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Sulla Via della Seta in groppa a una vecchia pelosa Honda di nome Nelik
Oggi mi tuffo a Oriente, prima che i giorni europei sollevino troppa polvere sui miei pensieri e sbiadiscano
i mille volti e paesaggi che abbiamo attraversato, a volte lenti come cammelli affamati di erba, a volte veloci
come volpi del deserto che inseguono la preda.
Un’avventura pura, dove la stanchezza della mente si trasforma giorno dopo giorno in voglia di andare,
conoscere, andare, conoscere, andare ... mai partire. Perché per me partire è sempre lasciare, lasciare un
piccolo rimpianto da qualche parte ... e invece no ... non è stato mai partire, sempre andare. È la voglia
di arrivare, scambiare sorrisi, abbracci, cose, parole belle o arroganti, parole vere, e poi andare di nuovo.
È la vita sulla Via della Seta ...
Il carburante vero è l’entusiasmo, la curiosità forte di scoprire cosa c’è dopo, cosa c’è dopo quell’albero,
quella curva, quella casa, quell’uomo. Cosa c’è dopo il confine etnico, umano, naturale di ogni paese. È la vita
nelle sue centinaia di forme.
Gli occhi turchi e neri che arrostiscono agnello e montone e affettano finemente il kebab, le ciglia lunghe,
le sopracciglia folte, orgogliose come la Moschea blu ci accompagnano attraverso i campi di grano dorati, i deserti
grandi come il mare; poi montagne e pascoli verdi fino all’acqua blu intenso del lago di Van, alla ricerca dei
magici gatti bianchi dagli occhi diversi, uno blu e l’altro verde!
E poi all’Ararat, LA MONTAGNA sacra ... Lì si arenò l’Arca di Noè e li è stato bello arenarci per una notte e un
giorno, con i piedi piantati a terra e il naso fiero puntato verso la cima innevata. Un incanto. E così era rimasto
incantato anche il naso di Ishak Pashà che lì vicino costruì il suo castello ... incredibilmente SENZA vista sulla
Magica Montagna! Che tipo strano il Pashà ...
È la Turchia.
Le moschee si trasformano in antichi monasteri ortodossi dagli appuntiti tetti conici, remoti, nascosti, nella
speranza di non essere mai scoperti da chi non saprebbe amarli.
Gli occhi turchi e neri, diventano georgiani, poi armeni, sempre neri, profondi, ma diversi. Si mescolano a quelli
blu, marroni, verdi.
Invece di arrostire solo agnello, mangiano spiedini di maiale, pollo, ma spiedino docet anche qui. Ma si mangia
con passione ... e si beve con passione, finanche incoraggiati come da un direttore d’orchestra al brindisi
corale, o a prendere la parola e augurare ai presenti ogni bene e ogni successo. Anche il brindisi qui è vissuto
come forma d’arte.
È il Caucaso.
Le teste di donna si scoprono e i capelli lucenti si mostrano…è il Caucaso, il Paradiso terrestre, dove le
lingue si mescolano restando uniche e dove le genti si osteggiano a causa di confini sbagliati e compenetrati
come dita intrecciate in attesa di una risposta.
È il Caucaso, sì. Una vecchia polveriera, dove l’odore di conflitto non è ancora svanito ma non è svanito nemmeno
l’odore di cultura, di arte che questa civiltà ha prodotto.
I georgiani, sono diversi dagli armeni e dagli azeri, molto diversi. Ma fanno il pane nello stesso identico
modo: soffice, saporito e tondo ... così com’è saporita la frutta, pesche, angurie, meloni, more, fichi. Non a
caso, il melograno qui è un simbolo nazionale che porta prosperità. Anche questo è l’odore del Caucaso!
L’imponente e verde catena del Caucaso ci porta per mano fino in Azerbaijan. I monasteri ortodossi scompaiono;
i sorrisi e le mani che si agitano al nostro passaggio, no.
