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Giornate: 16/04/2010 - “Bagnato e congelato in Montenegro”
Man mano che vado verso Est, il tempo peggiora. Già in mezzo alle gole, riprende a piovere. Decido comunque di fare il giro che avevo in mente, girando intorno al parco del Biogradska Gora, andando prima verso Bijelo Polje, poi Berane fino a Kolasin, quasi a chiudere un anello. Le montagne sono grandiose, spettacolari. Purtroppo piove sempre di più, fa sempre più freddo e dopo Andrijevica la strada diventa pessima, stretta, rovinata e franata in molti punti. 40 km di sofferenza fino a Matesevo, poi la strada torna accettabile. La statale verso Podgorica è spettacolare, voliamo alti su una gola stretta e profonda. Peccato il gran traffico. Piove a dirotto, fa freddissimo, sono zuppo dalla testa ai piedi, letteralmente da strizzare. Sono a pezzi, ma voglio arrivare a Kotor, almeno là potrò fermarmi in santa pace fino al momento della partenza. Arrivo a Podgorica, la supero senza eccessive difficoltà. Continua a piovere. Immediatamente dopo Podgorica cerco di prendere il bivio per Cetinje, ma non riesco a trovarlo. Su una salita, la strada si allarga grazie ad un paio di corsie utili per chi deve svoltare nelle strade laterali. Ne approfitto per superare un pullman ansimante che mi sta intossicando da qualche km con i gas di scarico. Proprio mentre supero, in piena accelerazione, mi accorgo, troppo tardi, di una pattuglia della stradale dall’altro lato della strada. Il poliziotto, imbacuccato nella cerata, mi fa ampi gesti di fermarmi con braccia e paletta. Rallento. Sono esausto, sia per il pullman che mi segue a pochi metri, sia per il fango che invade il lato della strada, sia per la stanchezza, fatto sta che proseguo, lentamente, per almeno duecento metri. Guardo lo specchietto. É uscito anche il collega dalla macchina, mi guardano, fermi, sotto la pioggia, aspettando che torni. Ci penso ancora un attimo mentre continuo ad andare a passo d’uomo, poi divento troppo lontano per fermarmi. Amen, non mi son fermato, se ci son problemi mi ritroveranno e vedremo il da farsi. Proseguo con una certa ansia, gli occhi fissi nello specchietto aspettandomi da un momento all’altro di vedere la pattuglia che mi insegue a sirene spiegate. Invece, nulla. Passano 1, 2, 5, 10 km e nulla. Mi rilasso, si fa per dire visto che piove in continuazione, ma forse mi è andata bene. Il punto però è che la deviazione per Cetinje non arriva e mi convinco rapidamente di essere sulla strada sbagliata. Mi fermo in un benzinaio. “Scusi, la strada per Cetinje dove si prende?”, chiedo al ragazzo in piedi tra le pompe. “Ha sbagliato, deve tornare indietro!” “Ah! Quanto indietro?”, chiedo preoccupato, col pensiero che torna subito al posto di blocco. “Almeno dieci km! Al grande incrocio dove la strada si allarga, prosegue ancora un po’ e gira a destra.” L’ipotesi peggiore si concretizza: devo tornare verso il posto di blocco! Non so che fare, poi la pioggia e la stanchezza hanno il sopravvento: vada come vada, devo tornare indietro e ci tornerò! Inverto la marcia e lentamente percorro i 15 km che avevo messo in mezzo tra loro e me, sperando che nel frattempo se ne vadano. Arrivo all’incrocio, non se ne sono andati. Sono ancora lì e, nemmeno a dirlo, mi fermano bloccando praticamente tutta la strada. Secondo me non credono ai loro occhi. Mi chiedono i documenti in inglese, fingo di non capire, di non parlare nè quella, nè altre lingue. In realtà capisco abbastanza anche di quando parlano in montenegrino, grazie alla radice comune con il russo. “Passport, passport!!”, ingiunge nervoso. Glielo passo, vede che sono italiano. Per mia grande fortuna, non lo parla. Prosegue la pantomima, lui in inglese, io a ripetere completamente intontito: “Non capisco, non capisco l’inglese!” Si arrabbia, perde la pazienza e inizia a spiegarmi in montenegrino tutto l’accaduto, che ben conosco avendolo fatto coscientemente: ho superato dove era vietato, andavo veloce e, peggio del peggio, non mi sono fermato. Continuo imperterrito a parlare in italiano. Sono stanchissimo, ne approfitto per riposarmi anche se la situazione mi innervosisce. Per fargli capire quanto sono stanco e bagnato, continuo a prendergli le mani e afferrargli il braccio con i guanti completamente gravidi d’acqua. Si scuote le mie mani di dosso, infastidito, ma io ricomincio, il tutto accompagnato da un litania lamentosa in cui ripeto ossessivamente:“” “Sono stanco, piove, fa freddo, non vi ho visto, c’era il fango, ma che è successo mai, dai su, basta, lasciatemi andare”, rigorosamente in italiano, consapevole che non capisce una parola di quello che dico, ma puntando ad esaurirlo. Ad un certo punto esclama, illuminandosi in viso: “Wait, wait, I call a friend speak Italian!”, mi dice in un inglese approssimativo. Estrae il cellulare dalla tasca della cerata, compone