|
||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
|
||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Giornate: 19/08/2007 - “A zonzo per Samarcanda”
Proseguiamo verso una moschea con un porticato in legno. Per arrivarci dobbiamo risalire uno stradone con molti artigiani che lavorano il metallo, forse è alluminio. Non vediamo nulla di particolarmente attraente. Ci rendiamo conto che avevano ragione i ragazzi incontrati un paio di giorni fa a Bukhara, che ci avevano detto che l’artigianato di Bukhara era molto più bello di quello di Samarcanda e che i prezzi erano pure più bassi! Entriamo nella moschea, faccio amicizia col guardiano cui non sembra vero di trovare qualcuno con cui parlare in russo. Mentre chiacchieriamo del più e del meno, ci fa accomodare su un letto, di quelli tradizionali in legno con cuscini e tappeti, ci offre il tè e dei dolci a cui ci attacchiamo come affamati. Attacchiamo bottone con una ragazza giapponese, timidissima. Viaggia da sola. Ci racconta che in Giappone hanno diritto a 10 giorni di ferie l’anno e che se si ammalano, quei giorni vengono scalati dalle ferie! La moschea è, come diverse altre, molto più bella da fuori che da dentro, dove è spoglia e insignificante.
Stamattina durante la colazione ho sfogliato un grande quaderno dove gli ospiti scrivevano consigli ed esperienze. Avevo letto che era possibile entrare nel cimitero monumentale di Shar-I-Zinda dal retro, da quello che è un cimitero moderno, attualmente in uso. Dalla moschea dove ci troviamo viene comodo. Torniamo in strada e ci inoltriamo in un sentierino che corre lungo tutto il fianco della collina, in mezzo a tombe più o meno recenti. Andiamo verso Shar-I-Zinda, ma anche quello che mi circonda è interessantissimo. Si capisce al volo il tenore di vita del defunto dalla lapide e dalla sepoltura in generale. Quelle sparse sul fianco della collina hanno comunque molti anni, sono quasi storiche. Arrivati all’altezza della zona archeologica, invece, arrivano quelle più recenti e più ricche. Alcune sono dei veri monumenti, in marmo nero e iscrizioni oro, con ruscelletti d’acqua a scorrere perpetuamente. Molte sono di un kitsch osceno, altre sono discrete ed eleganti. Il cimitero. Mi fa sempre effetto camminare in mezzo ad un cimitero, cerco di capire dalle foto dei morti come erano, che vita facevano, a volte ci sono brevi descrizioni, la data di morte mi fa capire quanto siamo distanti, quella di nascita quanto hanno vissuto in più o in meno rispetto a me. Arriviamo proprio alle spalle di uno dei mausolei del cimitero monumentale di Shar-I-Zinda. Mi affaccio, c’è un salto di circa un metro e mezzo. Ci sono dei turisti, decido di aspettare, voglio evitare figuracce. Adocchio anche una donna, a giudicare dalla divisa è una sorvegliante. Mi nascondo nuovamente dietro il mausoleo. Mi giro e non vedo più Caterina. Sparita. Prendo tempo, guardo nuovamente le tombe nuove, esterne alla necropoli, poi mi riaffaccio. C’è ancora la sorvegliante che gira, altri turisti, è un flusso continuo.
