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 Diario di viaggio SamarCaLda 2007

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(Samarcanda, Tashkent, Roma)

Indice
Indice

Giornate: 
19 agosto 2007 - “A zonzo per Samarcanda”
20 agosto 2007 - “Samarcanda la Magica”
21 agosto 2007 - “L’impacchettamento di Nelìk”
22 agosto 2007 - “Passeggiando per Tashkent”
23 agosto 2007 - “Il ritorno ... con sorpresa!”
28 agosto 2007 - “La cicogna riporta Nelìk”

19/08/2007 - “A zonzo per Samarcanda”
Mi sveglio, come mi aspettavo, nella stanza invasa dal sole. Un uccello dal verso irritante, proseguito per tutta la notte e la luce intensissima, finiscono per svegliare Caterina mentre ancora scrivo.
Oggi dovremmo cambiare stanza, speriamo ce ne diano una decente!
Progettiamo l’assassinio di questo uccello inutile, somiglia a certi suoni degli allarmi delle auto, brevi e ripetuti in rapida sequenza, penetranti nel cervello.
Colazione al volo nel patio. L’unico letto è occupato da un gruppo di giapponesi, non si capisce se viaggiano insieme, sembra di no, in ogni caso si raggruppano in modo omogeneo.
Cambiamo camera, ora siamo nella piccola prima del patio principale. É molto meglio, più tranquillo visto che non abbiamo tavoli e tavolini sotto la finestra. Abbiamo il bagno in camera. Spostiamo i bagagli e usciamo.
Fa molto caldo, vediamo il Registan solo da fuori, senza entrare nella piazza vera e propria. Abbiamo finito i soldi, vado a cambiarli all’Hotel Afrasyab [1$ = 1271UZS / 1€ = 1749UZS].

 

 

Samarcanda

 

Chi è più blu?
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Passeggiamo fino alla grandiosa Moschea di Bibi-Khanum, ci perdiamo nel bazar nei pressi. É tutto ordinato, preciso, ognuno con il suo spazio, la struttura in metallo e cemento è razionale. Insomma, un po’ freddo, molto poco “esotico” e “orientale”. Nulla a che vedere con i coloratissimi, caotici, puzzolenti ma estremamente affascinanti bazar marocchini o di Istanbul o tunisini.

 

Samarcanda

 

Di tutto un po’
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In ogni caso, è sempre divertente e interessante girare in un posto simile, soprattutto per la gente che si incrocia. Compro delle mandorle di Fergana, dell’uvetta passita nera e delle albicocche essiccate. Ne approfitto anche per farmi riparare i sandali, che si erano rotti nei giorni scorsi. Faccio una mangiata colossale di fichi. Sono strani, giallo canarino, piuttosto dolci ma non dolcissimi: il giusto!
Proseguiamo verso una moschea con un porticato in legno. Per arrivarci dobbiamo risalire uno stradone con molti artigiani che lavorano il metallo, forse è alluminio. Non vediamo nulla di particolarmente attraente. Ci rendiamo conto che avevano ragione i ragazzi incontrati un paio di giorni fa a Bukhara, che ci avevano detto che l’artigianato di Bukhara era molto più bello di quello di Samarcanda e che i prezzi erano pure più bassi!
Entriamo nella moschea, faccio amicizia col guardiano cui non sembra vero di trovare qualcuno con cui parlare in russo. Mentre chiacchieriamo del più e del meno, ci fa accomodare su un letto, di quelli tradizionali in legno con cuscini e tappeti, ci offre il tè e dei dolci a cui ci attacchiamo come affamati. Attacchiamo bottone con una ragazza giapponese, timidissima. Viaggia da sola. Ci racconta che in Giappone hanno diritto a 10 giorni di ferie l’anno e che se si ammalano, quei giorni vengono scalati dalle ferie!
La moschea è, come diverse altre, molto più bella da fuori che da dentro, dove è spoglia e insignificante.

 

 

Samarcanda

 

Vecchio saggio
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Qui di bello c’è l’alto minareto, dove è possibile salire per avere una bella vista verso la parte monumentale della città, Bibi-Khanum e il Registan più indietro.
Stamattina durante la colazione ho sfogliato un grande quaderno dove gli ospiti scrivevano consigli ed esperienze. Avevo letto che era possibile entrare nel cimitero monumentale di Shar-I-Zinda dal retro, da quello che è un cimitero moderno, attualmente in uso. Dalla moschea dove ci troviamo viene comodo.
Torniamo in strada e ci inoltriamo in un sentierino che corre lungo tutto il fianco della collina, in mezzo a tombe più o meno recenti. Andiamo verso Shar-I-Zinda, ma anche quello che mi circonda è interessantissimo. Si capisce al volo il tenore di vita del defunto dalla lapide e dalla sepoltura in generale. Quelle sparse sul fianco della collina hanno comunque molti anni, sono quasi storiche. Arrivati all’altezza della zona archeologica, invece, arrivano quelle più recenti e più ricche. Alcune sono dei veri monumenti, in marmo nero e iscrizioni oro, con ruscelletti d’acqua a scorrere perpetuamente. Molte sono di un kitsch osceno, altre sono discrete ed eleganti. Il cimitero. Mi fa sempre effetto camminare in mezzo ad un cimitero, cerco di capire dalle foto dei morti come erano, che vita facevano, a volte ci sono brevi descrizioni, la data di morte mi fa capire quanto siamo distanti, quella di nascita quanto hanno vissuto in più o in meno rispetto a me.
Arriviamo proprio alle spalle di uno dei mausolei del cimitero monumentale di Shar-I-Zinda. Mi affaccio, c’è un salto di circa un metro e mezzo. Ci sono dei turisti, decido di aspettare, voglio evitare figuracce. Adocchio anche una donna, a giudicare dalla divisa è una sorvegliante. Mi nascondo nuovamente dietro il mausoleo. Mi giro e non vedo più Caterina. Sparita. Prendo tempo, guardo nuovamente le tombe nuove, esterne alla necropoli, poi mi riaffaccio. C’è ancora la sorvegliante che gira, altri turisti, è un flusso continuo.