il numero e spiega brevemente la situazione alla persona all’altro capo del telefono. Me la passa. Di nuovo, fortunatamente, la persona non parla italiano. Mi spiega, in inglese, che capisce abbastanza bene l’italiano, ma non lo sa parlare. Mi invita, sempre parlando in inglese, a parlare in italiano, che mi avrebbe capito e avrebbe spiegato al collega davanti a me. Proseguo quindi nella sceneggiata, ripassando il telefono al poliziotto disperato ed esclamando: “No English, no english, non capisco, non capisco!” Nuovo colloquio fitto col collega, mi ripassa il telefono. Faccio attenzione a inzupparglielo per bene d’acqua, non essendomi ancora tolto i guanti. Di nuovo il tipo di prima, che, in inglese, mi spiega che ho fatto un grave errore a non fermarmi e che la multa è di 150 euro. “Come?!”, esclamo, in italiano. Il tipo mi ripete il concetto: 150 euro di multa, da pagare tutti e subito! Mi riprendo dal torpore come se mi avessero dato una scossa elettrica. Scendo dalla moto ed inizio a strillare, per farmi sentire allo stesso tempo, sia dal collega al telefono che dal poliziotto sotto la pioggia, di fronte a me: “Ma quali 150 euro, io non pago nulla, adesso andiamo a Podgorica all’Ambasciata Italiana e vediamo, cosa devo pagare!” Nessuno si stupisce che magicamente ho iniziato a parlare in inglese, sono più preoccupati da quello che sto dicendo: “Ambasciata, voglio l’ambasciata, torniamo subito a Podgorica!!” Il poliziotto parla brevemente con il collega il telefono, poi chiude e mi dice: “Via, vai via, sparisci!” Non me lo faccio ripetere due volte: non mi infilo nemmeno i guanti, che da bagnati sono lunghissimi da mettere, accendo il motore e me la batto. Trovo il bivio per Cetinje, ma è destino che oggi debba faticare dieci volte il normale. La strada è in rifacimento, trovo una fila colossale, epica, di auto e TIR fermi, incastrati gli uni negli altri cercando di passare nell’unica corsia rimasta. Solo che ci provano tutti insieme, sono annodati da non so quanto tempo e non so quanto ci rimarranno. Grazie alla moto riesco a infilarmi, intrufolarmi, girare e superare l’immane blocco. Il punto critico, dove gru e scavatori immensi che sventrano la collina, lo supero passando a pochi centimetri dalla gru ferma, schiacciato contro la roccia che sta demolendo, passando sopra fango e pietre. Verso Cetinje la strada sale di nuovo, mi ritrovo immerso in una nebbia fittissima, con visibilità a meno di 20 metri! Di nuovo, devo rallentare, il freddo ormai è penetrato a fondo nelle mie ossa, spero di non ammalarmi! Ho paura che passando dal Lovcen, la montagna alle spalle di Kotor, faccia ancora più freddo di quello che sto già patendo. Decido quindi di arrivare fino al mare, a Budva e poi tornare indietro fino a Kotor. Finalmente arrivo a destinazione, bagnato e freddo fino al midollo. Chiedo informazioni su un affitta camere economico a dei ragazzi, che mi dirottano all’ufficio informazioni, che si trova all’interno delle mura di cinta del centro storico. Entro nell’ufficio informazioni, sotto lo sguardo schifato della ragazza dietro al bancone, che guarda preoccupata la scia d’acqua che lascio mentre cammino. Chiedo nuovamente di una sistemazione economica in centro. Ci pensa un attimo, poi mi dice di attendere, che avrebbe fatto una telefonata. Rispondono, la ragazza spiega la situazione in montenegrino, poi mi chiede, in inglese: “Quanto vuoi spendere per la camera?” “Il meno possibile!”, rispondo non volendo dare cifre che potrebbero giocare a mio sfavore. Prima mi faccio dire il loro prezzo, poi, se non va bene, contratto. La ragazza riferisce la mia risposta al telefono, nuovo scambio di battute tra loro, poi mi chiede: “15 euro a notte vanno bene?” “Benissimo!”, esclamo senza esitazione. “Ok, allora aspetta qui che la signora viene a prenderti tra pochi minuti.” Tempo dieci minuti ed arriva una signora bassa, rossa di capelli e vestita discretamente, che con grande energia mi dice di seguirla. “Un attimo, e la moto?” “Valla a prendere, tu vai con quella e mi segui, io vado a piedi!” “Ma non posso entrare nel centro storico, è pedonale!” “Non preoccuparti, se mi segui non ci sono problemi.” Mi fido, anche perchè non posso fare altrimenti e poi ho il miraggio fortissimo di una doccia calda e del letto. Vado a prendere Nelik, salgo sul marciapiede e, poco prima di passare sotto la porta principale nelle mura ed entrare così nel centro storico, prendo un po’ di velocità per avere lo slancio di camminare per un po’ di metri a motore spento. La signora saltella allegra e veloce davanti a me, infilandosi in vicoli sempre più stretti. Alla fine arriviamo al suo palazzo, spalanca il portone e fa: “Mettila dentro, là, davanti alla scala.” Obbedisco, smonto i bagagli e la seguo in casa, elegante, discreta, piena di libri fino al soffitto. Bella! E anche la stanza è bella, calda e accogliente.