Restiamo in silenzio, in meditazione. Rientriamo lentamente nel mondo facendo osservazioni comuni, scambiando opinioni. Alla fine decidiamo di scendere, anche perchè il pomeriggio sta finendo e immagino che tra non molto chiuderà. Salto sul sentiero “ufficiale”, incrociamo prima una, poi un’altra sorvegliante, tutto a posto. Vediamo qui le decorazioni più elaborate viste finora, alcune sembrano dei pizzi ricamati, i colori sono stupendi tra l’azzurro inimitabile che solo in Oriente si riesce ad ammirare, il verde ed altre tonalità più calde. Le scritte sacre sono arabeschi magici che si annodano e decorano le parti alte delle cupole e delle sale, incorniciate da colonne a tortiglione che si avvitano su sè stesse. É meraviglioso, l’atmosfera sicuramente è più mistica e magica, ma la scenografia del Registan rimane imbattibile. Scattiamo alcune foto al tramonto, ci invitano ad uscire. Lungo la strada verso casa acquistiamo alcuni souvenir. Mediamente sono più brutti di quelli di Bukhara, è difficile trovare qualcosa di carino. La nostra “vittima” è una vecchietta dall’aria simpatica che impazzisce dietro alle nostre richieste, ma alla fine le compriamo diversi statuine di terracotta dipinta ed altri oggetti tutto sommato carini. Ovviamente trattiamo lungamente sul prezzo, ma alla fine siamo tutti soddisfatti. Torniamo al volo in albergo, poi facciamo un giro cercando un posto dove mangiare. Voglio provare a tornare nel ristorante con l’avvoltoio tenuto alla catena lungo la strada. Credo di trovarlo, ma sul marciapiede non c’è nessuno. Cerco la parola sul dizionario e chiedo: “Scusi, ma non c’era un avvoltoio qui fuori?” Il tipo ci pensa, poi chiama un’altra persona, a cui rivolgo la stessa domanda. Scoppia a ridere e risponde: “Guarda, lo trovi là!” e indica le scale, al piano di sopra.
Che tristezza, Joe! Offeso da vivo ed umiliato da morto! In più mangiamo anche piuttosto male, iniziamo ad avere la nausea dalla dieta mono-piatto a base di shashlik, gli spiedini quasi sempre di montone. Tornando in albergo incrociamo i ragazzi francesi della Renault. Ci raccontano di un loro incidente, poi ci dicono che in città c’è anche Jaime, lo spagnolo in Vespa.
Proprio sotto al B&B vediamo un assembramento di gente, alcuni scoppi, urla, fiammate. Nonostante le proteste di Caterina, che si allontana, mi avvicino per curiosare. É un matrimonio piuttosto movimentato: qualcosa sta bruciando da una parte, lanciano dei fuochi d’artificio. Un paio rimangono incastrati nell’asfalto: fischi assordanti e successiva esplosione. Sono tutti visibilmente ubriachi. Nel frattempo un tizio sta sgommando, facendo testa-coda ed altre acrobazie con un vecchio scassone sovietico nel vicino parcheggio. Poi infila la stradina che butta direttamente alle persone che festeggiano. Motore al massimo, marce tirate allo spasimo, punta diretto contro la gente. Inchioda, fumata nera dagli pneumatici, forte stridio di gomme, la gente si sposta con un’ondata di panico, si ferma a pochi centimetri dai primi. Il guidatore ride. Uno del gruppo gli va incontro. Lo tira fuori. Inizia a picchiarlo. Lo fermano. Si allontana urlando contro il guidatore. Arrivano altre persone con degli strumenti musicali e degli stendardi a mo’ di bandiera. Tutti seguono i suonatori come i topi col Pifferaio Magico. Scompaiono quasi tutti dietro l’angolo della strada, tranne quello della macchina, ancora scosso e qualcun altro. Fine dello spettacolo, incrociamo il proprietario del B&B che ha assistito allo spettacolo dal portone e che ci accoglie con un sorriso a metà, quasi di scuse. Navigo qualche minuto su Internet, poi andiamo a dormire. 20/08/2007 - “Samarcanda la Magica”
Alla fine prendiamo 2 sezami, di cui uno molto grande, tipo 3 metri per 2, due acquarelli di cui uno dipinto da lui ed una sciarpa di seta per 70 €. Partiva da più del doppio: 160 €. Quando dopo credo un’ora di contrattazione accetta per 70 €, abbiamo ancora la sensazione che ci stia fregando, ma decidiamo di mollare l’osso. Alla fin fine, siamo contenti sia noi che lui.
