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Giornate: 22/08/2008 - “Il canyon del massacro”
Proseguiamo e il dubbio si insinua sempre più forte. Alla fine il dubbio lascia posto alla certezza. Abbiamo sbagliato strada! Alberto e Lucia sono scesi con una bottiglietta da mezzo litro in due. Io ne ho presa una da un litro e mezzo. Il caldo è intenso, la fatica si fa sentire, soprattutto per noi sedentari impiegati da ufficio 10 ore al giorno e mai uno sforzo fisico. L’unico ad essere fisicamente più preparato è Alberto, che infatti è il più scattante e allegro di tutti, anche per tenere alto il morale della truppa. Siamo stanchi, ma non si vede traccia di uscita o risalita. Non sappiamo dove siamo, non sappiamo dove stiamo andando. Iniziamo a pensare di tornare indietro, ma abbiamo già fatto parecchia strada e la lunga e ripidissima discesa, da fare ora in salita, ci scoraggia. Incontriamo una coppia: lui greco, lei spagnola. Hanno una cartina, scarpe adatte, acqua. Sono attrezzati! Ci uniamo subito, è istintivo, non si sa mai. Caterina chiama col cellulare la signora dell’albergo. “Dove siete?”, le chiede in inglese. “Nel canyon! Abbiamo appena passato una piccola scala di metallo.” “Ah, allora state andando a Vikos! Bene!” “Ma non ce la facciamo, siamo stanchi!” “Non vi preoccupate, manca un’ora di cammino.” Caterina chiude, non del tutto rinfrancata. Incredibilmente vediamo una coppia arrivare dalla direzione opposta. Ci proponiamo di fermarli appena ci raggiungono. Misteriosamente scompaiono tra le grandi rocce del letto del fiume. Siamo qui, devono passarci a fianco! Ci guardiamo intorno, cerchiamo di sentire i rumori, ma i due sono SPARITI! Passano i minuti, ma nulla, nessuna traccia dei due. All’improvviso appaiono alle nostre spalle. Si stanno arrampicando sulla scaletta di metallo. Li raggiungiamo trafelati, urlando per fermali. “Arrivate da Vikos??”, gli chiedo ansiosamente. “Sì!” “Quanto manca???”, ho un tono ormai disperato nella voce. “Da qui più o meno 4 ore!” “QUATTRO ORE?!?!”, urliamo tutti in coro. “Sì, forse 3 e mezzo, ma manca ancora tanto.” “Ok, grazie.” Siamo sconfortati. Senza acqua, con le ossa, le articolazioni e i muscoli che ci fanno male e ancora ore e ore di cammino davanti a noi. Caterina vuole chiamare un elicottero. Alberto dice che il tipo era zoppo e lei sciancata e comunque vecchi decrepiti: “Ci metteremo due ore a dir tanto!”, esclama per spronarci. Il mio stomaco continua ad essere bloccato.
Proseguiamo. Cerco di guardare il paesaggio, di distrarmi, ma il dolore è talmente intenso che non riesco tanto a pensare ad altro. Incontriamo una coppia di tedeschi, sono un po’ in difficoltà in un punto dove il sentiero è molto stretto con una mezza frana verso un baratro abbastanza profondo per farsi parecchio male. Ora siamo in otto!