Torno in camera a sdraiarmi sul letto e finire tè. Mi sento strano, non ho fame ed ho le guance infuocate. Oggi ho sofferto molto il freddo, soprattutto quando ero in quota, sulle montagne, sotto la pioggia. Per sicurezza, prendo un’aspirina. Mezz’ora dopo, Mira mi porta una bella camomilla, poi, dopo qualche altro minuto, un computer portatile: “Così puoi controllare la posta!”, esclama con un sorriso. Mitica Mira! Leggo un po’ di notizie su Kotor, poi di nuovo sul traghetto, che domani devo assolutamente prenotare. Mi rilasso sotto le coperte, mi addormento intorno a mezzanotte. 17/04/2010 - “Kotor, gioiellino veneziano”
Non riesco nemmeno a ricordare in quanti e quali posti insoliti l’ho parcheggiata, a cominciare dallo spogliatoio della palestra di Bratislava, nel primo viaggio del 1994, quando dovetti poi svegliarmi all’alba per spostarla, perchè i ragazzi dovevano giocare ... Vado in una agenzia viaggi. Mi dicono che è troppo tardi per comprare il biglietto! Inizio a preoccuparmi. Seconda agenzia viaggi, qui per fortuna sembrano più collaborativi. Inizia una girandola di telefonate tra loro, la compagnia, il porto di Bar e non so chi altro. Una telefonata dietro l’altra, alla fine esco con un numero di prenotazione in mano: sarà sufficiente?
Cappuccino e cornetto, seduto in poltrona, 2 €. Fantastico! Una spremuta fresca d’arancia, 2,5 €. Sto ricaricando le batterie per la visita del borgo, che si completa in un paio d’ore. Mi spiace perdere tanti altri bei posti sulla costa montenegrina, ma sono troppo stanco per prendere la moto, che tra l’altro è bloccata in pieno centro pedonale! Passeggio a lungo nello splendido centro storico. Ad ogni angolo spunta un Leone di San Marco a ricordare, ora e sempre, le origini della città. Un mercato si addossa all’esterno delle mura di cinta del centro storico e, in parte, le occupa. I banchi di carne e pesce, che preferiscono l’ombra e la frescura, si trovano infatti all’interno di ampie sale ricavate all’interno delle mura. Torno all’interno del centro attraverso un ponte di pietra steso sopra un laghetto azzurro intenso, ricorda l’Occhio Blu albanese che vidi un paio d’anni fa. Concludo il giro e torno in camera per un breve sonnellino. Mira per fortuna accende il riscaldamento, anche se dopo un po’ lo spegne, altrimenti finisce che spende più per accogliermi e mantenermi che non per i soldi che le dò! Gli stivali e i pantaloni di pelle sono ancora zuppi! Domani, andando a Bar, avrò il colpo di grazia. Sto male tutto il giorno, crampi allo stomaco e testa sottosopra. Esco di nuovo intorno alle 17. C’è una splendida luce, un’atmosfera calda. Ci sono molti meno turisti rispetto a stamattina, evidentemente organizzano dei pullman che arrivano da fuori per una gita in giornata. Sarà che sto poco bene, impossibilitato a fare il giro delle mura di cinta che si arrampicano alte sulla montagna alle spalle di Kotor, sarà che il borgo è minuscolo, in ogni caso è la prima volta che avverto un po’ di noia. Vorrei qualcuno con cui parlare, ma qualcuno di conosciuto, senza doversi sforzare a capirsi o conoscersi. Mi sento stanco, debilitato. Mi siedo a scrivere queste righe su una panchina di fronte al mare, subito fuori la porta principale della Stari Grad, la città vecchia. Kotor è davvero un gioiellino, le mura che si dipanano sulla montagna, come radici di pietra di una pianta secolare. Sono molto suggestive e la calda luce del crepuscolo dona a tutto l’insieme un aspetto magnifico. Passeggio ancora un po’, poi torno a casa. Chiacchiero con Mira, ha lavorato per anni in Inghilterra, poi Francia, poi Grecia. Ora è qui da qualche anno ed è un po’ pentita della scelta che ha fatto. Vorrebbe lavorare ancora un po', poi provare a ritirarsi: “Magari in Grecia!”, esclama con lo sguardo sognante, perso in lontananza. Riesco a farle accendere ancora un po’ i riscaldamenti, lei non vorrebbe. Le ore del pomeriggio non hanno giovato né