É invaso dalle danzatrici, tutto attorno a noi decine di ragazzi in costume tradizionale o militare. Le danzatrici sono affascinanti, si muovono sinuose alla musica. É il Sogno Orientale sensorializzato dai movimenti e dalle note. Entriamo in un’altra corte. Stavolta è piena di ragazzini che si allenano per la loro parte. Anche loro danzeranno, una danza più simile ad un gioco fatto di rincorse e salti scherzosi. Ci accomodiamo su un paio di letti tradizionali, stendiamo il sezami più grande. É bello, ci piace anche se era l’acquisto meno convinto. Chiediamo ad una guardia d’uscire dal Registan, siamo stanchi. Torniamo in albergo a depositare gli ultimi acquisti e riposarci un attimo, poi usciamo per un ultimo giro in città. Il giorno sta finendo e non vogliamo perdere nulla di questa città mitica. Andiamo a caccia di un rullino per la Polaroid che Caterina ha comprato a Erevan. Percorriamo un largo viale alberato. Ho un flash sul posto dove sono stato nel 2001 con gli altri. Arriviamo in una grande piazza con molti negozi di fotografia, ma nessuno vende rullini Polaroid. Andiamo al Mausoleo di Gur Amir. Il tramonto regala inaspettate tonalità ai già incredibili colori delle cupole e delle maioliche delle pareti. Queste sono dei veri arabeschi, labirinti di ingegno di artigiani ormai scomparsi. I colori sono brillanti, quasi innaturali, incredibili. L’occhio si perde nelle decorazioni, in effetti c’è qualcosa di divino. Entriamo nella sala principale, dove sono sepolti Tamerlano ed i suoi familiari. Assistiamo alla preghiera. La luce che filtra dalle finestre in alto donano all’ambiente un’atmosfera surreale, mistica. Mi sento completamente svuotato e al contempo pieno di grazia, nonostante il mio agnosticismo materialista. Nel 2001 riuscii a visitare anche la saletta con i veri sarcofagi dei defunti, descritta anche da Terzani. Si trova al di sotto di questa sala con i sarcofagi monumentali, ma stavolta non troviamo nessun custode da corrompere e rimango col mio ricordo che racconto a Caterina. Foto di rito con la moto all’esterno del Mausoleo, poi torniamo in albergo. Bagagli in attesa dei ragazzi del Mongol Rally. Torniamo tutti insieme nel ristorante di Joe Condor. Nonostante sia decisamente più presto di ieri sera, hanno ancora e soltanto gli shashlik. Snervante. Passiamo la serata a raccontarci avventure ed aneddoti. Stiamo stringendo una bella relazione nei nostri incontri casuali in Paesi e momenti diversi. Speriamo sfoci in qualche altro incontro dalle nostri parti! Lasciamo questo pessimo ristorante andando a caccia di un dolce. Non troviamo nulla di appetibile a parte dei pop corn glassati. Torniamo in albergo chiacchierando, senza rendermi conto che passo sotto al Registan senza salutarlo! Domani mattina dovrò assolutamente rimediare. Finiamo i bagagli e andiamo a dormire all’1. Domani, sveglia alle 7. 21/08/2007 - “L’impacchettamento di Nelìk”
La moto è quasi inguidabile, forse ho anche le gomme sgonfie. A parte l’altro giorno, in 4 settimane e quasi 7mila km non le ho mai controllate. Ormai rimando tutti gli interrogativi per quando sarò a Roma. Il dubbio se arriverò c’è, ma lo scaccio subito dalla mente. La strada scorre abbastanza anonima, punteggiata di paesi e cittadine anonime, srotolate lungo la strada come ho visto spesso durante i viaggi. Nei pressi di Tashkent la campagna torna fertile e verde, segno di irrigazione e politica agricola. Siamo costretti ad una deviazione piuttosto lunga per evitare una lingua di Kazakistan che si incunea giusto al punto da tagliare la strada diretta per Tashkent. Invece di percorrere l’ipotenusa, diretta tra Samarcanda e Tashkent, dobbiamo percorrere due lunghi cateti su strade secondarie, aggirando