Il paesaggio è stupendo, ma la fatica è troppa. Usciamo definitivamente dall’ombra che fino ad adesso ci ha protetto spesso. Siamo sotto al sole a picco del primo pomeriggio. L’orario migliore! Altri 40 minuti di strazio, poi un altro miraggio: ancora un cartello con scritto “sorgente”. Non ce la faccio a camminare, ma Caterina è in condizioni ancora peggiori delle mie, quindi raccolgo le energie residue e decido di avviarmi. Prima, però, svuotiamo completamente la bottiglia, bevendo e bagnandoci. “Non preoccuparti, tanto la riempio alla fonte!” Seguo la deviazione verso la sorgente. Altre pietre, altri sali-scendi. Non ce la faccio. Incrocio gli spagnoli che si erano avviati subito. Stanno tornando indietro, erano andati ancora più avanti, ma della sorgente nemmeno l’ombra. Penso con orrore alla mia bottiglia vuota ed alla strada che ancora ci aspetta. Non ho parole. Quando torno indietro e lo dico a Caterina, anche lei non reagisce. Dalla cartina degli spagnoli, non dovrebbe mancare tanto. Indica 40 minuti. Guardiamo verso l’alto e in cima al fianco di una parete del canyon ci sembra di intravedere delle abitazioni. Dobbiamo arrivare lì, costi quel che costi! Man mano che camminiamo diventa evidente anche il sentiero per arrivarci. Praticamente si impenna in una salita scoscesa, da capre.
Tutta salita, terribile. Lucia si ferma. A Caterina pulsa la testa. Probabilmente è anche la mancanza d’acqua. I tedeschi, più in forma di noi, proseguono. Da lontano ci fanno cenno che ci lasciano un po’ d’acqua. Danke!! Ormai manca solo il muro finale. Alberto ed io decidiamo di andare a prendere delle Coca Cola, acqua e zucchero per dare un po’ d’energia a Caterina a Lucia, distrutte.
Prendiamo da bere e decidiamo che, essendo Alberto più in forma, lui torna giù a portare la roba alle ragazze, io cerco il modo di tornare a Monodendri, lontano da qui, su strada, 25 km! Mi inerpico in una stradina, trovo un Bed and Breakfast molto bello, ma la signora parla solo tedesco. Alla fine capisco che il marito, che ha un fuoristrada, è a Ioanina. Torno indietro, salgo alla piazzetta del paese dove trovo, seduti ad un bar, la coppia di tedeschi e quella di spagnoli! I primi bevono, tanto per cambiare, una birra! Grandi saluti, gli racconto l’ultima parte della salita e la ricerca di un modo per tornare a casa. Loro dormono lì, ma noi abbiamo altri piani. Torno indietro al primo bar senza aver risolto nulla. Nel frattempo sono arrivate anche Caterina e Lucia. Col tipo scorbutico del bar sono però riusciti a trovare un passaggio su un pick up.
Arriviamo a Monodendri. Dopo una rapida doccia, ci ritroviamo nel cortile dell’albergo. Che si fa? Il massacro l’abbiamo fatto, nulla più ci trattiene qui. L’obiettivo c’è, e si chiama Meteore, ma sono quasi 200 km da qui! Chiediamo alla signora dell’albergo: “Tranquilli, è praticamente tutta autostrada!”, ci rassicura allegra. “Sicura? Un’ora come il sentiero?? La cartina dice che solo piccoli pezzi di autostrada sono finiti, il resto è cantiere!”, osservo timoroso. “Chiediamo a Dimitri!” Arriva Dimitri, che con sicumera afferma: “Quasi tutta autostrada! In due ore e mezzo siete lì!”, finisce di convincerci il buon Dimitri. Ok, decidiamo di partire. Prima di essere in sella vestiti e con valigie attaccate, si son fatte le 18:15. La prima parte di strada è stupenda, usciamo dalle montagne viaggiando ad altezza notevole, con panorami mozzafiato sulla pianura sottostante. Poi, come l’altro giorno in Albania, arriva