agli stivali, né ai pantaloni di pelle, è ancora tutto fradicio, pesante d’acqua fredda. Anche i guanti sono bagnati. Continuo ad essere spossato, con lo stomaco a pezzi. Capisco tutto, ma non lo stomaco! Vado a cena in un ristorante consigliato da Mira. Chiedo zuppa di pesce e patate bollite. Nella sala diffondono musica italiana: l’immancabile Ramazzotti, Cocciante e altri, alternati, da qualche cantante locale. Mi concedo un rapidissimo giro dopo cena. Negli stretti vicoli di pietra rimbomba la musica di qualche disco club. Provo a cercare un locale rock di cui avevo letto la pubblicità, ma trovo un piccolo bar che manda la solita musica da discoteca. Rientro presto, ma riesco a prendere sonno solo verso le 2 di notte. 18/04/2010 - “Savo, il salvatore”
Decido di salire sul monte Lovcen, percorrendo la strada che l’altro giorno, con freddo, nebbia, pioggia e stanchezza, avevo rinunciato a fare. La strada è strettissima, una sola corsia, ma molto bella. Man mano che salgo, la neve ai lati aumenta, poi compare anche in mezzo alla strada. Dopo qualche curva in salita, la neve chiude del tutto la strada, impossibile proseguire. Peccato perchè il tratto coperto dalla neve è di poche decine di metri. Poi inizia la discesa e torna pulita, nera e lucida fino a valle. Torno indietro. Voglio godermi il silenzio della montagna, sentire filare il vento nelle orecchie senza altro suono, scendendo dalla montagna come un uccello in picchiata. Inserisco la marcia a motore spento e freno lasciando leggermente la frizione e facendo prendere la marcia. Nei tratti più ripidi, dove prendo molta velocità, mi aiuto con i freni, altrimenti solo frizione. Dopo qualche km di questo trattamento, in una delle ultime curve, lascio nuovamente la frizione, ma nulla accade, non rallento. Freno al volo, con la paura di bloccare le ruote visto che non ho più freno motore. Forse si è rotta la catena, o forse è entrato il folle senza che me ne sia accorto. Ma ... non è così: inserisco qualsiasi marcia, mollo la frizione, ma è come se rimanessi in folle! Si è bloccata la frizione! Penso con terrore al traghetto di questa sera: se lo perdo saranno guai al lavoro, dove mi aspettano domani! Arrivo alla base della stradina del Lovcen. C’è una locanda, un bambino esce quando sente il cane abbaiare al mio arrivo. “Chiami la mamma, per favore?”, gli chiedo in inglese. Non capisce la lingua, ma capisce il senso della domanda. Rientra per uscire dopo pochi istanti, mano nella mano con la madre. “Cos’è successo?”, mi chiede in perfetto italiano. Gli spiego la situazione. Inizia una serie di telefonate. Tra un tentativo e l’altro, le chiedo: “Dove hai imparato così bene l’italiano?” “Guardando la vostra televisione! Da qui si prende ...” Impressionante! Tantissima gente, soprattutto in Albania, mi ha dato questa risposta. Se io guardassi anche dieci anni di televisione albanese o montenegrina, non credo che riuscirei a imparare la lingua! Non trova nessuno, d’altronde è domenica. “Per sicurezza prendi il numero di questo taxi di Kotor e poi, questo è il mio numero, chiamami se hai bisogno!” Ringrazio e spingo per il breve tratto di salita prima della lunga discesa tra mille tornanti che riporta a Kotor. Mi superano dei ciclisti, che poi sorpasso di nuovo non appena inizia la discesa. Supero un’auto ferma nella piazzola di un punto panoramico. Ammirano il paesaggio, lui e lei abbracciati. Quando si percorre a spinta una strada, ci si rende conto con molta più precisione di quanto sia lunga la strada, di cosa sia in discesa, cosa in piano e cosa in salita. Fatto sta che, quella che mi sembrava un’unica, lunga discesa fino a Kotor, in realtà, ovviamente, ha una serie di tratti in piano e anche in salita, sebbene la maggior parte sia in discesa, anche molto ripida. Al primo di questi tratti in salita, lungo parecchie decine di metri, esaurisco la spinta e mi fermo, senza nemmeno provare a spingere in salita