 

 

Samarcanda

 

Sguardo all’infinito
(non troppo!)
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Samarcanda

 

Facciamo casa così?
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Samarcanda

 

Controllo anti - abusivi
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Samarcanda

 

Allora vado, eh?
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Samarcanda

 

Sorrisi & Ricami
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Samarcanda

 

Andiamo, chè siamo gli ultimi!
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Samarcanda

 

In che secolo siamo?
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Vedo Caterina. É molto oltre, su un altro muretto. Più basso di quello dove mi trovo, ma più alto del camminamento comune. Mi fa cenno di raggiungerla. Faccio un giro largo, sempre all’esterno della necropoli. Scavalco un basso muretto, sono al suo fianco. Praticamente siamo dentro, ma dobbiamo ancora scendere da qui e ho paura che le sorveglianti ci riconoscano come estranei ai gruppi che stanno girando. Decidiamo di prendere tempo e in ogni caso di godere del panorama quasi mistico di questo immenso sacrario millenario all’aria aperta, costituito da tanti mausolei uno più monumentale dell’altro.
Restiamo in silenzio, in meditazione. Rientriamo lentamente nel mondo facendo osservazioni comuni, scambiando opinioni. Alla fine decidiamo di scendere, anche perchè il pomeriggio sta finendo e immagino che tra non molto chiuderà. Salto sul sentiero “ufficiale”, incrociamo prima una, poi un’altra sorvegliante, tutto a posto.
Vediamo qui le decorazioni più elaborate viste finora, alcune sembrano dei pizzi ricamati, i colori sono stupendi tra l’azzurro inimitabile che solo in Oriente si riesce ad ammirare, il verde ed altre tonalità più calde. Le scritte sacre sono arabeschi magici che si annodano e decorano le parti alte delle cupole e delle sale, incorniciate da colonne a tortiglione che si avvitano su sè stesse.
É meraviglioso, l’atmosfera sicuramente è più mistica e magica, ma la scenografia del Registan rimane imbattibile.
Scattiamo alcune foto al tramonto, ci invitano ad uscire.
Lungo la strada verso casa acquistiamo alcuni souvenir. Mediamente sono più brutti di quelli di Bukhara, è difficile trovare qualcosa di carino. La nostra “vittima” è una vecchietta dall’aria simpatica che impazzisce dietro alle nostre richieste, ma alla fine le compriamo diversi statuine di terracotta dipinta ed altri oggetti tutto sommato carini. Ovviamente trattiamo lungamente sul prezzo, ma alla fine siamo tutti soddisfatti.
Torniamo al volo in albergo, poi facciamo un giro cercando un posto dove mangiare. Voglio provare a tornare nel ristorante con l’avvoltoio tenuto alla catena lungo la strada.
Credo di trovarlo, ma sul marciapiede non c’è nessuno. Cerco la parola sul dizionario e chiedo:
“Scusi, ma non c’era un avvoltoio qui fuori?”
Il tipo ci pensa, poi chiama un’altra persona, a cui rivolgo la stessa domanda.
Scoppia a ridere e risponde:
“Guarda, lo trovi là!” e indica le scale, al piano di sopra.

 

 

Samarcanda

 

Onore a Joe Condor!
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Saliamo e trovo il quadro più desolante e deprimente possibile. In cima ad un pensile, dietro ad una specie di bar all’americana, ci sono due uccelli impagliati. Uno è quello che all’epoca, nel 2001, avevamo amichevolmente soprannominato “Joe Condor”. Oltre ad essere morto, in cui purtroppo non c’è nulla di male, è stato oltraggiato dall’impagliatura e profanato da alcuni addobbi che gli hanno affibbiato, consci della sua impossibilità a reagire: degli occhiali da sole da imbecille, una collanina ed altri ammennicoli.
Che tristezza, Joe! Offeso da vivo ed umiliato da morto!
In più mangiamo anche piuttosto male, iniziamo ad avere la nausea dalla dieta mono-piatto a base di shashlik, gli spiedini quasi sempre di montone.
Tornando in albergo incrociamo i ragazzi francesi della Renault. Ci raccontano di un loro incidente, poi ci dicono che in città c’è anche Jaime, lo spagnolo in Vespa.

 

Samarcanda

 

Bagliore notturno
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Scattiamo alcune foto notturne, poi ci avviamo definitivamente verso il letto.
Proprio sotto al B&B vediamo un assembramento di gente, alcuni scoppi, urla, fiammate. Nonostante le proteste di Caterina, che si allontana, mi avvicino per curiosare. É un matrimonio piuttosto movimentato: qualcosa sta bruciando da una parte, lanciano dei fuochi d’artificio. Un paio rimangono incastrati nell’asfalto: fischi assordanti e successiva esplosione. Sono tutti visibilmente ubriachi. Nel frattempo un tizio sta sgommando, facendo testa-coda ed altre acrobazie con un vecchio scassone sovietico nel vicino parcheggio. Poi infila la stradina che butta direttamente alle persone che festeggiano. Motore al massimo, marce tirate allo spasimo, punta diretto contro la gente. Inchioda, fumata nera dagli pneumatici, forte stridio di gomme, la gente si sposta con un’ondata di panico, si ferma a pochi centimetri dai primi.
Il guidatore ride. Uno del gruppo gli va incontro. Lo tira fuori. Inizia a picchiarlo. Lo fermano. Si allontana urlando contro il guidatore. Arrivano altre persone con degli strumenti musicali e degli stendardi a mo’ di bandiera. Tutti seguono i suonatori come i topi col Pifferaio Magico. Scompaiono quasi tutti dietro l’angolo della strada, tranne quello della macchina, ancora scosso e qualcun altro.
Fine dello spettacolo, incrociamo il proprietario del B&B che ha assistito allo spettacolo dal portone e che ci accoglie con un sorriso a metà, quasi di scuse. Navigo qualche minuto su Internet, poi andiamo a dormire.