un fazzoletto kazako introdotto da Stalin più di 50 anni fa durante la sua arbitraria suddivisione del Turkestan nelle cinque repubbliche centrasiatiche: Uzbekistan, Turkmenistan, Kazakistan, Tagikistan e Kirghizistan. Follia. O meglio: lucida e colpevole politica colonialista. Giriamo un po’ per trovare uno dei B&B di cui avevo raccolto i nomi nei mesi prima della partenza. Senza esserci dati appuntamento, incontriamo Enzo che avevamo conosciuto a Samarcanda. É chiaro ormai che i nomi che ho preso da Internet ricalcano in pieno quelli dati dalla LP. Pazienza. Purtroppo è pieno, andiamo all’altro indirizzo segnato, Alì. Sono preoccupato ed al tempo stesso emozionato per la spedizione di Nelik. Preoccupato perchè ho paura di non fare in tempo coi documenti necessari, il carico della moto, poi non so se e cosa andrà smontato (batteria, ecc), se serviranno altre operazioni. Inizialmente Diana mi aveva parlato di 2 o 3 giorni di tempo, invece stiamo arrivando con solo un giorno e mezzo d’anticipo. Emozionato perchè è la prima volta di Nelik in aereo. Arriviamo da Alì, un mezzo esaurito che non mi suscita grande simpatia, nonostante i racconti estasiati, letti su Internet, di alcuni viaggiatori. Fare il simpatico, a mio avviso, non è essere simpatico. Breve discussione sul prezzo, ovviamente a suo favore, poi ci sistemiamo in una camera doppia abbastanza grande, con bagno in camera. Inizia la saga Spedizione di Nelik. Telefono a Diana, dice che mi richiamerà tra 40 minuti. Nel frattempo prepariamo i bagagli da spedire. L’idea è di lasciare le valigie attaccate a Nelik, mentre noi ci terremo la borsa da serbatoio con quello che ci servirà in questi due giorni. Dopo quasi un’ora e mezzo Diana richiama. Verrà a prendermi uno dei suoi collaboratori. Nell’attesa doccia e relax, per quanto possibile. Questa storia mi innervosisce. Arriva la macchina del collega di Diana. Andiamo in aeroporto. Avevo letto che non era molto fuori città. In realtà, è dentro la città! Gli sarà cresciuta intorno negli anni, fatto sta che praticamente non usciamo mai dall’abitato anche quando iniziamo a costeggiarne il perimetro. La parte che raccoglie le merci da spedire o appena arrivate è brutta e caotica come si conviene a qualcosa che penso sia immutato dagli anni sovietici. Portone blindato, caldo intenso. Mi rinfresco con una Coca Cola comprata in un chiosco lurido qui vicino. Ci fanno entrare, seguo ora il mio accompagnatore, ora un addetto dell’aeroporto. Se non conoscessi il russo penso che i tempi si raddoppierebbero. Misuriamo la moto, con i bagagli montati: 2,5 metri di lunghezza, 1,2 metri di altezza, 1,06 metri di larghezza. É la volta della pesa: 260 kg!! É incredibile, non l’avrei mai immaginato. A secco pesa 185 kg, penso che in ordine di marcia sia sui 205, massimo 210 kg. Vuol dire che nei 3 bauli ci sono 50 kg di bagagli! Lo sapevo che eravamo stra-carichi, ma non credevo fino a questo punto! Poi manca la pesantissima borsa da serbatoio, penso un’altra quindicina di kg e poi Caterina ed io, altri 140 kg. Se non superiamo i limiti massimi della moto, poco ci manca. Stacchiamo la batteria, mentre la benzina, pochissima, non dà problemi, resta dov’è. Iniziano a chiuderla in una cassa dal fondo d’alluminio. Me ne vado, la saluto con un po’ d’ansia. Torno in auto col tipo, andiamo nell’ufficio di Diana. É a due passi dal nostro B&B! Finalmente la conosco, sembra simpatica. É di origini armene, vicino Erevan. Ha studiato qui e si è sposata con un uzbeco. É un ingegnere fisico, poi dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica e la conseguente crisi, si è riciclata in questa maniera. Si diverte: “Ma le moto per me sono un passatempo, non guadagno