una moto che pesa almeno 250 kg! Fermo immediatamente la prima auto che passa: i fidanzatini superati poco fa. Lei ha la faccia molto, molto scocciata! Lui è molto gentile e disponibile. Gli spiego il problema ed esclama: “Non preoccuparti, ti portiamo fino a Kotor, stiamo andando là in gita!” “Grazie infinite, ma non volevo disturbarvi così tanto, basta solo che mi tiriate fino in cima a questa salita, poi scendo per conto mio!” “Nessun problema, è meglio se ti portiamo fino a Kotor, mancano 20 km e potrebbero esserci altri tratti in salita.” “Ok, grazie!” Inizia a smontare il bagagliaio a caccia della corda di sicurezza: “Sono sicuro di averla, deve essere da qualche parte!” Alla fine, dopo aver svuotato praticamente tutto il portabagagli, trova la corda. Per l’ennesima volta, mi trovo trascinato da un’auto. Le volte precedenti che è accaduto, era mio padre a trascinarmi, quando mi avevano forzato il blocchetto d’accensione per rubarla, quando era saltato il regolatore di tensione e molte altre volte in questi 18 anni di vita di Nelik. Stupidamente, non indosso il casco e lo tengo infilato al gomito, come quando scendevo in solitaria. Solo che adesso sono trainato e il tipo, lo vedo dal tachimetro, sta correndo a 50/60 km/h! All’inizio ho paura, sia l’aria addosso che, soprattutto, la tensione, mi bloccano il respiro. Nelle curve sfiora i muretti, così come quando incrociamo delle auto, visto che la strada è molto stretta. Poi mi rilasso, prendo il ritmo e vado più tranquillo, anche se maledico la mia disattenzione nel non essermi rimesso il casco. Finalmente arriviamo a Kotor. Andiamo fino al grande benzinaio all’ingresso della cittadina. Per fortuna c’è il gestore, in Italia, di domenica, al 99% non ci sarebbe stato nessuno. Il mio salvatore e il ragazzo parlano a lungo, poi il primo mi dice: “Dovrebbe esserci un meccanico qui dietro. Ti ci porto, poi se è chiuso o se ci sono altri problemi, ti porto fino in paese.” “Grazie!!” Riprendiamo il traino per 500 metri, fino all’ingresso di un cantiere nautico. “Il posto dovrebbe essere questo, ora vediamo se c’è qualcuno”, dice infilandosi nella casupola del guardiano. Mi sento terribilmente in colpa per aver rovinato la gita, vado a scusarmi di nuovo con la ragazza, rimasta in auto. Per fortuna ha lo sguardo molto più sereno e mi tranquillizza: “Non preoccuparti, non è un problema, spero che tu riesca a riparare la moto!” Scambiamo altre due chiacchiere di circostanza, fin quando non torna il ragazzo: “Tutto ok, il meccanico è fuori, ma tra poco torna e vedrai la moto con lui!” Non sono del tutto tranquillo, ma non posso far altro che ringraziare più e più volte e salutarli mentre ripartono. Arriva il meccanico, ha circa 50 anni, parla perfettamente l’italiano (anche lui!) Gli spiego la situazione, al che ribatte: “Spero sia una molla o una vite, perchè se è un danno più serio, sono guai per il ricambio! Oggi ho molto da fare, prima di un’ora non riesco a dargli un’occhiata. Tu intanto smonta la carena, poi vediamo.” Annuisco gravemente, preoccupato dalle molte incognite: “Stasera ho il traghetto per Bari, domani devo essere in ufficio!” Non so se mi ha sentito, lo vedo che guarda con più attenzione la moto e mi chiede: “Quanti anni ha?” “18!” “Ah!”, esclama sorpreso. “E 275mila km!”, aggiungo con orgoglio. “AH!! Mai aperto il motore?” “Grazie a Dio, no.” “Distribuzione?” “Tre volte, anche se l’ultima è stata parecchi anni fa.” Va verso il gabbiotto senza dir nulla, io inizio a smontare la fiancata. Torna dopo un minuto, mi vede mentre smonto ed esclama: “Eh, ma sei fai così, non finiamo più! Dammi la chiave”, mi chiede allungando la mano. Gli passo la brugola che stavo usando per smontare le viti della carena. “Hai paura che non arrivi a Bari?”, mi chiede smontando rapidamente vite dopo vite. “Beh, ho forti dubbi!” “Male! Bisogna essere ottimisti! Tu arriverai a Bari!”, esclama sottolineando le ultime