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20/08/2007 - “Samarcanda la Magica”
Mi sveglio presto, nella stanza inondata dal sole.
La mia mente si sta lentamente affollando di pensieri pratici, finora poco affrontati. Quando partire domani per Tashkent, quando e dove incontrare Diana, la direttrice dell’agenzia che spedirà la moto in Italia, come andare in aeroporto la mattina del 23, ecc.
Soprattutto non riesco a capacitarmi che sia già passato un mese. Sembra tanto, ma in effetti non lo è oppure lo è, ma quando lo si riempie come ho fatto io, diventa un soffio.
Mi rendo conto che il Mar Caspio è stata una vera barriera spazio - temporale. Se ripenso ai giorni della Turchia e quelli immediatamente successivi in Georgia, Armenia, Azerbaijan, mi sembra di ricordare un altro viaggio, svoltosi in un altro tempo.
Ripenso alle parole dette ieri da Caterina, mentre eravamo in cima al minareto della moschea con il colonnato in legno, guardando la spettacolare moschea di Bibi - Khanum:
“Chissà quando riusciremo a prenderci ancora un mese di tempo ...”
Questo pensiero, di nuovo, mi angoscia terribilmente, mi fa letteralmente star male, mi stringe lo stomaco, mi toglie la serenità. Sto vendendo la mia vita. Anzi, l’ho già venduta e tutto si riduce ad una continua lotta per riuscirne a strappare un pezzetto, riaverne un brandello da gestire in autonomia, chiedendo il permesso e per favore.
Stamattina parte l’olandese proprietario dell’enorme fuoristrada bloccato dalla mia moto, parcheggiata subito dietro nel piccolo spiazzo all’interno del B&B.
É ancora presto, aspetto che mi chiami. Provo a dormire ancora un po’, ma non ci riesco.
Ieri ho parlato con lui. Starà via 8 mesi, è un free-lance informatico. All’estero mi pare molto più facile vivere così. Ha progettato di stare un paio di mesi in Cina, poi un po’ in Vietnam e nel Sud Est asiatico. Poi imbarcherà tutto per l’Australia e forse, dopo, andrà in Africa.
Ha una specializzazione tecnica molto richiesta, che presumibilmente lo sarà sempre (Oracle!). Spero che la mia sia di analoga “potenza”. Dovrei decidermi a fare un passo del genere ... Anche se mi piacerebbe di più lavorare nella cooperazione allo sviluppo, ma la mia formazione è abbastanza lontana da questo campo. Non ho la più pallida idea di come funzionino i progetti di cooperazione, come si gestiscono, che requisiti servono, chi li fa e così via.
Peccato ritrovarsi a vivere obbligati e ristretti da scelte compiute troppo presto, a 18 anni ossia, adesso che scrivo, ben 16 anni fa. Quanto sono cambiato! Già allora non ero particolarmente entusiasta della scelta, ora non credo proprio che la rifarei.
Più tardi, verso i 25 anni, le mie idee si erano un po’ chiarite e avrei scelto Lingue. Quella è una scelta che potrei fare anche adesso, nel senso che non ne sarei pentito, anche se ora, a 34 anni, avendone la possibilità mi orienterei ancora in un altro modo: la cooperazione, per l’appunto.
Come è possibile stare dietro, in una sola vita e soprattutto con i rigidi schemi della società e, ancora peggio, del mondo del lavoro, ai cambiamenti di una persona? Come non ritrovarsi frustrati e obbligati dalle scelte compiute 10, 20, 30 e più anni prima?
Il rombo del motore del fuoristrada vale più di mille richiami. Scendo, sposto la moto, chiacchieriamo ancora un po’. Ha una parlantina incredibile, come tutti gli olandesi che mi ha capitato di incontrare fino ad oggi.
Colazione, qualche email per cercare un letto a Tashkent, chiacchiere con Carlo e Alessandra, anche loro di Roma. Viaggi, esperienze, sensazioni, consigli per Tashkent.
Usciamo. Nel grande piazzale tra il B&B e il Registan c’è una costruzione moderna sovietica. Ci avviciniamo, è un museo d’arte. Entriamo, è molto interessante. Arte uzbeca dal neolitico in avanti, descrive anche in modo efficace il periodo di splendore, delle grandi conquiste assieme a manufatti e oggetti d’artigianato.
Tutte le inservienti vendono souvenir. Molti li fanno loro, come dei portaocchiali ricamati, i classici cappellini, altri indumenti. Altri, sono orribili, plasticaccia cinese.
Ci seguono, contrattano, alla fine prendo un portaocchiali da una signora.
Sotto al Registan incontriamo Jaime, il vespista pazzo! É con la madre, venuta da Madrid per incontrarlo. O meglio, a farsi una vacanza in questi posti spettacolari con la scusa di andare a trovare il figlio. Anche lei è un bel personaggio, eccentrica e simpatica.
L’interno del Registan è ormai una sequenza, senza soluzione di continuità, di negozietti di souvenir. Sono tutti ricavati in quelli che credo fossero le celle degli studenti. Tutti al piano terra, quelli più in alto sono chiusi. Per fortuna.
A onor del vero va detto che gli oggetti più belli si trovano proprio qui. Le altre cose che si trovano in giro sono nella stragrande maggioranza dei casi decisamente più brutti, di qualità inferiore. Ovviamente, però, i prezzi sono allineati alla qualità e alla posizione, ossia in uno dei posti più famosi e mitici al mondo.
Trovo un sezami di seta meraviglioso, ma costa troppo. Il primo prezzo supera i 400 dollari, anche ipotizzando un dimezzamento, resta sempre una cifra eccessiva. Peccato perchè è davvero bello, il disegno, la qualità e le dimensioni.
Vaghiamo tra i patii, persi ad ammirare l’architettura e distratti dagli oggetti d’artigianato.
I preparativi per la cerimonia del compleanno di Samarcanda proseguono. Il Registan continua ad essere inaccessibile e tra poco chiuderanno anche tutte le moschee dell’area museale.
Entriamo nell’ennesimo patio, meno frequentato sia perchè meno monumentale, sia perchè stanno iniziando a far uscire le persone. Ci sono solo due botteghe, di cui una è già chiusa. Ci avviciniamo inconsciamente, vedendo il venditore che saluta cordialmente una coppia che esce carica di pacchi. Li guardo con un misto di compassione e desiderio di trovare qualcosa di bello da riportare in Italia. Il tipo è sudato, esausto dal suo lavoro, ma nonostante ciò si allarga in un sorriso e ci invita a entrare. Gli chiediamo subito dei sezami. Prima di rispondere ci scruta attentamente, poi inizia a parlare. Per esperienza dei viaggi precedenti, intuisco che la sua analisi è servita a capire fin dove può spingersi con la sua merce, in fatto di prezzo e qualità. Il suo occhio esperto capisce a grandi linee quanto possiamo spendere e seleziona il suo repertorio di conseguenza.
Ma prima di iniziare vuole bere qualcosa, è sfinito. Ci chiede cosa vogliamo e lentamente riprende il suo ritmo avvolgente, suadente.
Srotola e sovrappone sezami al centro della grande stanza. I colori si miscelano, le fantasie si intrecciano, le qualità si confrontano vezzosamente. Per fortuna o purtroppo, a seconda del punto di vista, non ha oggetti che ci catturano dal profondo. Ci sono un paio di pezzi carini, un altro è più utile che bello, anche se, ovviamente, ci piace.
Inizia la contrattazione.
All’esterno, nel frattempo, il silenzio s’è fatto totale. Hanno fatto uscire tutti e un soldato che caccia dentro la testa si assicura che siamo gli ultimi. Il venditore gli dice di non preoccuparsi, tra poco abbiamo finito.