con queste, sono poche!” “Quante ne hai spedite quest’anno?” le chiedo incuriosito. “Non molte, quasi tutti italiani. Uno pochi giorni fa ha rotto la moto a Samarcanda.” “Ah! Che moto era?” “Una KTM! L’ha trasportata fin qui con un furgone, ha speso 600$” 600$ per 350km?? Piuttosto l’avrei portata a spinta! Durante le varie chiacchiere, accompagnate da tè e pasticcini, un suo assistente, un ragazzo, prepara i documenti necessari. Per oggi è finita, ci vediamo domani dopo pranzo. Mi riportano al B&B, dove incontro Jaime e i due fratelli francesi! Fantastico! Tutto sempre senza appuntamenti o altro. A questo punto mi verrebbe da dire, merito della LP. Caterina non c’è, in queste ore sarà andata a fare un giro. Prendo una birra poi faccio un giro in un vicino Internet Cafè. Caterina torna verso le 20. Col gruppo al completo andiamo a caccia di un posto dove mangiare. L’unico posto aperto nelle vicinanze è un bar squallidissimo. Come al solito mancano molti piatti elencati nel menù. Soliti shashlik e patate fritte.
A mezzanotte alzo bandiera bianca, Caterina invece resta ancora un po’ a chiacchierare. Domani abbiamo in programma un giro all’AcquaPark, ho davvero voglia di fare un bagno e prendere un po’ di sole! Non abbiamo i costumi, chiusi nei bauli della moto. Non sappiamo nemmeno come arrivare fin là, magari prenderemo un taxi. 22/08/2007 - “Passeggiando per Tashkent”
Stiamo iniziando a tornare in albergo quando passiamo davanti ad una fila di botteghe con altri souvenir. Proprio di fronte, veniamo abbordati due tizi visibilmente ubriachi: sono i commessi dei negozi! Si aggiungono quelli di un altro negozio a fianco. Entriamo in uno, Caterina vorrebbe comprare una tunica colorata lunga, a mo’ di vestaglia, ma che in realtà qui viene usata sempre come abbigliamento da matrimonio. Tutti ci seguono nel negozio. Uno inizia a descriverci la merce. Cerco di evitare il suo fiato alcolico. Un altro si intromette e inizia a parlare anche lui. Non capisco più nulla, nè chi lavora dove. Mi innervosisco, invece Caterina continua a dar retta a tutti, interessata solo e unicamente alla tunica. Ci sparano prezzi altissimi, confrontati con quelli sentiti poco fa nelle bancarelle con merce molto simile. Convinco Caterina ad uscire. Uno dei tipi crede che stiamo andando nel negozio dei rivali. Iniziano a litigare. Concentrazione alcolica alle stelle, il loro fiato mi dà alla testa, asfissiante. Usciamo indenni, compriamo ad un chioschetto un panino con della carne. Cipolla e carne. Rigorosamente in quest’ordine. Torniamo in albergo per sentirmi dire da Diana, con cui avevo appuntamento, che mi richiamerà più tardi. Troviamo Jaime da solo, i francesi sono andati a cercare dei pezzi di ricambio. “Ragazzi, in camera nostra c’è la sauna! Perchè non ce la facciamo accendere?” “Ottima idea!”, rispondo accettando di buon grado. Mettono la legna nella caldaia. In meno di un’ora è pronta. O meglio: per noi è già da morire, per il tipo del B&B è appena tiepida. Siamo Caterina, Jaime e me. Siamo tutti in mutande, i costumi di tutti sono chiusi da qualche altra parte. Cuociamo ridendo e raccontandoci aneddoti. Caterina è la prima a mollare. Noi pensiamo a come proseguire. “Che ne dici della piscina qui fuori?” chiedo ansimando a Jaime. “Dici che possiamo fare il bagno?” “Sì ... ci mettono dentro i cocomeri, perchè non potremmo farci il bagno noi?” obietto secondo una logica non del tutto limpida. “Va bene, mi piace l’idea di un tuffo, chissà se è fredda.” “Tra poco lo scopriremo ... Cinque minuti e ci tuffiamo?” “Cinque minuti.” Il tempo si blocca, si congela in un ossimoro contro i carboni ardenti che, con un tocco di masochismo, inondo di acqua. Soffochiamo nel vapore.