Il cammello Nelik si riposa in un caravanserraglio a Seki. Che magia! Tra le volte alte, riecheggiano ancora le voci
dei mercanti variopinti e rinfrancati al fresco di questo miraggio fatto di pietra color del sole, mentre bevono
tè e masticano dolcissima Halva.
Corriamo, corriamo, verso il mare, il mare blu da cui sgorga l’oro nero; il Caspio. Lì ci impantaniamo con le
zampe incollate di petrolio come gabbiani vittime dei peggiori disastri ambientali. Attraversare il Caspio in
nave ... ci appare un po’ come provare a camminare sull’acqua in groppa a un Cammello!
La nave non arriva. Ma arrivano amici nuovi: Jaime, Ben, Nuria, Natalia e Quentin. Amici dell’avventura e
della riscoperta delle piccole cose, dei piccoli gesti che ti fanno diventare un po’ più grande. Sudiamo,
pensiamo, ridiamo, beviamo insieme. Siamo tutti in attesa. Frenetica. Trepidiamo al pensiero del passaggio
verso il cuore dell’Asia, verso il cuore del nostro viaggio e, forse, verso il cuore del nostro cuore. I corpi
sono stanchi, stanchi per l’attesa e le menti sospese, tra Occidente e Oriente, indecise.
Samarcanda è ancora lontana ma tutti sentiamo il forte richiamo.
È l’attesa dell’Asia centrale.
Si va Oriente! La nave salpa quasi al tramonto. Pesche e biscotti sul ponte rincorsi dai gabbiani.
Immediatamente l’attesa a Baku diventa storia. Passata ... La notte arriva presto nella cabina un po’ demodé
che un tempo era del capitano. Adesso è nostra. Una scrivania, una lampada, un oblò e navighiamo sul mare che
sembra olio ...
E questa volta non parliamo per metafore! Mi sento chiusa in un "limbo di mare" che separa due dei tanti mondi
di questo pianeta. Fagioli, canzoni, parole sussurrate e Buona Notte Signor Lenin ...
Il mattino arriva in fretta portato dal vento tiepido che soffia dall’oblò. La luce è accecante e il caldo
infuocato. Tocchiamo terra ma non si scende ancora. Ci intratteniamo con i pochi colorati passeggeri dai sorrisi
decisamente dorati.
È ancora l’attesa dell’Asia Centrale.
Finalmente sbarchiamo ed è tempo di attraversare un nuovo confine; gli occhi si allungano, i sorrisi NO! I
denti d’oro dei doganieri perfettamente sbarbati questa volta non brillano. Del resto siamo in frontiera a
Turkmenbashi e qui non c’è proprio nulla da ridere. Ci lasciamo alle spalle il mare più "nero" del mondo e
davanti a noi si srotola, come un tappeto rosso, il deserto. Corriamo come volpi del deserto, veloci. Un melone
giallo immenso irrorato da una Turkmencola scandisce il tempo È che buono! Fuori dalla dogana gli occhi a
mandorla sottili sottili sotto gli enormi cappelli di Astrakan riprendono a gioire.
È il Turkmenistan.
Corriamo, corriamo, ci aspetta il deserto sotto una cascata di milioni di stelle. Se cadranno quelle povere
stelle dobbiamo salvarle, mi dicevo. Chissà, forse i deserti sono fatti anche di polvere di stelle ...
Anche il fischio della polizia scandisce le tappe del viaggio ma decidiamo noi quando fermarci e con chi fare due
chiacchiere in turkmeno.
E così, deserto, deserto, deserto, stelle, stelle, stelle, polizia. Per 1.400 km ...
È la Via della Seta ... e forse anche un po’ della SETE!
Il visto è scaduto nel paese con la polizia meno sorridente dell’Asia. Riaffiora tutto l’Occidente che è in
me, la commedia dell’arte partenopea. Si apre il sipario e si inscena un malessere ... Ho i crampi! Forse sono
incinta! Devo uscire da questo paese, ADESSO! Ambulanza! Infermieri dagli occhi mongoli sotto i berretti bianchi
a mò di grandi chef! Niente Croce Rossa però. Injection?? NIET! Facce da Gengis Khan! Solo pillole, ok?? OK.