la pianura, finisce il divertimento, ma almeno alziamo un po’ la media. Entriamo in autostrada, ma come temevo dura pochi km, una trentina. Usciamo ed è tutta strada normale, da dove si vedono in lontananza mozziconi di ponti e viadotti dell’autostrada ancora ben lontani dall’essere finiti. Lancio oscure maledizioni a Dimitri. Non pensavo che i greci fossero così inaffidabili! Percorriamo una strada con milioni di curve. Nonostante sia fisicamente a pezzi, la mente sta alla grande, mi diverto moltissimo, la moto fila liscia, inizio a tirare sulle curve larghe e ben asfaltate. Tra una curva e l’altra in mezzo ai monti ci godiamo il tramonto ed il crepuscolo, meraviglioso! Arriviamo col buio. In due ore e mezzo come aveva detto Dimitri, ma ho fatto un gran premio! Alberto arriva dopo mezz’ora precisa, in cui noi abbiamo chiesto in diversi alberghi del paesino di Meteore posto per una notte. Non riusciamo a trovare nulla di interessante: stanze minuscole seminterrate, altre che sembrano forni tanto son calde, un’altra a pochi metri dalla festa del paese, con musica assordante che andrà avanti per tutta la notte. Il resto è tutto al completo. Alla fine riusciamo a trovare posto in un albergo carino a 40 €. Andiamo a chiamare Alberto che era rimasto in piazza. Torniamo, il tipo ha appena dato le ultime due camere. Siamo di nuovo senza un tetto per la notte e mi sto molto innervosendo. Finiamo all’albergo Kastuti: 45 € la doppia senza colazione. Ceniamo in centro. Prendo solo della frutta, non riusco a mangiare altro. Non mi sento per nulla in forma: ho la nausea e ho la testa come un pallone, come dopo una sbornia. Chiudo la cena con un’aspirina. Andiamo a dormire a mezzanotte. Tardissimo, dopo una giornata del genere! Mi sento pesto, come preso a bastonate in tutto il corpo. Mi faccio la doccia controvoglia, solo perchè penso possa farmi bene. Sentiamo la musica della festa che prosegue nella notte. Per fortuna i tappi riescono ad isolarmi. 23/08/2008 - “Persi nella notte”
Alti pinnacoli fallici di roccia liscia spuntano sparsi in una regione tutto sommato piccola, il che rende ancora più misteriosa questa manifestazione naturale. Perchè proprio qui e in così poco spazio? Il paesaggio è molto affascinante, unico. Visitiamo due monasteri. Il primo è femminile. Ci guida una laica che ha studiato a Strasburgo alla scuola cattolica, anche se lei è ortodossa. Ci illustra in dettaglio gli affreschi, cosa rappresentano e la simbologia sottesa. Il tema della morte ricorre praticamente sempre, anche se, più che come monito per stimolare una vita pia, qui viene rappresentata come promemoria di ciò che è stato, a seguito di persecuzioni, ingiustizie e punizioni. Mi sembra un atteggiamento più votato al ricordo, potenzialmente ispirante vendetta, al contrario delle rappresentazioni che si trovano nelle nostre chiese, tutte concentrate a minacciare l’orrore di un inferno infinito e terribile in caso di mancata fede in Dio. Di nuovo: da un lato la Morte come delitto da uomini verso altri uomini, per non dimenticare nè i primi, i colpevoli, nè i secondi, vittime innocenti. Dall’altro lato, il nostro, la Morte come minaccia e appuntamento immancabile entro il quale fare i conti della propria condotta di vita e della propria fede. Come dicevano nel film “Non ci resta che piangere”: “Ricordati che devi morire!” “Sì ... mò me lo segno!” Andiamo in un altro monastero, posizionato su un pinnacolo molto più alto. La vista è ancora più spettacolare.