Nuotiamo come foche, usciamo di corsa, mutande gocciolanti e ci rinfiliamo nella sauna. Dopo un po’ arriva anche Caterina, ma avverte: “Sì, ma io il bagno nella piscinetta non lo faccio!” Come prima, resistiamo al limite della resistenza. Come prima, inondo i carboni ardenti d’acqua che entra bruciando nei polmoni come vapore. Come prima, usciamo urlando precipitandoci dalla stretta scala e ci tuffiamo nell’acqua gelida. Può bastare. Sono tornati i ragazzi francesi che ci guardano ridendo. Hanno riparato la gomma. Devono partire, fanno fretta a Jaime. A turno ci facciamo la doccia nel bagno della camera dei ragazzi. Si rendono conto adesso che non hanno mai detto ad Alì che stanno partendo. Forse gli farà pagare la giornata in più, visto che è pomeriggio inoltrato.
Mi chiama Diana. Viene a prenderci il solito tizio, in auto. Andiamo direttamente nei loro uffici. É il momento dei conti. Ho pensato alla tariffa che mi aveva comunicato in una mail alcuni mesi fa. Circa 4 dollari e mezzo al chilo. 260 kg, mi aspetto un conto intorno ai 1200 dollari. Molto, ma in effetti una spedizione pressochè immediata come quella in aeroplano, dall’Asia Centrale, può anche starci. Doccia fredda.
Nel mio caso: - peso effettivo = 260 kg; - peso volumetrico = lunghezza per altezza per larghezza in cm, diviso per il “numero magico” 6.000. Nel mio caso, questo valore vale oltre 400 kg. Sono senza parole. Diana nel frattempo ci offre da mangiare. Calcolo al volo che se avessi tolto le valigie, che hanno fatto aumentare la larghezza, avrei risparmiato circa 400 dollari. Il portapacchi che ho montato sopra al baule posteriore, alto 5 cm, mi e' appena costato 100 dollari. Non so come pagare, ci accordiamo che lo farò quando sarò in Italia. Decidiamo per un giro turistico. Diana e l’assistente ci portano in auto. Monumento al terremoto, teatro dell’Opera, molti edifici moderni di banche e altre compagnie commerciali. Scopriamo che l’Uzbekistan produce molto oro e che c’è anche una sede dell’Università di Westminster. Ci lasciano nella piazza davanti all’Opera, davanti alla fontana a forma di forma di fiore di cotone. Passeggiamo nel centro, è notte fonda, siamo stanchi, ma ci aspettano ancora molte ore di veglia. Troviamo un supermercato ancora aperto, chiude a mezzanotte. Finiamo i soldi comprando una specie di cena che faremo più tardi, in aeroporto. Ci scappa anche una piccola confezione di caviale nero. Attraversiamo un parco molto bello: rigoglioso, ampio, pieno di panchine, curato. Molte coppiette passeggiano, assaporiamo l’intimità. Lungo un vialetto vediamo un gruppetto di persone. Mi incuriosisco, li guardo. Sono tre ragazzi e una ragazza che ridono e un anziano che chiacchiera con loro. Ha un cannocchiale e i ragazzi a turno guardano dentro. Seguo con lo sguardo la direzione e scopro che stanno osservando la luna che sta sbucando da dietro il tetto di un palazzo poco oltre. I ragazzi salutano, ringraziano, danno qualche banconota al vecchio e se ne vanno. Ci aggancia. Si chiama Vladimir, quello che vedo è un telescopio, ben più potente di un semplice cannocchiale. 