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Giornate:
11 agosto 2005
12 agosto 2005
13 agosto 2005
11/08
Intera giornata a Konia. Tanto per cambiare ci ritroviamo tutti nel mausoleo di Mevlana. Allingresso
cè una grande cesta con i foulard per coprire i capelli, per le donne. Cate ne indossa uno maculato,
bianco e nero.
Allinterno molte persone si accalcano alla fontana delle abluzioni, linterno è pieno sia di turisti
che di credenti. Latmosfera, essendo così affollata, non è molto raccolta e ispirata, nonostante la
musica datmosfera che riempie la sala. Capisco il divieto di ingresso in tante moschee: pur non essendo
credente mi infastidisce la folla e il brusio, immagino per chi cerca un contatto col divino!
Linterno è abbastanza grande, ma è occupato dai sarcofaghi dei monaci danzanti al punto di sembrare
piccolo. Sopra ciascuna sepoltura, il tipico copricapo a turbante con un cono che si erge al centro, indica,
attraverso la dimensione di questultimo, limportanza del defunto. La tomba di Mevlana, infatti,
non si accontenta di un solo cappello, ma ne ha addirittura due, con il cono centrale altissimo. Decisamente
fallici!
Nella stanza a fianco sono esposti alcuni strumenti, degli spartiti e nella sala prima delluscita diverse,
splendide miniature del Corano.
Fuori veniamo agganciati da un caccia-turisti che ci abborda con un italiano abbastanza fluente, cattura la
nostra attenzione con alcune informazioni turistiche, poi ci propone di fare un giro nel suo negozio. Gli
diciamo apertamente che non siamo interessati, ma non demorde. Ci avviamo verso la moschea di Alaettin, ci
segue. La direzione è quella del bazar, arriviamo davanti al negozio del ragazzo che prova a trascinarci dentro,
ma siamo irremovibili! Gli è andata male.
Il bazar è interessante, anche se la maggior parte dei banchi è comune: abbigliamento, cartoleria, ricambi.
Ci sono un paio di sarti in locali minuscoli uno a fianco allaltro. Solita sensazione di trovarsi di
fronte a persone, abitudini daltri tempi.
Arriviamo in unampia piazza elegante, quasi per caso fiancheggiamo una bassa costruzione coperta da una
cupola. Una targa a fianco dellingresso recita "hammam - bagno turco". È lingresso maschile;
quello femminile è poco più in là. Ci penso un istante, poi guardo Abe: "Andiamo?". Anche lui tentenna solo
un attimo e siamo già dentro. Scendiamo alcuni scalini e ci troviamo in un piccolo ambiente, completamente
in legno, dallatmosfera accogliente, sotto la cupola che abbiamo visto dallesterno. È trasparente,
quindi filtra molta luce che illumina la sequenza di spogliatoi lungo due lati della stanza. Su un terzo ci
sono scaffali pieni di biancheria e sul quarto ancora biancheria, poi lingresso allhammam vero e
proprio. Ci danno dei piccoli asciugamani e delle ciabatte di plastica con la chiave di due spogliatoi. Dentro
è piuttosto buio, cè un lettino in legno e una sedia dove appoggiamo i vestiti. Essendo la prima volta
non so cosa ci aspetta, cosa dobbiamo fare. Non so se devo togliermi anche le mutande, ma quando esco dai loro
cenni decisi capisco che è già il momento di spogliarsi completamente!
Ci indicano la porta che avevo notato quando siamo entrati. È bassa, dobbiamo piegarci per entrare. Loro non
vengono. Nuovamente, dai gesti e da qualche parola dinglese capiamo che dobbiamo riscaldarci per una
ventina di minuti. Poi non si sa. Una volta superata la porta ci sono un paio di gabinetti, poi unaltra
porta, uguale alla prima, ad isolare un ambiente successivo. Questo, più ampio, è soffocante. Laria è
calda, molto umida. Tutto è in marmo: le pareti, i pavimenti, i ripiani per sdraiarsi e sedersi. In un angolo
vediamo unaltra porta uguale alle prime, ma vogliamo aspettare qualche minuto prima di scoprire cosa
ci attende dallaltra parte.