Partiamo alle 17, dopo aver acquistato una splendida ciotola in terracotta con una specie di smalto dorato. Una lavorazione molto particolare fatta da due ragazze artiste che vivono e lavorano in un bilocale in pieno centro del paesino di Meteore. La strada è noiosa e terribilmente calda fino a Volos. Riusciamo a riagganciare Alberto e Lucia, partiti prima di noi. Cambiamo programma, andiamo a Cala Nera! Sempre sulla penisola del Pilio, ma sulla costa Ovest, invece della Est, più lontana, su cui volevamo andare inizialmente. La strada costiera è piuttosto trafficata. Corre stretta tra le alte montagne della penisola che arrivano proprio a bordo mare ed il mare stesso. Il paesino di Cala Nera è carino, ma un cartello che indica pochi km per la costa Est ci fa nuovamente cambiare idea! Nuova destinazione: Tzagarada! Puntiamo alla spiaggia di Milopotamos. Attraversiamo le montagne. Per un certo pezzo mi diverto, poi il fondo peggiora, la carreggiata si restringe drasticamente e devo rallentare. La strada è molto bella, attraversa un bosco di montagna, con castagni ed altri alberi tipici di elevate altitudini. A Tzagarada ci coglie il tramonto. Scendiamo verso la spiaggia. Nel buio attraversa la strada un grosso cinghiale, che si rigetta a capofitto nella vegetazione senza degnarmi di uno sguardo. La strada finisce a picco sul mare. Restiamo ad ammirare la spiaggia, splendida, poi iniziamo la risalita a caccia di un posto per la notte, visto che lì non c’è traccia di alberghi. Risalendo ci fermiamo in tutti i bed and breakfast che troviamo. Tutti rigorosamente completi. Troviamo un albergo, l’unico su questa strada. Chiede 80 € a camera, ma la signora risulta antipatica sia a Lucia che a Caterina che sono scese a chiedere. Non vogliono fermarsi. Non dico nulla, ma il nervosismo inizia a salire. Per un’antipatia con la tipa dell’albergo siamo costretti a girare alla fine di una giornata piuttosto lunga e faticosa. Torniamo sulla strada principale, chiediamo in tanti posti. Niente da fare, tutto pieno. Provo a reagire, ma Caterina non vuole saperne di tornare nell’albergo antipatico. Chiediamo ancora, poi supero il limite. Inverto le ruote, torno all’albergo. La signora ci accoglie dicendo che ha dato via le ultime due camere proprio pochi minuti prima. Non dico nulla, ma la rabbia continua a montare. Proseguiamo. Nei minuscoli paesi che incontriamo, le poche sistemazioni sono tutte al completo. Arriviamo in un paesino segnalato anche dalla guida per un platano di oltre 1000 anni. Incredibile! É monumentale, meraviglioso. Ha un tronco di 18 metri di diametro. Vicino c’è un albergo. Le ragazze vanno a informarsi. Tornano dicendo che hanno solo una doppia. “Avete chiesto se possiamo dormire in 4?? Ci possiamo buttare su un materassino e abbiamo risolto, poi domani cerchiamo altro”, propongo molto irritato. “No, andiamo avanti!” è la risposta che ricevo e che NON volevo. Continuiamo a trovare tutto esaurito. Ad un certo punto esplodo e scarico tutta la tensione per la situazione a mio avviso evitabile. Ci lanciamo, nell’ordine, casco e accuse reciproche. Il buio è totale, ci aggiriamo nel Pilio su stradine a mala pena asfaltate, che si annodano su loro stesse scendendo o salendo a precipizio sui fianchi scoscesi della montagna. Alberto colleziona anche un paio di scivolate senza conseguenze. Troviamo le insegne di un campeggio, ma non hanno bungalow nè affittano tende. Non sappiamo bene dove siamo. Arriviamo nell’ennesimo paesino. Questo è in riva al mare, è piuttosto grande rispetto agli altri e soprattutto con parecchia vita: gente in giro, locali, ristoranti, negozi. Tutto pieno negli alberghi, B&B e camere che troviamo. Sono sfinito, crollo seduto sul marciapiede. Mi tolgo le lenti a contatto, mi rassegno a dormire dove capita, anche su una panchina. Non so come, Caterina e Lucia beccano una bionda di mezza età completamente svanita. Vestita come l’arcobaleno, truccata pesantemente con mille colori, i capelli di platino acconciati a nuvola e lo sguardo non troppo presente. Ma ormai siamo disperati e diamo retta a tutti. Dopo una lunga chiacchierata che seguo a distanza, dal marciapiede, mi dicono che ci sta offrendo casa sua. “Ok, proviamo a vedere il posto?” “MA QUALE C..O DI POSTO DOVETE VEDERE?!?” è la mia risposta diplomatica, a dire che va bene tutto. Caterina e Lucia spariscono. Nel frattempo arriva un italiano. Vive lì, è sposato con una greca, ma è originario di Roma. Saputa la situazione, va a parlare con il gestore di un albergo lì a fianco. Ovviamente è tutto pieno, ma se non risolviamo con la pazza, possiamo dormire nella hall dell’albergo e toglierci all’alba. “Poi da domani è più facile trovare da dormire, ma per stanotte è impossibile in tutto il paese!” É mezzanotte. Finalmente tornano Caterina e Lucia. Pare che sia andata. Saliamo nel vecchio palazzo nell’ascensore senza porta interna: vediamo scorrere il muro a pochi centimetri dal naso. Saliamo al terzo piano, l’ultimo.