parole. “Bè, ho dei dubbi, non ho detto che NON ci arriverò ...”, cerco di giustificarmi. “Comunque, se non riusciamo, ho degli affari a Bar. Mi paghi il trasporto e andiamo in furgone, sali sulla nave e domani risolvi a Bari!” “Ok!”, rispondo sollevato. Mentre continua a smontare la carena, si informa: “Ma cosa è successo?” “Ero in cima al Lovcen e sono sceso a motore spento con la marcia inserita. Per frenare, lasciavo la frizione così il motore rallentava, poi sui rettilinei tiravo la frizione per prendere velocità.” Interrompe il lavoro e, restando in ginocchio davanti alla moto, mi squadra dal basso verso l’alto: “Da quanti anni guidi questa moto?” “Sedici!” “E perchè hai fatto questa ...”, gli manca la parola. “... cazzata? Non so, pensavo non succedesse nulla!”, dico a mia discolpa, vergognandomi per la mia ingenuità. “Speriamo ... Finisci di smontare, io devo andare, ci vediamo tra un’ora!”, dice tirandosi su e ridandomi la brugola. Se ne va in furgone con un collega, mi saluta dal finestrino: “Tra un’ora!”, grida ancora una volta sparendo dietro la curva. Svito le ultime viti, tanto per cambiare una delle ultime è molto ostinata: bloccata dallo sporco e rovinata dall’età. Alla fine riesco ad averne ragione, tolgo i due grandi gusci della carena e mi siedo ad aspettare. L’aria è tiepida, piacevole. Primaverile. Dopo tutto il maltempo sofferto nei giorni scorsi, avevo dimenticato come potesse essere il sole. Nell’attesa, già che ho messo mano alla moto, ingrasso la catena, azione che non faccio praticamente mai. Attendo il meccanico seduto all’ombra, scrivo il diario e qualche sms, ma senza raccontare il fatto a nessuno, né al lavoro, né in famiglia, per non allarmare inutilmente nessuno. Se diventerà davvero un problema, allora sì, ma per il momento li farei soltanto preoccupare. A parte la guardia, sono da solo nel cantiere. Poi, come una visione, dal parcheggio del cantiere arrivano due ragazze vestite da sera, di tutto punto. Peccato sia mezzogiorno. Tacchi a spillo, minigonna, abitino succinto e truccatissime. Passano davanti alla guardiola, non mi degnano di uno sguardo. Non faccio in tempo a riprendermi dalla sorpresa, che rientrano nel cantiere e spariscono da dove erano arrivate. Rifletto sul viaggio che sto per concludere: ho sperimentato da un lato la follia della guerra, la bestialità umana nella sua peggiore espressione di sterminio e prevaricarizione dei propri simili, e dall’altro la solidarietà e il sostegno reciproco, che sono la più alta espressione dell’Uomo, quello con la “U” maiuscola, non l’“animale - uomo” assassino e disumano. Mentre attendo di vedere come andrà a finire quest’ennesima avventura, mangio uno degli ultimi snack che avevo comprato a Zebljak. Nel frattempo arriva la risposta di Marco al mio sms di poco fa: non si capacita di come abbia potuto fare una sciocchezza del genere, ma si spiega col fatto che per me la moto è il mezzo più incredibile e fantastico che conosco, ma rimane un’entità sconosciuta, ignoro i suoi meccanismi di base, la frizione, la lubrificazione e tutto il resto. Lo guido e non voglio avere seccature. Per questo sono incredibilmente felice di aver avuto la fortuna di guidare Nelik, che in tanti anni non mi ha mai dato troppi fastidi, non sono e non sarò mai la persona che cura la moto come un animale o, peggio ancora, un figlio. Voglio andare in moto, lo adoro, ma la moto è e deve restare un mezzo: che non si rompe, non fa storie e mi permette di viaggiare e conoscere. Finalmente torna il meccanico, viene subito da me e inizia a smontare. “Come mai parli così bene l’italiano?”, la mia solita domanda curiosa. “Negli anni della guerra ho fatto il contrabbandiere! Puglia, Marche ... l’ho imparato parlando con i contrabbandieri italiani”, la sua risposta inaspettata e sincera. “Poi ho investito male i soldi che avevo guadagnato ... ed eccomi qui, a fare il meccanico!” “Come ti chiami?”, gli chiedo. “Savo.”