Poco dopo la curiosità e lentusiasmo ci rianimano. Ci addentriamo sempre più in questo labirinto dal
sapore antico. Il nuovo ambiente è più raccolto; dal soffitto a cupola filtra poche lame di luce da piccole
fenditure. Al centro cè un blocco rotondo di marmo dove ci si può sedere. Sdraiarsi è impossibile, la
pietra è rovente. Tutto intorno, a stella, si aprono piccole nicchie con rubinetti da cui esce acqua che mi
sembra gelida. Visto lo sbalzo di temperatura è possibile che sia tiepida, ma al contatto con la testa, le
spalle, la schiena rabbrividisco. Più mi bagno e più la sensazione di calore e umidità aumenta. Il silenzio
è totale, le nostre battute, sempre più rade e stanche, rimbombano assieme al lento gocciolio delle varie
bocche dacqua. Sotto queste ci sono dei catini in marmo ricavati dal pieno. Proprio mentre inizio
davvero a rilassarmi e a concentrarmi per resistere al calore ed ambientarmi, la sala si riempie di fruscii
e disturbi fortissimi. Poi inizia una musica cacofonica, sembra stiano regolando una stazione radio. Dopo
pochi secondi tutto si stabilizza: il volume si abbassa, la ricezione migliora, latmosfera è dissolta.
Che peccato!
Cerchiamo di resistere il più possibile, alla fine il pensiero di dover ripartire verso la Cappadocia, la
musica ad alto volume e il caldo al limite del sopportabile ci spingono a tornare nellambiente
precedente.
Fa quasi freddo, sento la pelle, il corpo intero che sta letteralmente buttando fuori acqua, la sento scorrere
da dentro a fuori attraverso i pori, come se la pelle fosse un tessuto che fa filtrare lentamente ma in modo
continuo il sudore.
I brividi di freddo lasciano il posto nuovamente alla sensazione di caldo, ci siamo riabituati a quella che
comunque è una temperatura elevata. Il nostro animo europeo frettoloso torna prepotente, la mente corre in
continuazione, sappiamo di avere poco tempo e anche quel poco riusciamo a farcelo disturbare da questi pensieri.
Impaziente esco a cercare segni di vita, ci sentiamo dimenticati nei meandri dellhammam!
Appena metto il naso fuori dallultima porta, direttamente nel primo cortile dove siamo entrati, i due
ragazzi mi rimandano indietro dicendo di essere pronti per venire a massaggiarci.
Dopo un paio di minuti arrivano coperti anche loro da un piccolo asciugamano legato in vita. Portano altri
asciugamani puliti, un catino, un guanto di crine ed altri oggetti.
Ci fanno stendere sui due alti ripiani di marmo. Il mio massaggiatore prende una piccola sacca di tessuto,
la riempie della schiuma di sapone pescando dal catino e inizia a coprirmi il corpo con un soffice strato
profumato. Poi inizia a massaggiarmi col guanto di crine, sempre più energicamente. Poi inizia il massaggio
vero e proprio, continuando a insaponarmi. Mi dà delle grandi pacche sulla schiena ridendo e urlando "turkish
massage"! Secondo me si diverte... Mi stringe le dita delle mani, dei piedi, preme forte sulla schiena e sulle
ginocchia facendole crocchiare. Afferra la mia testa e la gira di scatto prima a sinistra, poi a destra. Mi
gira, facendo sempre attenzione che lasciugamento mi copra linguine. Passa le dita dentro e
dietro le orecchie, tra le dita dei piedi. Servizio completo!
Infine inizia il risciacquo, riempiendo un altro catino di acqua gelida e rovesciandomela dalla testa su
tutto il corpo.
Il massaggio è finito. Ci lasciano privi di forze ed attoniti sdraiati sul marmo. Tutto è andato via,
dissolto, mi sento svuotato. Il corpo è sfiancato, sento ogni singola fibra dei miei muscoli come se fosse
stirata, allungata. Non ho più voglia di alzarmi, anche la mente è vuota.
Ma la natura è più forte di qualsiasi sensazione e presto torniamo a Konya, Turchia, ore 13 dell11
agosto 2005. Siamo di nuovo sintonizzati. Purtroppo.
Usciamo lentamente, barcollando, ci buttiamo su una panca. Chiediamo del tè che arriva in pochi minuti. Ci
concediamo ancora il tempo di una sigaretta, poi sentiamo che dobbiamo tornare al mondo. Dobbiamo partire
per la Cappadocia e non vogliamo arrivare di notte.