Arriva la sorella della pazza. Si chiama Elisa, fa la medium, parla italiano e ama il nostro popolo. Meno male! Ci ritroviamo in tre: “Ma quanto vogliono??” “Non lo sanno, vogliono lasciar fare a noi. Gli offriamo una cifra e basta.” Ci consultiamo, pensiamo un po’, poi le chiamiamo: “Ecco, per la notte!”, dice Alberto con un grande sorriso rassicurante, che si somma al compenso che le sta allungando, di 60 euro. Parlottano tra loro: “Va bene!”, rispondono senza sembrare particolarmente contente, ma nemmeno contrariate. É l’1 di notte. Urlano da un altro palazzo, si lamentano del rumore che facciamo. Alberto e Lucia stanno parlando in balcone con la svanita che fa avanti e indietro da Elisa per farsi tradurre frasi del tipo “Come ti chiami?”, “Caterina”, “É un nome greco!” e via così. In un altro momento mi divertirei moltissimo, ma adesso ho solo voglia di chiudere la giornata. Proprio mentre stiamo riuscendo a restare soli, all’1:20, mentre ci stanno facendo vedere le ultime cose, arriva una vicina urlando a squarciagola davanti la porta aperta del “nostro” l’appartamento. Non sembra contenta di vederci qui, nè dei traffici delle due sorelle. Discutono brevemente in modo animato, poi la signora se ne va. “É pazza”, ci dice la medium, facendo un gesto a dire che lo sanno tutti che quella è svitata. Lei e la sorella, invece ... La situazione è surreale. Siamo a casa di due sconosciute svitate, di notte, in un paesino di cui non conosciamo nemmeno il nome, in un punto imprecisato della penisola del Pilio, senza sapere dove andremo domani. Mi rendo conto che sono tre giorni che ho problemi di stomaco, dalla sera prima del massacro nelle gole di Vikos. Da allora non ho più nè cenato, nè pranzato, solo due colazioni e qualche aranciata o limonata. Oggi pomeriggio ho provato a mangiare un piccolo pezzo di rustico, ma ce l’ho ancora sullo stomaco. Perchè? Scrivo e leggo. Caterina è sul balcone, ma dopo quello che è successo non ho voglia di parlarle. Provo ad addormentarmi verso le 2. Il caldo è soffocante, avvolgente come un sudario. Un ventilatore ronza inutile nell’oscurità. 24/08/2008 - “Finalmente ci sistemiamo”
Alberto e Lucia, invece, hanno trovato a livello del mare, 50 € a notte. Lasciamo i bagagli e ci precipitiamo sulla spiaggia. Splendido: la spiaggia, l’acqua, il clima, tutto. Parlo ancora con Caterina. Di nuovo chiusura, poi un riavvicinamento. Alberto e Lucia si impegnano a ridarci il buonumore. Ritroviamo Fabio, il romano sposato con la donna greca di qua. A Roma fa l’architetto e lavora per l’Estate Romana, una kermesse con un giro d’affari enorme, la cui organizzazione dura praticamente tutto l’anno. La giornata passa così, tra sole e mare. Il sole tramonta presto dietro la montagna. Torniamo nel paese. Incrociamo un matrimonio. Lo sposo deve essere un motociclista, a giudicare dalla moto addobbata a festa che li attende sul sagrato. Decidiamo di fare, prima di cena, un giro nel paesino vicino, segnalato dalla guida di Lucia. É un vero presepe, piccolo e di splendore scintillante. Torniamo a casa, doccia e poi cena in un ristorante chic, almeno per come siamo abituati, con vista sul paese. Discretamente buono. Vorrebbero fare cucina italiana, ma dal poco che assaggiamo è meglio lasciar perdere. Mangiamo ovviamente greco, compresi i dolcissimi dolci. Andiamo a dormire all’1. 