“Era Sergio ... un delinquente italiano!”. Toglie il coperchio della frizione. Passa il dito nella parte inferiore del carter, me lo mostra, pieno di sassolini e graniglia varia. “Ingranaggi rotti?”, gli chiedo curioso. “Non credo, non mi sembra metallo.” Mentre continua a pulire con le dita nude i detriti sul fondo del carter, mi chiede: “Cosa ti è piaciuto di meno del tuo viaggio?” “Bè ...”, dico pensieroso. “Il Montengro?” “No, assolutamente!”, esclamo convinto, “posso essere sincero?” “Certo!” “La Serbia è quella che mi è piaciuta di meno.” “Sì ... è gente strana, non sta con i piedi per terra.” Prosegue a smontare quelli che credo siano i dischi della frizione. “Quando contrabbandavo, trasportavo principalmente sigarette.” Poi si ferma, mi guarda e mi chiede: “Sei sposato?” “No, convivo da 6 anni.” “Figli?” “Nessuno.” “E che aspetti?? Sono loro che ti legano ... passa un’altra donna, tutto è facile da dividere e finisce lì! I figli ti legano davvero ad una donna.” Sorrido pensando all’assonanza tra il suo nome, Savo e “savio”, saggio, avveduto, sapiente. Il guardiano porta dei giornali da mettere per terra, per non sporcare d’olio l’asfalto. C’è un tizio in prima pagina che non conosco. Lui lo indica e mi chiede: “Lo vedi questo?” “Mh.” “Venti anni fa riparava marmitte di auto.” Pausa. “Ora ha quattro aerei, alberghi e un mare di soldi.” “Contrabbandiere anche lui?” “No! Meglio, più furbo! É amico dei politici giusti. Il vostro Berlusconi è un mafioso, come il nostro presidente. É un sistema di potere.” Fa una nuova pausa, raccoglie le idee. “Dieci anni fa vivevo bene con il contrabbando. Guadagnavo anche 15 milioni al mese! Avevo messo da parte 120 milioni! Poi ... se n’è andato tutto. Pensavo non sarebbero mai finiti e invece ...” “Ho comprato un motoscafo. Se porti la droga in mare, dopo averla tenuta per un po’ in casa, per nasconderla, poi vai a buttarla in mare, ti danno anche 1000 euro al chilo. Per far arrivare la droga in Italia o in Spagna, spendono tra un passaggio e l’altro più o meno 8000 euro al chilo. Poi la vendono a 28/30mila euro al chilo. Sono guadagni enormi!” Nuova pausa. “Poi, è finito tutto. La guerra, il contrabbando, la polizia ha iniziato a fare il suo lavoro. Ora devo sistemare la barca che avevo comprato e venderla. Se mi va bene riuscirò a fare 15mila euro e comunque avrò perso un sacco di soldi.” “Non puoi fare qualche “lavoro” con la barca?”, gli chiedo per capire com’è la situazione, sua, del Montenegro e dell’Italia. “No ... non perchè ho paura, ma per i miei figli.” Guarda di nuovo la moto: “Dovresti cambiarla!” “Eh, costano tanto!” “Quanto guadagni?” “1200 euro al mese” “1200?!?!”, esclama incredulo, “e dove vai con 1200 euro! Devi cambiare lavoro!” Insiste due o tre volte su questo punto, quasi finisce che mi dà dei soldi!
“Sali sopra e ingrana la marcia. Non raddrizzare la moto, altrimenti esce l’olio!” Ovviamente lo faccio cadere: “É poco, non preoccuparti! Dai, metti la marcia e vediamo.” La marcia ingrana. Miracolo!
Torniamo all’esterno. Savo per fortuna ha ancora voglia di parlare. “Quando la Yugoslavia era unita, aveva 15 miliardi di dollari di debito. Adesso, solo la Croazia ha un debito di 45 miliardi di euro!” Impressionante. [NdA: sto trascrivendo questo diario più di anno dopo (28/05/2011) la conversazione, ma da un rapido controllo su Internet vedo che Savo aveva pienamente ragione: il 27/08/2003 qui scrivevano: “il debito estero della Croazia ha raggiunto i 19 miliardi di dollari, somma che equivale all’indebitamento della intera ex Yugoslavia al momento del crollo”, mentre dopo sei anni la situazione era drammaticamente peggiorata: il 13/11/2009 qui scrivevano: “Croazia, sale a 40,6 miliardi di euro il debito estero”] “Anche secondo me state peggio adesso, per non parlare di tutti i morti e i danni”, ribatto, poi chiedo: “ma riunirvi? Impossibile?” Allarga le braccia. “Ci sono troppi odi?” “Prendi i bosniaci ... Srebrenica: i bosniaci erano una enclave protetta dall’ONU, andavano in giro ad ammazzare la gente dei villaggi vicini, 1500 morti in un anno e mezzo, poi tornavano a casa, sicuri di essere protetti. Poi un giorno i serbi si sono incazzati e ne hanno uccisi 8mila. Solo che i bosniaci colpevoli degli omicidi avevano fatto in tempo a scappare, lo sapevano che i serbi stavano arrivando! Quindi sono stati uccisi 8mila innocenti, come sempre, in tutte le guerre.” Dopo una pausa, riprende: “Tutti stavano meglio, prima della guerra. Qui era pieno di lavoro, di barche da riparare e ora ... poco e niente!” Poi torna a me: “Devi cambiare lavoro! Guadagni troppo poco! E poi cambi moto!” “No dai, la moto la tengo, c’ho fatto tantissimi viaggi, le sono molto affezionato!” “É un problema quando ci si affeziona agli oggetti ... Invecchiano e si cambiano, fine! Non sono persone!” Poi racconta delle sue esperienze in Italia. “Sono stato in Italia molte volte: Napoli, piena di delinquenti! Poi in Puglia quando facevo il contrabbandiere e poi sul lago di Como.” “Riguardo le moto, ho avuto due CBR 100 e un FZR 1000, ottime moto, mai problemi!” “Dove dormi sulla nave?” “Sul ponte.” “Va bene ... allora, amico mio, mi raccomando, vai piano e appena torni in Italia, cambia la frizione. Buon viaggio e in bocca al lupo!” “Quant’è, quanto ti devo per il lavoro?” “Ma niente, niente ... non ho fatto niente, ho stretto quattro viti!” “No dai, hai perso un mare di tempo, quanto ti devo?” “Nulla, davvero! Al massimo ... una birra a lui”, dice indicando la guardia. “E tu?” “Io non bevo!” “Vabbè, qualcos’altro!” “Un succo di frutta, allora.” Vado a piedi fino al benzinaio, che ha una parte di alimentari. Birra grande per la guardia, succo di arancia per Savo e aranciata per me. Torno, chiacchieriamo ancora qualche minuto, il tempo di bere tutto, poi ci salutiamo. Riparto con la sensazione di aver imparato più in quest’ora e mezzo con lui che non in dieci giorni di viaggio. Anche da Mira però ho imparato diverse cose, come durante la bellissima chiacchierata con i due ragazzi del Bed And Breakfast di Sarajevo. Come sempre, il contatto umano è la parte più emotivamente profonda, meravigliosa e memorabile dei viaggi! Guido lentamente, Nelik sembra ok. In ogni caso, sia per l’ora - ormai sono le 17:30 e il traghetto è tra poche ore - sia per le condizioni incerte della moto, non mi resta altro che fare la costiera, dimenticando tutte le deviazioni che avevo immaginato di fare. Dall’alto della costiera volo su belle spiagge e mare azzurro.