Ci rivestiamo, paghiamo e torniamo nel sole pieno. Sembra incredibile, ma il calore opprimente che sentivamo
prima di entrare è scomparso, leffetto del forte caldo umido appena trascorso mi fa sentire quasi
fresco.
Appena usciti ricevo un sms di Caterina che ci dà appuntamento per le 14 allalbergo della truppa.
Abbiamo unora per arrivare alla moschea di Alaettin e tornare.
Camminiamo su un viale alberato pieno di persone. Alcune ragazze hanno i capelli coperti dal velo, ma la
maggior parte si ripara solo con gli occhiali da sole. Penso ridendo al fatto che quasi tutte le ragazze
del gruppo quasi subito hanno adottato spontaneamente il velo coprendosi la testa con bandane e foulard.
Il sole picchia forte! Anche in questo caso, quello che viene proposto come precetto religioso, ha una sua
spiegazione pratica e razionale.
La moschea è abbastanza deludente, era più bella e viva quella vista poco prima tra i vicoli del bazar.
Torniamo indietro con passo rapido, arriviamo in albergo che ci stanno aspettando quasi tutti, a parte i
Cuccioli, ancora dispersi.
Lidea è di fare una deviazione verso il Toz Golu per passare in una zona desertica suggerita da una
rivista che avevo letto e da un racconto di un mio amico. La cartina segna soltanto una strada sottile, di
quelle che potrebbero anche essere sterrate. La preoccupazione che Cate possa scocciarsi a fare una strada
scomoda, con la possibilità che sia anche poco interessante mi spinge a proporle, mentre parliamo tutti
insieme, di andare in auto con le ragazze. Si offende molto, si sente scaricata e sovrastata nelle decisioni,
come se io scegliessi per lei. Altra incomprensione tra le mie vere intenzioni e quello che lei percepisce.
Ci allontaniamo da soli, camminando e iniziamo a litigare. Torniamo verso lalbergo, Abe capisce la
situazione e cerca di stemperare gli animi. Non cè nessuna decisione esplicita, almeno non da parte
mia. Di certo so che Cate ha limpulso di andarsene, ma si trova in Turchia, quindi è legata a noi.
Non vuole andare con nessun altro, se non per conto suo. Alla fine sale sulla moto e partiamo. Dice che
non ha voglia di fare nulla, è furiosa. Lo sono anchio, scocciato di essere frainteso ancora una
volta. La prendo alla lettera e inizio ad andare a razzo su questa strada che sembra disegnata col righello.
Km e km perfettamente in linea attraverso un piatto deserto che si perde allorizzonte. Di tanto in
tanto si distinguono sagome più o meno lontane di abitazioni. È tutto talmente piatto che si distingue una
capanna a grande distanza. Lavori in corso, vento laterale libero di soffiare da chissà dove, i camion che
incrocio ci danno grandi colpi daria.
In unora scarsa arriviamo a Sultanhani. Cate non se laspettava, ricominciamo a discutere sul
perché non abbia preso la deviazione per il Toz Golu. Avevo capito che le era passata qualsiasi voglia di
andarci, quindi avevo tirato dritto fino a questa sosta già preventivata. Gli altri in moto sono rimasti
molto indietro, mentre ci siamo riuniti con le ragazze in auto, partite prima di noi. Anche loro afferrano
al volo la situazione e cercano di coinvolgere Caterina mentre io giro da solo armato delle macchine
fotografiche per scaricare la tensione.
Arrivano Abe e Fulvio, veniamo a sapere che i Cuccioli sono rimasti a piedi lungo il rettilineo infinito,
senza benzina. Mi riecheggiano nelle orecchie le ultime parole sentite a Konya: Raffaella che diceva a Egidio
di mettere benzina e lui che rispondeva che non ce nera bisogno, era appena entrato in riserva quindi
aveva almeno 90 km di autonomia. Ha sbagliato i calcoli!
Sultanhani oggi indica una cittadina nata attorno al caravanserraglio (chiamato, appunto, Sultanhani), uno dei
più grandi lungo la Via della Seta. Il monumento è perfettamente restaurato, fin troppo. Superato il portone
sovrastato da un arco con le tipiche decorazioni geometriche dellarte islamica, si entra in un grande
cortile al centro del quale si erge unabitazione a un piano senza più il tetto. Tutto attorno al cortile
si aprono molto porte con ampi ambienti dove una volta si riposavano uomini, animali e si depositavano le
merci.
