma purtroppo sono completamente nascosti. Arriviamo alla parte più antica, con mura davvero impressionanti per lo spessore e l’imponenza che trasmettono. Poi il castello, al cui interno è ricavato un museo con alcuni bellissimi reperti. Prosegue la lite di ieri, tra incomprensioni che affondano le radici fin dagli inizi del nostro rapporto. Pranziamo in riva al mare / laguna con l’uva e lo yogurt comprati ieri. Torniamo a casa, riposo brevemente, poi incontriamo Alberto e Lucia. Partiamo verso l’“Occhio Blu”, Syri Kalter. Attraversiamo una bella campagna ombrosa, costeggiando un torrente dall’acqua incredibilmente blu. Ad una piccola diga c’è una minuscola biglietteria per l’ingresso alla zona protetta. Arriviamo infine ad uno spiazzo di terra battuta pieno di camper e auto. Bar - ristorante stupendo, immerso nel bosco con ruscelli, cascatelle e fontane di acqua sorgiva, buonissima.
Ma non resisto, indosso il costume e senza pensarci tanto mi tuffo da una pedana di legno a 3 o 4 metri di altezza. Un colpo terribile, mi iberno. Nuoto rapidamente come un cane, guadagno di nuovo la riva. Bello! Faccio il bis, poi mi rivesto. Alberto non ci pensa proprio! Nel parcheggio chiacchieriamo con una coppia simpatica di francesi in camper, che alla fine affondano inconsapevolmente il dito nella piaga: “Porto Palermo? Aaaaaahhh supérbé!” esclamano con l’aria sognante. Caterina mi scocca un’occhiata omicida. La strada verso Girocastro supera alcune basse montagne brulle. Ogni tanto il panorama si apre grandioso verso la vallata sottostante. L’asfalto è incredibilmente decente. Riscopro il gusto di guidare dopo giorni di buche. Le montagne in sequenza si aprono lentamente verso una quinta pianeggiante rigata da sottili file di bunker. Danzo lentamente tra le curve, sia per il paraolio della forcella che ho scoperto rotto e per le gomme di cui non mi fido granchè. Atterriamo sulla pianura, finisce il divertimento. A Girocastro veniamo subito agganciati da quello che sembrerebbe lo scemo del villaggio. In realtà parla un’infinità di lingue, che sperimentiamo scambiando alcune battute in ciascuna di esse: italiano, francese, tedesco, russo, spagnolo, greco e, ovviamente, albanese. Caterina e Lucia lo seguono, a caccia di un albergo. Alberto ed io restiamo alle moto. Poco oltre altre due moto con parecchi anni sulle spalle. Italiani anche loro. Le ragazze tornano dopo un bel pezzo. Pare abbiano trovato un bell’albergo in una casa tradizionale. É l’Hotel Kalemi, Caterina riesce ad ottenere uno sconto ulteriore. Paghiamo 3000 Lek (25 €) per una camera molto bella, ricca di dettagli in legno intagliato.
Andiamo in una taverna in centro, spettacolare! Due porzioni di patate fritte, due di peperoni fritti, due polpette tipiche di riso e menta, un kofta vegetariano, quattro agnelli alla scottadito, due birre, due acque, due raki, un melone. 3900 Lek ossia 8,5 € a testa! Facciamo una passeggiata, ci mettiamo sopra ancora un gelatino, poi torniamo in albergo alle 23, distrutti! 21/08/2008 - “Girocastro mon amour”
Nei vari giri a piedi ci separiamo da Alberto e Lucia. Mentre passo in un vicolo mi sento chiamare. Alzo la testa e vedo un anziano signore che mi fa cenno di salire. Chiamo Caterina. La casa ha un piccolo giardino con pergolato di vigna e un’ingegnosa trappola per catturare le moltissime api. Ci offrono uva, raki fatto in casa, caramelle. Brindiamo, stringiamo amicizia. Dopo un po’ sentiamo Alberto che ci chiama a gran voce dal vicolo, salgono anche loro. Ci mostrano le foto dei figli, che ora studiano a Tirana, poi chissà.