 

 

Samarcanda

 

Legione Straniera
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Samarcanda

 

Magic Moments
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Samarcanda

 

Guerriero “in nuce”
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Samarcanda

 

Meraviglia di ceramica - 1
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Samarcanda

 

Bellezze create dall’Uomo
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Samarcanda

 

Natura morta orientale
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Samarcanda

 

Eravamo 4 amici al bar ...
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Partiamo da basi lontanissime, come si conviene alla vera contrattazione orientale. Caterina in questo è maestra. Io ormai mi diverto e ammetto la mia inferiorità, la mia pazienza limitata che mi porta spesso a mettere sul piatto della bilancia anche il mio tempo, portandomi quindi ad accettare prezzi più alti.
Alla fine prendiamo 2 sezami, di cui uno molto grande, tipo 3 metri per 2, due acquarelli di cui uno dipinto da lui ed una sciarpa di seta per 70 €. Partiva da più del doppio: 160 €. Quando dopo credo un’ora di contrattazione accetta per 70 €, abbiamo ancora la sensazione che ci stia fregando, ma decidiamo di mollare l’osso. Alla fin fine, siamo contenti sia noi che lui.

 

Samarcanda

 

Siamo circondati!
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Samarcanda

 

L’ultimo imperatore
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Samarcanda

 

Mimetismo celeste
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Samarcanda

 

Meraviglia di ceramica - 2
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Samarcanda

 

Geometrie ammalianti
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Samarcanda

 

Nelik vs Tamerlano
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Usciamo con una nuova, grande busta sottobraccio. Ci aggiriamo, ormai solitari, negli altri patii fino a tornare nei pressi del grande spiazzo del Registan.
É invaso dalle danzatrici, tutto attorno a noi decine di ragazzi in costume tradizionale o militare. Le danzatrici sono affascinanti, si muovono sinuose alla musica. É il Sogno Orientale sensorializzato dai movimenti e dalle note.
Entriamo in un’altra corte. Stavolta è piena di ragazzini che si allenano per la loro parte. Anche loro danzeranno, una danza più simile ad un gioco fatto di rincorse e salti scherzosi.
Ci accomodiamo su un paio di letti tradizionali, stendiamo il sezami più grande. É bello, ci piace anche se era l’acquisto meno convinto.
Chiediamo ad una guardia d’uscire dal Registan, siamo stanchi. Torniamo in albergo a depositare gli ultimi acquisti e riposarci un attimo, poi usciamo per un ultimo giro in città. Il giorno sta finendo e non vogliamo perdere nulla di questa città mitica.
Andiamo a caccia di un rullino per la Polaroid che Caterina ha comprato a Erevan. Percorriamo un largo viale alberato. Ho un flash sul posto dove sono stato nel 2001 con gli altri. Arriviamo in una grande piazza con molti negozi di fotografia, ma nessuno vende rullini Polaroid.
Andiamo al Mausoleo di Gur Amir. Il tramonto regala inaspettate tonalità ai già incredibili colori delle cupole e delle maioliche delle pareti. Queste sono dei veri arabeschi, labirinti di ingegno di artigiani ormai scomparsi.
I colori sono brillanti, quasi innaturali, incredibili. L’occhio si perde nelle decorazioni, in effetti c’è qualcosa di divino.
Entriamo nella sala principale, dove sono sepolti Tamerlano ed i suoi familiari. Assistiamo alla preghiera. La luce che filtra dalle finestre in alto donano all’ambiente un’atmosfera surreale, mistica. Mi sento completamente svuotato e al contempo pieno di grazia, nonostante il mio agnosticismo materialista.
Nel 2001 riuscii a visitare anche la saletta con i veri sarcofagi dei defunti, descritta anche da Terzani. Si trova al di sotto di questa sala con i sarcofagi monumentali, ma stavolta non troviamo nessun custode da corrompere e rimango col mio ricordo che racconto a Caterina.
Foto di rito con la moto all’esterno del Mausoleo, poi torniamo in albergo. Bagagli in attesa dei ragazzi del Mongol Rally.
Torniamo tutti insieme nel ristorante di Joe Condor. Nonostante sia decisamente più presto di ieri sera, hanno ancora e soltanto gli shashlik. Snervante.
Passiamo la serata a raccontarci avventure ed aneddoti. Stiamo stringendo una bella relazione nei nostri incontri casuali in Paesi e momenti diversi. Speriamo sfoci in qualche altro incontro dalle nostri parti!
Lasciamo questo pessimo ristorante andando a caccia di un dolce. Non troviamo nulla di appetibile a parte dei pop corn glassati.
Torniamo in albergo chiacchierando, senza rendermi conto che passo sotto al Registan senza salutarlo!
Domani mattina dovrò assolutamente rimediare.
Finiamo i bagagli e andiamo a dormire all’1. Domani, sveglia alle 7.