500 sum per guardare. Un’inezia, ma non li abbiamo, abbiamo finito tutto al supermercato. Si chiama Vladimir: “No, non sono mai andato a Samarcanda ... non mi interessa, tutta ricostruita!” e ripercorre le vicende storiche di quella città, che conosco da vari libri. Le vicissitudini, il degrado in cui versava all’inizio del ’900, i restauri dei sovietici che spesso sono sfociati in ricostruzioni vere e proprie, più che in restauri. Sulla base di dipinti, documenti dell’epoca, fotografie quando possibile, altrimenti riproduzioni di vario genere. In ogni caso, ho visto le foto d’epoca nel palazzo dell’Emiro a Bukhara e su altri libri: medrese quasi crollate, minareti ridotti a mozziconi plasmati nel fango. “Anche Bukhara non mi è piaciuta, meglio Khiva!” esclama, risvegliando l’amarezza di non essere riuscito a tornarci per colpa del traghetto azero che non partiva mai. “Invece ammiro le città europee e quelle italiane in particolare: Roma, Firenze, Venezia ...”. Rimane in silenzio qualche secondo, seguendo il filo del suo discorso, poi riprende: “Vedi là?”, mi chiede indicando un palazzo, “Là è ospitato un museo dell’arte uzbeca. Prova a fare un confronto con quella italiana!”. Dal tono si capisce che, ovviamente, il confronto sarebbe impietoso. Vladimir deve avere una storia incredibile alle spalle, come tanti dell’ex Unione Sovietica. Tradisce una grande cultura, anche il modo di fare è signorile, di un’eleganza antica. Tra le mani ha un telescopio e la mia mente si lancia in teoremi di uno scienziato rimasto vittima della chiusura del suo istituto, senza stipendio nè pensione, costretto a vivere come un senzatetto, che ha preso quell’unico strumento che sembra dargli ancora qualche gioia. “Vi faccio guardare dentro se mi prometti che quando sarai in Italia mi manderai delle cartoline delle città italiane. Faccio la collezione!” “Ok!” e segno il suo indirizzo. Accosto l’occhio al grosso strumento. Non avevo mai osservato il cielo attraversato un telescopio. Impressionante! Si distinguono nitidissimamente tutti i crateri, enormi. Gode dello stupore di Caterina, una soddisfazione personale. Lo osservo mentre osserva compiaciuto la meraviglia di Caterina che prorompe in esclamazioni di eccitato stupore. Chiacchieriamo ancora, per fortuna dopo 3 settimane di pratica il mio russo è a un livello tale da non farmi soffrire troppo, capisco molto di quello che dice e, in generale, afferro quasi sempre il senso dei discorsi. Ci salutiamo. Mi stringe la mano. Si china su quella di Caterina come a fare il baciamano e, a pochi centimetri dalla sua pelle, si gira verso di me: “Posso?” “Certo!”, rispondo imbarazzato. Anche Caterina lo è, protagonista di un gesto praticamente scomparso. Ma ... lo stupore è al massimo quando, invece di baciarla, la lecca! La situazione è comica, scoppiamo tutti a ridere anche se, ovviamente, Caterina è anche schifata. Ok, ci congediamo. Anche lui va via, ormai la luna è alta nel cielo. Chiude il suo strumento e, dopo un ultimo saluto sul vialetto scricchiolante di pietrisco bianco se ne va nell’altra direzione. Prendiamo la metro pochi minuti prima che chiuda. In albergo troviamo una coppia di francesi che parte più o meno alla nostra ora. Decidiamo di dividere il taxi e di muoverci verso mezzanotte. 23/08/2007 - “Il ritorno ... con sorpresa!”