Ammiro dall’alto anche Sveti Stefan, Santo Stefano, follia di meravigliosa e unica isola storica, venduta integralmente e privatizzata come albergo. Un’isola - albergo. Inconcepibile. Sono 50 km infiniti, tra la velocità ridotta e la tensione che possa accadere qualcosa da un momento all’altro. Finalmente arrivo a Bar e ritiro il biglietto: 98 euro, arrivo domattina a Bari alle 8. Non riesco a trattenermi e al porto mi annoio. Decido di salire a Stari Bar, la parte vecchia di Bar. Ormai sono arrivato e se Nelik dovesse rompersi di nuovo, troverei comunque un modo per partire. Salgo in cima alla parte storica, molto bella. Per arrivare di fronte al castello, devo percorrere una salita ripidissima in pietra liscia, consunta dai secoli. Se piovesse, diventerebbe peggio del sapone! Faccio in tempo a formulare questo pensiero, che cadono le prime gocce di pioggia, grandi e calde. Non mi faccio fermare, salgo ugualmente. In cima alla salita, purtroppo, mi accorgo che il castello è chiuso, è troppo tardi. Dei ragazzini poco oltre mi vedono e, come al solito, mi fanno grandi gesti e risate per invitarmi a dare gas, sgommare e impennare. Mentre scendo sulla pietra, per fortuna ancora non completamente bagnata, li sento ancora gridarmi di impennare. Mi addentro nei viottoli alle spalle del castello, tra case cresciute alla rinfusa, tutte con il loro orticello e gli alberi da frutta, poi inizia a piovere forte, torno indietro. Con un brivido ripenso al budello ripidissimo e scivoloso dove mi trovavo solo cinque minuti fa!
Alle 20:30, quando sto per pagare, piove ancora a dirotto. Il tempo di pagare, di prendere casco, giacca, borsa e il resto che ho in mano e magicamente smette di piovere, del tutto. Mentre asciugo Nelik e rimonto la borsa da serbatoio, da uno dei vicoli che arrivano dalla parte bassa, sbuca un ragazzo che mi saluta in montenegrino. Rispondo in russo, mentre lui gira intorno alla moto e vede la targa. “Roma! Italiano!” “Aaaaaahh!”, esclama con tono sognante, “io sono di Palermo!” Lo guardo, ma non mi sembra italiano. “Sono nato a Palermo e sono rimasto là fino a 12 anni, poi mia madre ci ha portato qua, dove è nata mia nonna. Qua è un casino, non c’è lavoro ... In Italia?” “Purtroppo anche in Italia la situazione non è buona.” “Ok, devo andare a pregare Dio, sono musulmano!” “Buona preghiera e in bocca al lupo!” Torno al porto, salgo sulla nave. Mi infilo nella sala delle poltrone. C’è un gruppo di pugliesi che fa un gran casino, si chiamano da un parte all’altra della sala senza il minimo riguardo, toni di voce altissimi, risate sguaiate. Accendono anche la TV. Prima di loro, la pace. Dopo, il caos. Spero non mi rompano le scatole nell’angolino che mi sono ritagliato tra due file di poltrone. Partiamo nel giro di un’ora, mi addormento verso mezzanotte. 19/04/2010 - “Il triste rientro”
Pioviggina, poi smette, ma fa freddo. Dopo Caserta il cielo si apre, torna il tepore primaverile. Traffico intenso. Alle 13:45 sono davanti al box di casa. Che tristezza, sono tornato! |
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