25/08/2008 - “Tranquillità nel Pilio” 26/08/2008 - “La penisola degli Dei”
Ci lasciamo attrarre, vista l’ora, dai ristoranti. I pochi aperti si affacciano sul porto e quasi tutti hanno lunghi polpi lasciati ad essiccare su reti e palizzate. Decidiamo per Dimitri che ci delizia con: giganteschi octapodi alla griglia, frittura di calamari, un tipo particolare mai visto di ostriche, mezzo litro di bianco, 34 euro in tutto! Decretiamo questo pranzo vincitore nella personalissima competizione tra ristoratori. In seconda posizione, per ora, si piazza quello di Girocastro di qualche giorno fa. Ci perdiamo nei vicoli del minuscolo abitato, anche per smaltire il pranzo. Le tante barche dei pescatori sono tutte allineate, ordinate, colorate. Il paese di case bianche e blu è deserto, non si capisce se per siesta o se è proprio disabitato. Ragioniamo che per quanto sia splendido d’estate, d’inverno non deve essere facile vivere infilato quaggiù. Ma d’altronde anche la vita in città non è facile, anzi! Scattiamo molte foto, ci lasciamo prendere dal posto e dall’atmosfera. Alla fine ci infiliamo nell’unico negozio di souvenir aperto e mi lascio convincere da un paio di oggetti (una brocca e un porta mestoli di ceramica dipinta a mano coi colori del mare e del sole) che vedo già sistemati nella casetta nuova di Roma, dove torneremo a settembre e ancora da mettere a posto. Iniziamo il rientro e percorro una strada alternativa che mi aveva incuriosito poco prima, durante la passeggiata. Per arrivarci dobbiamo percorrere in moto la strettissima strada principale del paese, compreso un pezzo sterrato che sbuca in un ampio parcheggio. La strada corre a picco sul mare e dopo qualche km di estasi panoramica si ricongiunge ad anello alla strada percorsa arrivando. Danziamo ancora sulle infinite insenature disegnate dalla roccia. In molte di queste dei pastori hanno ricavato il loro pezzetto di terra dove si sono sistemati con orto e bestiame, vivendo in una lingua di terra stretta tra le rocce ai lati, la strada deserta alle spalle ed il mare di fronte. Nelle ore di guida e anche in seguito mi interrogo su come debba essere vivere così, marginalmente a contatto col mondo “civile”, ma così a contatto con quella che non a caso viene chiamata “Madre Natura”... Dovremmo riflettere di più sulla potenza e la portata di questa espressione, Madre... Natura... Sento di essermi allontanato da mia Madre, dalla Madre di tutti noi e purtroppo non ho idea di come e quando riuscirò a riavvicinarmi a lei.