Inseguo Cate con lo sguardo, sono profondamente amareggiato dalle accuse che mi ha rivolto poco prima di salire
in moto a Konya. Ci giriamo intorno durante la visita al caravanserraglio, senza rivolgerci la parola. Mentre
le ragazze stanno andando via, mi siedo per arrotolare una sigaretta. Dopo qualche minuto arriva anche lei,
inizio a parlare. È dura, in queste occasioni mi sento toccare molto in profondità. Riusciamo a spiegarci,
ognuno le sue ragioni. Ci riappacifichiamo.
Ripartiamo alla volta della mitica Cappadocia, non vedo lora di vederla. Arriviamo al tramonto. Alle
ultime luci del giorno appaiono allimprovviso, dopo una curva, le prime formazioni rocciose. Sono morbide,
cremose, hanno le sembianze di colline di gelato. Anche il colore rosato del crepuscolo rafforza questa
impressione. Corro come un bambino lungo un crinale verso un belvedere naturale che si affaccia sulla piccola
valle. Scatto finché posso, uso anche il cavalletto, poi diventa davvero troppo buio. Torno alle moto dove sono
rimasti Cate e Abe. Anche loro sono al settimo cielo, cerchiamo di farci un po di foto fin quando non
scende il ragazzo seduto nella macchina parcheggiata fin da quando siamo arrivati. Ha le sembianze giapponesi,
ma si rivolge a noi con un forte accento bergamasco, restiamo di sasso!
Facciamo gli ultimi km fino a Goreme dove gli altri hanno già prenotato un albergo. Incrociamo i Cuccioli che
ci dirottano immediatamente allalbergo che hanno trovato per puro caso. È il Giardino delle 1001
Notte. Sotto al paese di Uchisar, in mezzo ai pinnacoli di tufo, è anchesso parzialmente ricavato
allinterno dei coni, poi ha una terrazza panoramica sulla valle, una piattaforma su un albero con tappeti
e cuscini dove si può oziare, mangiare, bere tè, chiacchierare. La nostra stanza è in uno dei coni di pietra,
è decorata con kilim alle pareti e in terra. Il tutto per 40 lire, colazione inclusa!
Decidiamo di non raggiungere gli altri, ma di cenare con i Cuccioli ammirando il panorama, ognuno seguendo i
propri pensieri e gustando lottima cucina turca. Optiamo anche per un vino della Cappadocia, famosi in
tutta la Turchia. È un bianco che trovo piuttosto acquoso, non mi entusiasma.
Concludo la giornata lavando finalmente un po di biancheria, ormai praticamente finita!
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12/08
Nella notte vengo svegliato dal muezzin, chissà dovè la moschea!
Cè un sole brillante, il clima è perfetto, caldo secco. Facciamo colazione a buffet con tutta calma,
poi visitiamo il museo allaperto di Goreme.
Ci aggiriamo sui sentieri che si snodano tra basse colline. Non ci sono i segni classici di urbanizzazione
come li intendiamo oggi: case più o meno grandi costruite in muratura, fango o altri materiali, nemmeno capanni
o pozzi, né giardini o orti. Nulla: tutto è ricavato allinterno delle colline. Queste sono fittamente
perforate e in alcuni casi lavorate, ma oltre al profilo della terra stessa, non cè altro. È tutto
allinterno della Madre Terra, metafora perfetta di queste città incredibili, dove luomo è tornato,
per un certo tempo della sua esistenza, nel suo grembo ancestrale.
Ci sono abitazioni semplici fatte di una o due stanze, poi i luoghi di incontro dove si mangiava e discuteva
tutti insieme e infine le chiese, tante. Spesso affrescate, quasi sempre sfregiate guarda caso sui volti,
invisi dallIslam dogmaticamente iconoclasta. Dopo aver adulato un sorvegliante ammirando lincredibile
conservazione di alcuni affreschi, gli chiedo il motivo apparentemente incredibile della distruzione dei visi.
Sicuro, senza pensarci un momento, con un velo di scusa e un pizzico di piccato rammarico accusa dei misteriosi
bambini che nei decenni, evidentemente attratti dagli sguardi inespressivi dei santi, della Trinità e degli
altri personaggi biblici, hanno provveduto a far sparire, in modo talvolta virulento, buona parte dei volti.