Dormo e mi sveglio di frequente. Vedo nuove distese desertiche, poi dei grandi specchi d’acqua, credo siano i grandi laghi della Turchia centrale. Anche Caterina è sconcertata dal rientro repentino: un mese per andare, sette ore per tornare. Contiamo le moto incontrate in 7mila km: 1 in Turchia, 3 italiani a Ghegard, in Armenia, 4 italiani accompagnati tra Uzbekistan e Turkmenistan, 1 in Uzbekistan l’altro giorno e, naturalmente, 1 Vespona, quella di Jaime! Finisco di leggere, per la terza volta, “Buonanotte signor Lenin” di Terzani. Che effetto! Quanti pensieri, quante riflessioni, quanti confronti fatti nelle ultime settimane. Poco prima dell’atterraggio sono preso dagli ultimi dubbi del viaggio: dove devo andare , che devo fare, chi devo chiamare per recuperare la moto? Il tempo all’arrivo è grigio, aggiunge malinconia alla mia. Per terra è bagnato. Solito applauso liberatorio dei passeggeri, altra imbarazzante prerogativa italiana. Chiamo Dario con il cellulare di Caterina in carica ad una spina del bagno dell’aeroporto. Annoto le indicazioni su come raggiungere i suoi uffici. Dopo 4 settimane sempre a contatto, mi separo da Caterina. Prendo con me un casco e la borsa da serbatoio. Inizia a tornare in città, ancora non sa se andare in ufficio o rimandare a domani. Io invece mi perdo con le varie navette per raggiungere i terminal merci. Le navette sono di due tipi. Ovviamente nessuno mi spiega la differenza. Ovviamente salgo su quella sbagliata. L’autista mi spiega l’errore e mi scarica in mezzo alla campagna nei dintorni dell’aeroporto. In lontananza vedo un gabbiotto. É di un parcheggio a pagamento, forse uno di quelli a lunga sosta. Mi incammino. Trovo una signorina sgarbata che esclama: “Sta là la fermata!” “Sì, ma ci sono due navette, non so dove ferma quell’altra, nè quando passa”, cerco di spiegarle. “Ah, questo non lo so!” Vedo una navetta partire all’orizzonte. Corro. É l’autista di prima. Dopo un po’ ne arriva un’altra. Andrebbe bene, ma sta andando al capolinea. Devo aspettare la prossima, che fa un altro giro. Non capisco. Aspetto a questa fermata spersa nel nulla, in mezzo ad una pungente puzza di urina. Comincia a piovere. Arriva, arrivo. Giro tra le varie palazzine, nessuno sa nulla, mai sentita la New Transport. Salgo e scendo tra i piani, finalmente la trovo! Saluto tutti, mi aspettano da circa un’ora. Sanno già tutto del volo e delle merci trasportate. Sembra che, tra queste, non ci sia la mia moto. Sono incredulo. Aspettiamo conferme. Chiamiamo Diana a Tashkent. Deve verificare. In meno di mezz’ora arriva la sentenza definitiva. La moto, Nelìk è rimasta a Tashkent! Sono senza parole. Non ho nemmeno la forza di arrabbiarmi. “Mi spiace moltissimo ... prova lunedì prossimo”, mi spiega il tipo. Da e per Tashkent ci sono due voli settimanali: il lunedì e il giovedì. “In che senso “prova”??”, chiedo incerto di aver capito bene. “Eh, non è detto che la spediscano nemmeno lunedì! Vanno a priorità, ora stanno arrivando i pantaloni della Wranglers!” Già, l’Uzbekistan è ancora un grande produttore di cotone e la manodopera costa un’inezia. Nelìk è stata giudicata meno urgente, nonostante la cifra esorbitante che ho speso per spedirla. Chiamo mio padre che, provvidenziale, viene a prendermi. Non sto a spiegargli le mille deviazioni per raggiungere quest’area sperduta dell’aeroporto. Gli dò appuntamento ai soliti terminal degli arrivi e partenze. Mi sfogo con l’autista della navetta. Delusione, amarezza immense. Mi passa la voglia di fare l’elenco del contenuto dei bagagli. Sicuramente verrebbe fuori una lista infinita e divertente da leggere, ma proprio non mi va. Papà, baci e abbracci, spiegazioni, casa, mamma, baci e abbracci, spiegazioni, Roma, fine. 28/08/2007 - “La cicogna riporta Nelìk”
~ Fine ~ |
||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||