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21/08/2007 - “L’impacchettamento di Nelìk”
Anche oggi apro gli occhi prima della sveglia. Sono le 6:45, la stanza è inondata dal sole, fa caldo.
Il cellulare, gallo moderno, in pochi minuti annuncia che è arrivato il momento di alzarsi. Doccia, ultimi bagagli, colazione, partenza per gli ultimi 350 km. Speriamo bene! L’ammortizzatore è un pensiero fisso. Anche nel giro fatto ieri pomeriggio in città, a moto completamente scarica, ho toccato anche nelle buche più piccole.

 

Verso Tashkent

 

Per andare dove dobbiamo andare,
per dove dobbiamo andare?!
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Usciamo dalla lunga periferia, foto di rito alla rotonda dei cartelli. Prendiamo a malincuore la direzione di Tashkent. La strada è ballerina, a parte pochi tratti più o meno lisci. Nei pressi di Samarcanda vediamo grandi coltivazioni, poi il paesaggio diventa desertico. Basse colline aride color cammello.
La moto è quasi inguidabile, forse ho anche le gomme sgonfie. A parte l’altro giorno, in 4 settimane e quasi 7mila km non le ho mai controllate. Ormai rimando tutti gli interrogativi per quando sarò a Roma. Il dubbio se arriverò c’è, ma lo scaccio subito dalla mente.
La strada scorre abbastanza anonima, punteggiata di paesi e cittadine anonime, srotolate lungo la strada come ho visto spesso durante i viaggi.
Nei pressi di Tashkent la campagna torna fertile e verde, segno di irrigazione e politica agricola.
Siamo costretti ad una deviazione piuttosto lunga per evitare una lingua di Kazakistan che si incunea giusto al punto da tagliare la strada diretta per Tashkent. Invece di percorrere l’ipotenusa, diretta tra Samarcanda e Tashkent, dobbiamo percorrere due lunghi cateti su strade secondarie, aggirando un fazzoletto kazako introdotto da Stalin più di 50 anni fa durante la sua arbitraria suddivisione del Turkestan nelle cinque repubbliche centrasiatiche: Uzbekistan, Turkmenistan, Kazakistan, Tagikistan e Kirghizistan. Follia. O meglio: lucida e colpevole politica colonialista.
Giriamo un po’ per trovare uno dei B&B di cui avevo raccolto i nomi nei mesi prima della partenza. Senza esserci dati appuntamento, incontriamo Enzo che avevamo conosciuto a Samarcanda. É chiaro ormai che i nomi che ho preso da Internet ricalcano in pieno quelli dati dalla LP. Pazienza.
Purtroppo è pieno, andiamo all’altro indirizzo segnato, Alì.
Sono preoccupato ed al tempo stesso emozionato per la spedizione di Nelik.
Preoccupato perchè ho paura di non fare in tempo coi documenti necessari, il carico della moto, poi non so se e cosa andrà smontato (batteria, ecc), se serviranno altre operazioni. Inizialmente Diana mi aveva parlato di 2 o 3 giorni di tempo, invece stiamo arrivando con solo un giorno e mezzo d’anticipo.
Emozionato perchè è la prima volta di Nelik in aereo.
Arriviamo da Alì, un mezzo esaurito che non mi suscita grande simpatia, nonostante i racconti estasiati, letti su Internet, di alcuni viaggiatori. Fare il simpatico, a mio avviso, non è essere simpatico.
Breve discussione sul prezzo, ovviamente a suo favore, poi ci sistemiamo in una camera doppia abbastanza grande, con bagno in camera.
Inizia la saga Spedizione di Nelik. Telefono a Diana, dice che mi richiamerà tra 40 minuti. Nel frattempo prepariamo i bagagli da spedire. L’idea è di lasciare le valigie attaccate a Nelik, mentre noi ci terremo la borsa da serbatoio con quello che ci servirà in questi due giorni.
Dopo quasi un’ora e mezzo Diana richiama. Verrà a prendermi uno dei suoi collaboratori.
Nell’attesa doccia e relax, per quanto possibile. Questa storia mi innervosisce.
Arriva la macchina del collega di Diana. Andiamo in aeroporto. Avevo letto che non era molto fuori città. In realtà, è dentro la città! Gli sarà cresciuta intorno negli anni, fatto sta che praticamente non usciamo mai dall’abitato anche quando iniziamo a costeggiarne il perimetro. La parte che raccoglie le merci da spedire o appena arrivate è brutta e caotica come si conviene a qualcosa che penso sia immutato dagli anni sovietici. Portone blindato, caldo intenso. Mi rinfresco con una Coca Cola comprata in un chiosco lurido qui vicino.
Ci fanno entrare, seguo ora il mio accompagnatore, ora un addetto dell’aeroporto. Se non conoscessi il russo penso che i tempi si raddoppierebbero.
Misuriamo la moto, con i bagagli montati: 2,5 metri di lunghezza, 1,2 metri di altezza, 1,06 metri di larghezza. É la volta della pesa: 260 kg!! É incredibile, non l’avrei mai immaginato. A secco pesa 185 kg, penso che in ordine di marcia sia sui 205, massimo 210 kg. Vuol dire che nei 3 bauli ci sono 50 kg di bagagli! Lo sapevo che eravamo stra-carichi, ma non credevo fino a questo punto! Poi manca la pesantissima borsa da serbatoio, penso un’altra quindicina di kg e poi Caterina ed io, altri 140 kg. Se non superiamo i limiti massimi della moto, poco ci manca.
Stacchiamo la batteria, mentre la benzina, pochissima, non dà problemi, resta dov’è. Iniziano a chiuderla in una cassa dal fondo d’alluminio. Me ne vado, la saluto con un po’ d’ansia.
Torno in auto col tipo, andiamo nell’ufficio di Diana. É a due passi dal nostro B&B! Finalmente la conosco, sembra simpatica. É di origini armene, vicino Erevan. Ha studiato qui e si è sposata con un uzbeco. É un ingegnere fisico, poi dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica e la conseguente crisi, si è riciclata in questa maniera. Si diverte:
“Ma le moto per me sono un passatempo, non guadagno con queste, sono poche!”
“Quante ne hai spedite quest’anno?” le chiedo incuriosito.
“Non molte, quasi tutti italiani. Uno pochi giorni fa ha rotto la moto a Samarcanda.”
“Ah! Che moto era?”
“Una KTM! L’ha trasportata fin qui con un furgone, ha speso 600$”
600$ per 350km?? Piuttosto l’avrei portata a spinta!
Durante le varie chiacchiere, accompagnate da tè e pasticcini, un suo assistente, un ragazzo, prepara i documenti necessari.
Per oggi è finita, ci vediamo domani dopo pranzo. Mi riportano al B&B, dove incontro Jaime e i due fratelli francesi! Fantastico! Tutto sempre senza appuntamenti o altro. A questo punto mi verrebbe da dire, merito della LP.
Caterina non c’è, in queste ore sarà andata a fare un giro. Prendo una birra poi faccio un giro in un vicino Internet Cafè. Caterina torna verso le 20.
Col gruppo al completo andiamo a caccia di un posto dove mangiare. L’unico posto aperto nelle vicinanze è un bar squallidissimo. Come al solito mancano molti piatti elencati nel menù. Soliti shashlik e patate fritte.