Un po per gioco insisto e chiedo se per caso non sia stato qualche fervente figlio di Allah a compiere
lopera purificatrice, ma continua a negare. Non si offende nemmeno, quasi non reagisce. Ripete la
storiella dei bambini, contro ogni logica, anche quando gli indico gli affreschi che sono sopra le nostre
teste, a circa 3 metri daltezza. Alla fine la smetto, tanto ormai il danno è fatto, mentre adesso sono
ben protetti.
Torno finalmente in contatto con Fedro, Betta e Blenin, sono ad Avanos. Con Cate e Abe decidiamo di fare un giro
là, nella speranza di incontrarli.
Il caldo è soffocante, sfruttiamo a piè sospinto la legge meno repressiva che ci permette di girare senza
casco. È una sensazione dimenticata, caduta vittima di uno Stato paterno (padre-padrone, in realtà) che,
preoccupato della nostra salute, ci indica (senza possibilità di replica o scelta) ogni giorno di più cosa è
meglio per noi, evidentemente incapaci di badare a noi stessi.
Il paesaggio continua ad essere spettacolare: si scorgono ovunque coni dalle forme più bizzarre con tonalità
dal bianco al beige, allocra. Indichiamo, stupiamo, meditiamo.
Arrivati ad Avanos scopriamo che è giorno di mercato. Non è particolarmente esotico o caratteristico, in ogni
caso è interessante. Soprattutto la parte sotto lampia tettoia, dove vendono frutta e verdura, ricca di
colori e profumi. Non mancano i banchi di spezie né gli autentici orrori, come luomo che vende dei
pulcini colorati a tinte vivissime: gialli, rossi, violetti, verdi, ecc. Ci chiediamo come li abbiano tinti,
se fin dalluovo o una volta nati.
Veniamo abbordati da un turco, ci parla del suo lavoro. Ci porta al suo banco di spezie, ci parla degli altri
suoi negozi e del suo continuo viaggiare tra la Germania e la Turchia. Già sento odore di inviti senza
impegno a visitare il suo vicino negozio di souvenir, ma mi sbaglio.
Arriva un sms di Blenin, è dallaltra parte del mercato. Lo raggiungo, finalmente lo rivedo dopo tanti
mesi! Chiacchieriamo tornando al banco di spezie del nostro nuovo amico turco. Ci congediamo da lui e
decidiamo il da farsi. I Cuccioli vorrebbero andare nella vicina cooperativa di tappeti per vedere la
lavorazione. Infatti, appena arrivati ad Avanos, Egidio era stato affiancato da un ragazzo in motoretta
che gli proponeva di andare a visitare il posto, prima che finisse la giornata di lavoro.
Blenin non ne aveva la minima intenzione, quindi ci siamo dati appuntamento per la sera.
Seguiamo le indicazioni e al limite del paesino, in direzione Goreme, troviamo questa grande, bassa costruzione
in mattoni. Allinterno ci sono molti tappeti esposti, sia a terra che alle pareti. La fattura è ottima,
i disegni un po meno, soprattutto quando scadono in ritratti di Ataturk o della Santa Trinità. Il primo
motivato dal forte nazionalismo istituzionale, il secondo dal forte turismo cristiano europeo e
nord-americano.
In una sala ci sono molti telai con delle donne al lavoro. Hanno una velocità manuale impressionante, le mani
hanno un effetto sfumato tanto sono svelte ad afferrare il filo, annodarlo e passarlo attraverso la trama
verticale. Ci incantiamo a vederle lavorare, poi decidiamo di tornare a Goreme. Proprio mentre usciamo un
impiegato della cooperativa, visto che stiamo per fuggire, ci invita a vedere ancora una parte del museo, dove
avremmo saputo la storia dei tappeti e avremmo visto come si lavora la seta, a partire dal bozzolo del baco.