Lasciamo il paese ma il come ve lo spiegherò a voce.
Arrivederci Turkmenistan!
A soli pochi metri dal confine tutto diventa più bello. Il deserto lascia il posto a un campo verde che è solo
nei miei occhi, i sorrisi sono abbaglianti come l’oro dei Faraoni; i fiori del cotone sono più grandi e soffici
e le angurie più dolci ... è il paradiso.
La strada è lenta e le buche scandiscono il ritmo della Via della Seta; siamo di nuovo cammelli, lenti lenti,
verso Samarcanda. Il cammello assetato di riposo arriva a Bukhara, città di splendide madrase, piazze di acqua e
gelsi centenari. Gli occhi non sono così a mandorla e diventano più vicini sui profili belli e fieri degli uzbeki.
Si riaffaccia un po’ di occidente sui volti. Si respirano riposo e intimità qui a Bukhara, così, sdraiati sui
letti in legno si guarda il cielo, si sorseggia tè e si gioca il nardy spiluccando chicchi d uva dolci e dorati,
un po’ come geni della lampada sui tappeti volanti ...
È la città dello spirito che si nutre di saporito riso Plov. Bukhara. Ci arrampichiamo su un minareto panciuto e
ammiriamo le tante madrase che un tempo irroravano le menti di migliaia di studenti islamici arrivati da tutta
l’Asia. Tanti segni di un passato trionfale e tanto vento.
È l’Uzbekistan.
Andiamo, andiamo, avanti. Ancora lenti tra i campi di cotone e i cappellini variopinti di Shakrizab che
suona come una parola magica ed un po’ lo è. Qui nacque il leggendario Amir Timur lo Zoppo, Tamerlano per noi.
Sulle sue orme attraversiamo l’altissima porta del suo palazzo variopinto. Siamo proprio sulla Via per
Samarcanda.
Ci arrampichiamo su una bellissima catena montuosa che metteva a dura prova cammelli e carovane; si sale, si
sale, si sale, su, su e poi giù, giù verso la meta, il miraggio ... La strada in pianura si fa stretta e buia.
La luce arriva solo dalle case a bordo strada. Siamo una carovana che ondeggia tra dossi e buche evocando una
danza che danziamo da giorni!
Dov’è? Dove siamo ora? Sarà lontana? Ma siamo GIÀ a Samarcanda! I nostri occhi hanno bisogno di quello spettacolo,
di qualcosa di stupefacente. Hanno bisogno del loro sogno! Sbuchiamo su una piazza, vedo degli alberi alti che
coprono delle luci. Chiudo gli occhi. Li riapro. E il nostro sogno è li davanti agli occhi. Spettacolare, il
Registan! Il blu delle maioliche sfida la luce notturna e arriva dritto al cuore ... che colori, che
maestosità ... e proprio lì ai piedi di quell’incanto, un tempo si radunavano animali, uomini carichi di
mercanzie, provenienti da luoghi tanto lontani tra loro. Un luogo sinergico, anzi, il mercato più bello del
mondo, dove una pera ... ti sembrerà un topazio e un’insalata uno smeraldo! È il bello che contagia e che
tutto illumina ...
Sotto il mio sedere il nostro cammello e davanti a me il mio splendido carovaniere e compagno di viaggio
... grazie a te e alle divinità in questo cielo per avermi portato fino a qui.
È Samarcanda, sulla Via della Seta, la Via dell’Amicizia, dell’Amore per lui e per l’umanità più varia. È
la Via dello Scambio, culturale, religioso, cosmico ...un tempo, il mercato più bello del mondo. Rachmat ...
Continuiamo a viaggiare ... e a "mercanteggiare" parole, opere, energia.
Un pensiero speciale ai viaggiatori piccoli e grandi nella mia vita,
Katarina Amahdyan.
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