 

 

Tashkent

 

Vado in Mongolia con questa!
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Prima di andare a dormire chiacchieriamo coi ragazzi, sulla prossima moto da comprare, sull’intervista a Jaime che faranno nel principale programma radio spagnolo, ecc.
A mezzanotte alzo bandiera bianca, Caterina invece resta ancora un po’ a chiacchierare.
Domani abbiamo in programma un giro all’AcquaPark, ho davvero voglia di fare un bagno e prendere un po’ di sole! Non abbiamo i costumi, chiusi nei bauli della moto. Non sappiamo nemmeno come arrivare fin là, magari prenderemo un taxi.

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22/08/2007 - “Passeggiando per Tashkent”
Mi sveglio presto, alle 5:30. Il cortile del B&B è invaso da uccelli che urlano al cielo la loro canzone del Sole. Non riesco ad addormentarmi, sono agitato. Non so se è per il ritorno, per il lavoro, per la moto, se per tutto questo o altro ancora.
Mi sveglio nuovamente alle 8:15. So che dovrei riposarmi perchè abbiamo deciso di passare la prossima nottata in aeroporto. La partenza sarà alle 5:20 del mattino, dovremo stare in aeroporto alle 3. Una eventuale notte in albergo sarebbe praticamente buttata, sfruttando solo 3 o 4 ore. Nonostante ciò, ora non riesco a dormire, leggo e scrivo.
Penso alla moto, un po’ malconcia, alla carena rotta in molti punti e soprattutto al pezzo saltato quando è caduta vicino alla frontiera tra il Turkmenistan e l’Uzbekistan. Non lo trovo più, forse l’ho perso quando ho tirato fuori e rimesso a posto la tanica della benzina.
Poi il fatto che sia così bassa: mi pare strano che sia l’ammortizzatore. O si rompe oppure no!
Si fanno le 11 tra colazione, doccia, bagagli e chiacchiere con Jaime & Ben sulla strada da fare verso la Mongolia. Sono preso da una certa malinconia, una bonaria invidia per il loro viaggio che prosegue, soprattutto verso la meta che avevo inizialmente pensato per questa estate. Mi si stringe lo stomaco.
Tra un ritardo e l’altro l’AcquaPark sfuma, considerando anche l’appuntamento con Diana del pomeriggio.
Andiamo in metro al bazar Chorsu. Molte bancarelle, merci, odori, colori, persone di tutte le razze. Lo trovo più vivo e interessante di quello di Samarcanda. É anche più grande e meglio assortito.

 

 

Tashkent

 

Oggi sposi!
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Tashkent

 