Jimi ha 54 anni, anche se ne dimostra parecchi di più. Ha 2 figli, un maschio di 24 anni che studia legge a Tirana e una ragazza di 18 che vorrà sicuramente andare a Tirana, ma non ha i soldi per farlo. Lui era insegnante, poi dopo la crisi del mondo socialista è rimasto senza lavoro e da allora si arrangia in questo modo. Torniamo in centro, in una taverna caratteristica dal cortile pergolato pieno di piante che chiude da un lato la bassa costruzione in pietra e legno. Incontriamo di nuovo i francesi, che ci ringraziano per la dritta della taverna. Gli è piaciuta molto! Mangiamo tanto, un caffè alla turca prova a salvarci dall’abbiocco. Ci rimettiamo in movimento, stavolta al Museo Etnografico. Nuovo nome politicamente corretto per quello che una volta era il museo sull’infanzia del dittatore dei tempi socialisti Enver Hoxha, ricavato nella casa in cui nacque. Ci sorveglia un donnone cerbero, molto soviet-style, che non spiccica una parola di nulla. Risponde di mala grazia solo a qualche battuta che le faccio in russo, a quel punto si allontana, pur tornando di tanto in tanto a vedere cosa stiamo facendo. La casa ha qualche arredo tradizionale interessante, ma nulla di particolare. Apro uno sgabuzzino e vedo accatastate pile di memorabilia comunista. Materiale buttato alla rinfusa, quadri uno sull’altro, pannelli, fotografie e altro. Tutto materiale della retorica socialista del tempo che fu, tolta in fretta e furia appena il vento è cambiato. Il cerbero ha sentito il rumore della porta ed inizia ad abbaiare ancora prima di essere entrata nella stanza dove mi trovo. Faccio in tempo a scattare un paio di foto prima di chiudere la porta sul pozzo del passato. Ovviamente non hanno buttato via nulla, non si sa mai ... Partiamo verso la Grecia, va da sè che siamo in ritardissimo. Salutiamo per l’ultima volta Jimi, che gironzola come sempre all’ingresso del paese a caccia dei pochi turisti in arrivo. In bocca al lupo, Jimi! Nelik continua ad andare a due cilindri, spero si riprenda presto. La strada è piatta, anonima. Quanto meno arriviamo rapidamente alla dogana, rapida e indolore! In un attimo siamo in Grecia. Letteralmente da un metro all’altro il paesaggio si trasforma: ora siamo circondati dal verde. Incredibile! Ci inerpichiamo tra le montagne, fino a Monodendri. Andiamo a caccia della sistemazione per la notte, chiediamo in alcune case nuove, anche se costruite ancora in pietra e legno, alla maniera tradizionale. L’aspetto delle abitazioni e dei centri abitati in generale è cambiato radicalmente. Tutto è preciso, pulito, curato nel dettaglio. Ricordo l’impressione che avevo, anni fa, uscendo da un Paese dell’Est ed entrando ad esempio in Austria. Dopo poco questa perfezione mi infastidisce, la trovo eccessiva, innaturale e in un certo senso “costrittiva”. Si dovrebbe trovare una via di mezzo tra questa perfezione maniacale e la sciatteria e sporcizia di altri posti. Gli alberghi nelle nuove abitazioni costano più di quelli tradizionali, che tra l’altro sono anche in posizioni migliori. Optiamo per un albergo carinissimo nel minuscolo nucleo più antico del paesino, ci accordiamo per 35 €. Avrei preferito fermarmi a Ioanina per avere un po’ di vita, ma assecondiamo il desiderio di Alberto. Mi faccio la doccia e mi rilasso brevemente leggendo. Usciamo per una meravigliosa passeggiata serale fino al bordo del canyon, dove si erge un piccolo monastero. L’eco fa due “rimbalzi”. La gola è incredibile, profondissima. Tutto intorno, fin dentro in basso, alberi e verde. Al crepuscolo, quando ormai si fatica a vedere la strada, arrivano Alberto e Lucia. Giochiamo con l’eco, tra urla e versi che scuotono il silenzio profondo della montagna. Ancora zanzare, proviamo a proteggerci con una crema repellente. Mangiamo nella piazza principale anche perchè è l’unica, sotto un albero monumentale, protettivo. I prezzi sono più alti. Mi mancano gli albanesi, la loro cordialità, gentilezza, apertura. Mangiamo una pizza locale con formaggio, buonissima. Maiale a spezzatino, bistecca di vitello, patate fritte, insalata, olive, pomodori, un litro di retsina: 60 € in tutto. Alberto e Lucia tornano subito in albergo, noi passeggiamo nei vicoli acciottolati. Ci addentriamo nel cortile di una piccola chiesa, godiamo dell’intimità della notte, le stelle che ammiccano, le luci incerte di un paesino dall’altro lato del canyon. |
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