I pochi altri turisti con cui condividiamo la spiaggia sono quasi tutti italiani. Siamo proprio un popolo di viaggiatori! Lungo la via del ritorno ci godiamo il tramonto di tutte le tonalità del rosso e dell’arancio. Panchina in un paesino con patatine e limonata ghiacciata fino a quando il sole non sparisce all’orizzonte dichiarando purtroppo conclusa un’altra giornata. Rientro rapido in notturna. Ci rinfiliamo nel bosco. L’atmosfera continua a stupirmi, così incredibile, insolita. Il mare a due passi, ma immersi tra gli alberi, nel fresco della montagna. Ci lasciamo rapire dalle creazioni di un artista locale, dai quadri naïve e dalle ceramiche dal sapore preistorico, ancestrale, anche nei colori che richiamano l’età del Bronzo e del Ferro. La ceramiche sono della signora Licia, moglie del pittore, scrittore e pensatore che ha creato i dipinti. Vivono nel paesino dove alloggiamo anche noi, nella splendida casa rossa, l’unica antica che avevo ammirato l’altro giorno. Il marito ha esposto in Italia, a Torino nel 2006 ed esporrà di nuovo a Venezia, nel 2009. Lei invece ha studiato a Faenza, parla molto bene l’italiano. Il figlio è fotografo e anche lui, da quello che ci mostra, ha talento. Vola così un’ora, alla fine Caterina mi regala un candelabro con la scusa del mio ultimo compleanno. Ci salutiamo con rammarico, ma lei deve anche chiudere il negozio. Restiamo nel paesino seguendo le sue indicazioni e ci ritroviamo in una piazzetta splendida, del tutto inaspettata tra queste strette e alte montagne. Si apre uno spiazzo elegante, in pietra, con al centro un albero monumentale. Altro negozio d’artigianato, evidentemente la Natura e il luogo ispirano e rendono creativi. Ci rimettiamo in moto per percorrere gli ultimi km che sembrano lunghi il doppio per la strada incredibilmente tortuosa e annodata come un intestino, a precipizio sul mare. Discesa lunga, ripida, faticosa. Arriviamo finalmente a Agios Dimitrios. Yogurt e torta di mele sul lungomare, poi a casa! Faccio il bucato fino alla mezza e mi addormento verso l’una. 27/08/2008 - “Oggi, mare!”
Ci inerpichiamo nuovamente sulla montagna per poi scendere in picchiata a Milopotamos. Tante onde anche qui, ma decidiamo di fermarci, non abbiamo voglia di rimetterci in moto.
Alla seconda onda che inzuppa tutto, anche nella posizione supposta “sicura”, mi stufo e propongo a Caterina di tornare nel nostro paesino dove sicuramente riusciamo a trovare un approdo riparato. Strade annodate sui fianchi della montagna e poi di nuovo verso il fondo, muso di Nelik puntato contro il mare. Ciambella fritta, dolce alla mela e crema e succo di ciliegia sul lungo mare, poi ci abbandoniamo sulla spiaggia piccola alla sinistra del porto. Ci sono tante onde anche qui, ma la spiaggia è molto più grande di Milopotamos e soprattutto non c’è il bagnino! Gioco tra le onde facendomi travolgere e trascinare. In un attimo torno alla mia infanzia e adolescenza, alle lotte col mare che facevo in Calabria, col mare ingrossato dai temporali che arrivavano puntuali a fine agosto. Brutta cosa la nostalgia. Il sole tramonta dietro la montagna. Leggo, dormo, scrivo. Alle 19 torniamo a casa. Doccia e bagagli, purtroppo domani dobbiamo partire. Ceniamo da Babakostas, ottimo souvlaki, pi carne di vitello in salsa di pomodoro, carne tenerissima, melanzane cremose. Alla fine mangio troppo! Passeggiamo in una piazzetta, passiamo davanti ad un locale, al porto, ma non c’è quasi nessuno. Di corsa a casa, vado a dormire in pochi minuti, dopo un’aspirina cautelativa. |
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