Lo Sceicco di Tashkent
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Compriamo un po’ di souvenir. Come a Bukhara, le nostre “vittime” sono quelli che vendono accessori per i matrimoni: vestiti, turbanti, veli e velette, babbucce, scarpe e così via. Facciamo anche il pieno di sottopentole dalle decorazioni geometriche ed i colori accesi.
Stiamo iniziando a tornare in albergo quando passiamo davanti ad una fila di botteghe con altri souvenir. Proprio di fronte, veniamo abbordati due tizi visibilmente ubriachi: sono i commessi dei negozi! Si aggiungono quelli di un altro negozio a fianco. Entriamo in uno, Caterina vorrebbe comprare una tunica colorata lunga, a mo’ di vestaglia, ma che in realtà qui viene usata sempre come abbigliamento da matrimonio.
Tutti ci seguono nel negozio. Uno inizia a descriverci la merce. Cerco di evitare il suo fiato alcolico.
Un altro si intromette e inizia a parlare anche lui. Non capisco più nulla, nè chi lavora dove. Mi innervosisco, invece Caterina continua a dar retta a tutti, interessata solo e unicamente alla tunica. Ci sparano prezzi altissimi, confrontati con quelli sentiti poco fa nelle bancarelle con merce molto simile. Convinco Caterina ad uscire. Uno dei tipi crede che stiamo andando nel negozio dei rivali. Iniziano a litigare. Concentrazione alcolica alle stelle, il loro fiato mi dà alla testa, asfissiante.
Usciamo indenni, compriamo ad un chioschetto un panino con della carne. Cipolla e carne. Rigorosamente in quest’ordine.
Torniamo in albergo per sentirmi dire da Diana, con cui avevo appuntamento, che mi richiamerà più tardi.
Troviamo Jaime da solo, i francesi sono andati a cercare dei pezzi di ricambio.
“Ragazzi, in camera nostra c’è la sauna! Perchè non ce la facciamo accendere?”
“Ottima idea!”, rispondo accettando di buon grado.
Mettono la legna nella caldaia. In meno di un’ora è pronta. O meglio: per noi è già da morire, per il tipo del B&B è appena tiepida.
Siamo Caterina, Jaime e me. Siamo tutti in mutande, i costumi di tutti sono chiusi da qualche altra parte. Cuociamo ridendo e raccontandoci aneddoti. Caterina è la prima a mollare. Noi pensiamo a come proseguire.
“Che ne dici della piscina qui fuori?” chiedo ansimando a Jaime.
“Dici che possiamo fare il bagno?”
“Sì ... ci mettono dentro i cocomeri, perchè non potremmo farci il bagno noi?” obietto secondo una logica non del tutto limpida.
“Va bene, mi piace l’idea di un tuffo, chissà se è fredda.”
“Tra poco lo scopriremo ... Cinque minuti e ci tuffiamo?”
“Cinque minuti.”
Il tempo si blocca, si congela in un ossimoro contro i carboni ardenti che, con un tocco di masochismo, inondo di acqua. Soffochiamo nel vapore.

 

 

Tashkent

 

Finalmente l’acqua!
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Tashkent

 

Gran figoni
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Usciamo all’urlo di “Banzai!” e ci tuffiamo nella piccola piscina, sotto lo sguardo divertito di Caterina ed un paio di ospiti. L’acqua è gelida, ma è una sensazione magnifica. Mi sveglio fino all’ultimo neurone, ogni cellula ha un brivido e urla “Ci sono anch’iooo!”
Nuotiamo come foche, usciamo di corsa, mutande gocciolanti e ci rinfiliamo nella sauna. Dopo un po’ arriva anche Caterina, ma avverte:
“Sì, ma io il bagno nella piscinetta non lo faccio!”
Come prima, resistiamo al limite della resistenza. Come prima, inondo i carboni ardenti d’acqua che entra bruciando nei polmoni come vapore. Come prima, usciamo urlando precipitandoci dalla stretta scala e ci tuffiamo nell’acqua gelida.
Può bastare. Sono tornati i ragazzi francesi che ci guardano ridendo. Hanno riparato la gomma. Devono partire, fanno fretta a Jaime. A turno ci facciamo la doccia nel bagno della camera dei ragazzi. Si rendono conto adesso che non hanno mai detto ad Alì che stanno partendo. Forse gli farà pagare la giornata in più, visto che è pomeriggio inoltrato.

 

 

Tashkent

 

In bocca al lupo, ragazzi!! - 1
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Tashkent

 

In bocca al lupo, ragazzi!! - 2
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Mi spiace molto lasciarli e, allo stesso modo, non poter proseguire con loro. Mi è mancata la dimensione del gruppo in questo viaggio, ripenso all’esperienza del 2001 e, guardando i ragazzi, rifletto che avremmo fatto di nuovo un bel gruppo.
Mi chiama Diana. Viene a prenderci il solito tizio, in auto. Andiamo direttamente nei loro uffici. É il momento dei conti. Ho pensato alla tariffa che mi aveva comunicato in una mail alcuni mesi fa. Circa 4 dollari e mezzo al chilo. 260 kg, mi aspetto un conto intorno ai 1200 dollari. Molto, ma in effetti una spedizione pressochè immediata come quella in aeroplano, dall’Asia Centrale, può anche starci.
Doccia fredda.

 

 

Tashkent

 