Ci lasciamo convincere senza troppa difficoltà e ci ritroviamo in un numeroso gruppo di italiani con guida. Ci
imbuchiamo spudoratamente e iniziamo a seguirli attraverso le sale dove ci vengono mostrati i bachi nei catini
pieni di acqua calda per sbrogliare la matassa della loro struttura, poi presi 4 o 5 alla volta e srotolati con
un macchinario che raccoglieva la seta ancora grezza. Le spiegazioni proseguono, poi ci ritroviamo senza
rendercene troppo conto, tutti seduti sui 4 lati di un ampio salone completamente tappezzato di tappeti. La
porta si chiude, siamo tutti insieme. Lì la guida si rivolge esplicitamente a noi chiedendoci chi siamo, visto
che non facciamo parte del gruppo. Arrossiamo visibilmente, ci presentiamo. Generosamente veniamo accolti nel
gruppo, anche perché non avrebbe senso farci allontanare proprio ora che arriva la parte commerciale! Dopo
averci offerto del raki, del caffè e altro, il tipo inizia a parlare, mentre i suoi assistenti srotolano con
enfasi tappeti su tappeti, uno più bello dellaltro. Cambiano i colori, le fantasie, i materiali, le
tecniche, le zone di produzione, le età. Sono bellissimi, adoro i tappeti. Alla fine Raffaella, tra molti
tentennamenti dovuti alla spesa, alla paura di fregature e per problemi di spazio sulla moto, ne compra due.
Credo che siamo gli unici o tra i pochissimi che hanno comprato qualcosa, confermando la giusta intuizione di
accoglierci comunque nel gruppo!
Una volta usciti proviamo a cercare Fedro e gli altri nel loro campeggio, ma non cè nessuno.
Tornando a Goreme facciamo una deviazione per Zelve. Lungo la strada fiancheggiamo una delle parti più
spettacolari viste finora. Arriviamo al villaggio e scopriamo che è interamente a pagamento, un altro museo
allaperto come quello di Goreme. Vista lora tarda e il prezzo non indifferente, decidiamo di fare
un giro tra i coni visti poco prima lungo la strada.
Mi scateno con le fotografie, il posto è magico. Una volta superato lo sbarramento di bancarelle e venditori di
coni in pietra pomice, dervisci rotanti di gesso, scodelle di ceramica smaltata e quantaltro, ci si ritrova
circondati da alti coni affusolati. Proseguendo lungo il sentiero si arriva in un altro punto dove le formazioni
stavolta somigliano a giganteschi funghi mentre altre sono decisamente falliche. In silenzio attendiamo il
tramonto. Stavolta non è molto vivo, ma è ugualmente suggestivo e ci ritroviamo avvolti in una luce soffusa,
lattiginosa.
Tornando alla moto ci fermiamo allennesima bancarella dove compro un paio di dervisci e chiacchieriamo con
il proprietario e il figlio, un ragazzo di circa 12 anni dallaria non troppo sveglia.
Ceniamo con il resto della truppa nel loro albergo monumentale, una specie di Disneyland in miniatura a imitazione
delle case troglodite così diffuse in zona. È bello, ma finto.
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13/08
La sveglia suona alle 9. Abbiamo in programma di andare nella valle di Ilhara con gli altri. Come accade spesso
negli ultimi tempi, mi sveglio prima e inizio a lavare un po di biancheria. Questo basta a far innervosire
Cate. Sarà nervosa per altri motivi, pure io evidentemente lo sono perché iniziamo a litigare.
Facciamo rapidamente colazione sul terrazzino, la vista magnifica ci fa recuperare il buon umore. Ci incontriamo
con Abe alla base della collina su cui è abbarbicato il nostro albergo e partiamo per Urgup.
La strada si trasforma continuamente, diventando ora piatta e monotona, ora piena di curve e sospesa su panorami
grandiosi e spettacolari.
Allingresso di Urgup ci sono alcuni buchi, enormi, sul fianco di una collina. Ormai non ci stupiscono più,
anche se davvero ovunque, in questa parte di Turchia, possiamo vedere la mano delluomo. In fondo sono la
versione arcaica dei nostri grattacieli, ove si ricava, sfruttando al massimo lo spazio a disposizione, il maggior
numero possibile di abitazioni.
La cittadina non ci colpisce particolarmente, anche se in effetti non ci addentriamo, per pigrizia, nelle stradine
che si inerpicano con una pendenza scoraggiante sulla collina retrostante.
Assaggiamo finalmente il famoso gelato gommoso. Lavevo solo letto su alcune riviste prima di partire e
finalmente lo trovo. È incredibile, laspetto e la temperatura sono identiche a quelle cui siamo abituati, ma
la consistenza è completamente diversa. Se lo lecchi, tutto sommato, è ancora simile ai gelati italiani, anche se
inizi a intuire che qualcosa non va. Se provi a morderlo, la differenza ti stupisce in un baleno. Il gelato si
allunga, non cede, segue la tua bocca che si allontana stupefatta. Alla fine sei costretto a mordere per spezzare
questo filamento, duro e denso, che non vuole mollarti. Lo mordi. Come caramello, ma freddo e identico al gelato.
È laspetto che ti spiazza! Sarebbe come mangiare degli spaghetti che si sciolgono come gelato o bere un
liquido che in realtà devi masticare.
Compro lennesima cartina stradale in uno dei tanti negozietti che si affacciano sulla piazza moderna. Nulla
ci attrae particolarmente, quindi decidiamo di ripartire verso Mustafapasha.
Uscendo da Urgup sbagliamo strada e passiamo a fianco di un bagno turco dallaspetto invitante, magari ci
torniamo uno dei prossimi giorni!
La strada per Mustapasa cambia completamente, il paesaggio adesso è verde, rigoglioso. Le formazioni magiche dei
coni sono un ricordo riscattato dalla bellezza campestre che ci circonda. Frutteti, alti alberi frondosi, pace,
tranquillità, colori, profumi. Incrociamo pochissimi veicoli.
Mustafapasa è completamente diverso dai paesini visti finora. È stato abbandonato dalla comunità greca che vi
era insediata in seguito alla presa da parte dei turchi, i quali hanno semplicemente lasciato andare in rovina
le case liberate. Le abitazioni greche sono abbellite da una grande quantità di fregi e decorazioni e dal
drammatico fascino della decadenza.
Parcheggiamo le moto e veniamo subito placcati da un paio di ragazzi seduti su un marciapiede. Rispondiamo
distrattamente con lintenzione di non dargli retta, quando vediamo che si trovano davanti allingresso
di una casa meravigliosa. Lavorano in quel posto che si rivela essere un enorme negozio di tappeti, arrangiato
nei tre piani di questo casale da sogno. Si sviluppa attorno a una grande corte. Gli ampi ballatoi sono chiusi
da un lato da eleganti ringhiere di legno e dallaltro dalle pareti che si aprono su una moltitudine di
stanze, completamente piene di tappeti. Mi chiedo cosa se ne fanno di tutti questi tappeti, in un paesino che
non è molto turistico a quanto pare. Siamo, infatti, lunico gruppo di turisti!
Facendo finta di essere interessati facciamo un giro completo della villa, arredata, oltre che con i tappeti,
anche con una miriade di antichi attrezzi agricoli in legno e altri oggetti che donano unaria contadina
e rustica a quella che, tuttoggi ma in passato ancora di più, era sicuramente unabitazione
nobiliare.
Mi arrampico da solo sulla parte alta del paese, mentre gli altri sono impegnati a contrattare per i souvenir.
Mentre passo davanti ad una porta, questa si apre ed esce un signore anziano con in mano un piatto di prugne
appena colte. Appena mi vede si apre in un sorriso e mi offre due frutti che non posso rifiutare. Sono stupefatto
dallospitalità dei turchi.
Arrivato in cima mi ritrovo sotto a una villa immensa, anchessa abbandonata. La recinzione è arrugginita,
lalto cancello è tenuto insieme dalla catena che blocca le due metà, altrimenti sarebbe crollato da tempo.
Il portone dingresso, alla fine di due brevi rampe di scale, è parzialmente aperto. È un forte invito, ma
non saprei dove scavalcare e non voglio sparire per troppo tempo.
Scendendo trovo altre abitazioni abbandonate, semi-crollate come le altre. In pratica questo paese fantasma ha
il centro in gran parte disabitato e quasi completamente diroccato. Nella parte più esterna, invece, in quella
che si potrebbe chiamare periferia, se non fosse esagerato usare questo termine per un abitato così ridotto, ci
sono le case nuove ed abitate.
Quando torno nel punto dove avevo lasciato gli altri, non trovo nessuno. In compenso un negoziante mi invita a
visitare labitazione crollata che ha comprato da poco. Linterno è molto grande, umidissimo tanto che
in un anfratto cè un grande deposito di acqua. Vuole trasformare il tutto in un ristorante di charme,
ricavato direttamente nella roccia, fresco e piacevole destate (e invivibile dinverno, aggiungo
mentalmente!)
Recupero gli altri che nel frattempo si sono spostati in un altro negozio. I Cuccioli hanno comprato i regali per
tutti i loro amici e parenti. Non capisco come li porteranno indietro visto che non hanno nemmeno uno zaino!
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