“Milleottoenovanta!”
“QUANTO?!?!?”
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Milleottocentonovanta dollari. 1890 $. Con lo sconto, 1840 $. Milleottocentoquaranta dollari! Sono oltre 1200 €!! Non ci credo, non riesco a capacitarmi. Scopro adesso, dopo mail su mail in cui chiedevo allo spasimo il meccanismo di calcolo, che considerano il maggiore tra il peso volumetrico e quello effettivo.
Nel mio caso:
- peso effettivo = 260 kg;
- peso volumetrico = lunghezza per altezza per larghezza in cm, diviso per il “numero magico” 6.000. Nel mio caso, questo valore vale oltre 400 kg.
Sono senza parole. Diana nel frattempo ci offre da mangiare. Calcolo al volo che se avessi tolto le valigie, che hanno fatto aumentare la larghezza, avrei risparmiato circa 400 dollari. Il portapacchi che ho montato sopra al baule posteriore, alto 5 cm, mi e' appena costato 100 dollari.
Non so come pagare, ci accordiamo che lo farò quando sarò in Italia.
Decidiamo per un giro turistico. Diana e l’assistente ci portano in auto. Monumento al terremoto, teatro dell’Opera, molti edifici moderni di banche e altre compagnie commerciali. Scopriamo che l’Uzbekistan produce molto oro e che c’è anche una sede dell’Università di Westminster.
Ci lasciano nella piazza davanti all’Opera, davanti alla fontana a forma di forma di fiore di cotone.
Passeggiamo nel centro, è notte fonda, siamo stanchi, ma ci aspettano ancora molte ore di veglia. Troviamo un supermercato ancora aperto, chiude a mezzanotte. Finiamo i soldi comprando una specie di cena che faremo più tardi, in aeroporto. Ci scappa anche una piccola confezione di caviale nero.
Attraversiamo un parco molto bello: rigoglioso, ampio, pieno di panchine, curato. Molte coppiette passeggiano, assaporiamo l’intimità. Lungo un vialetto vediamo un gruppetto di persone. Mi incuriosisco, li guardo. Sono tre ragazzi e una ragazza che ridono e un anziano che chiacchiera con loro. Ha un cannocchiale e i ragazzi a turno guardano dentro. Seguo con lo sguardo la direzione e scopro che stanno osservando la luna che sta sbucando da dietro il tetto di un palazzo poco oltre. I ragazzi salutano, ringraziano, danno qualche banconota al vecchio e se ne vanno. Ci aggancia. Si chiama Vladimir, quello che vedo è un telescopio, ben più potente di un semplice cannocchiale. 500 sum per guardare. Un’inezia, ma non li abbiamo, abbiamo finito tutto al supermercato.
Si chiama Vladimir:
“No, non sono mai andato a Samarcanda ... non mi interessa, tutta ricostruita!” e ripercorre le vicende storiche di quella città, che conosco da vari libri.
Le vicissitudini, il degrado in cui versava all’inizio del ’900, i restauri dei sovietici che spesso sono sfociati in ricostruzioni vere e proprie, più che in restauri. Sulla base di dipinti, documenti dell’epoca, fotografie quando possibile, altrimenti riproduzioni di vario genere. In ogni caso, ho visto le foto d’epoca nel palazzo dell’Emiro a Bukhara e su altri libri: medrese quasi crollate, minareti ridotti a mozziconi plasmati nel fango.
“Anche Bukhara non mi è piaciuta, meglio Khiva!” esclama, risvegliando l’amarezza di non essere riuscito a tornarci per colpa del traghetto azero che non partiva mai.
“Invece ammiro le città europee e quelle italiane in particolare: Roma, Firenze, Venezia ...”.
Rimane in silenzio qualche secondo, seguendo il filo del suo discorso, poi riprende:
“Vedi là?”, mi chiede indicando un palazzo, “Là è ospitato un museo dell’arte uzbeca. Prova a fare un confronto con quella italiana!”. Dal tono si capisce che, ovviamente, il confronto sarebbe impietoso.
Vladimir deve avere una storia incredibile alle spalle, come tanti dell’ex Unione Sovietica. Tradisce una grande cultura, anche il modo di fare è signorile, di un’eleganza antica. Tra le mani ha un telescopio e la mia mente si lancia in teoremi di uno scienziato rimasto vittima della chiusura del suo istituto, senza stipendio nè pensione, costretto a vivere come un senzatetto, che ha preso quell’unico strumento che sembra dargli ancora qualche gioia.
“Vi faccio guardare dentro se mi prometti che quando sarai in Italia mi manderai delle cartoline delle città italiane. Faccio la collezione!”
“Ok!” e segno il suo indirizzo.
Accosto l’occhio al grosso strumento. Non avevo mai osservato il cielo attraversato un telescopio. Impressionante! Si distinguono nitidissimamente tutti i crateri, enormi.
Gode dello stupore di Caterina, una soddisfazione personale. Lo osservo mentre osserva compiaciuto la meraviglia di Caterina che prorompe in esclamazioni di eccitato stupore.
Chiacchieriamo ancora, per fortuna dopo 3 settimane di pratica il mio russo è a un livello tale da non farmi soffrire troppo, capisco molto di quello che dice e, in generale, afferro quasi sempre il senso dei discorsi.
Ci salutiamo. Mi stringe la mano. Si china su quella di Caterina come a fare il baciamano e, a pochi centimetri dalla sua pelle, si gira verso di me:
“Posso?”
“Certo!”, rispondo imbarazzato. Anche Caterina lo è, protagonista di un gesto praticamente scomparso.
Ma ... lo stupore è al massimo quando, invece di baciarla, la lecca! La situazione è comica, scoppiamo tutti a ridere anche se, ovviamente, Caterina è anche schifata.
Ok, ci congediamo. Anche lui va via, ormai la luna è alta nel cielo. Chiude il suo strumento e, dopo un ultimo saluto sul vialetto scricchiolante di pietrisco bianco se ne va nell’altra direzione.
Prendiamo la metro pochi minuti prima che chiuda. In albergo troviamo una coppia di francesi che parte più o meno alla nostra ora. Decidiamo di dividere il taxi e di muoverci verso mezzanotte.

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23/08/2007 - “Il ritorno ... con sorpresa!”
Andiamo a piedi verso la strada principale. Loro hanno due grossi trolley e qualche altro pacco. Noi trasciniamo l’abbigliamento da moto, alcune buste, i due moduli della borsa da serbatoio, il tubo con il dipinto di Aleks ed altri bagagli. Prima di arrivare alla traversa principale, si ferma una macchina piuttosto grande. Ci squadra.
“Andiamo all’aeroporto”, gli dico a metà tra un’affermazione e una richiesta.
Scuote la testa e sentenzia:
“Troppi bagagli” e riparte.
Guardo i nostri occasionali compagni di viaggio. Noto una certa nota di disappunto sul viso di lei, per essersi unita a dei ragazzi che, con tutti quei bagagli, le creeranno certamente altri problemi.
Riprendiamo a trascinare e trascinarci. Nel quartiere dormitorio si sente soltanto il nostro rumore di ruote sull’asfalto e vari altri sbattimenti.
Finalmente la strada più grande. Si ferma una macchinina tipo Smart, una scatoletta. La metà di quella di poco prima.
Di nuovo, ci squadra, gli comunico la destinazione e, inaspettatamente e nell’incredulità generale, accetta!
Il tipo riempie al massimo il piccolo bagagliaio, poi ci incastriamo nel minuscolo taxi, ginocchia in bocca e i bagagli avanzati in mano. Sono letteralmente sommerso, è l’autista a chiudermi la portiera, io non ci riesco.
Il trabiccolo traballante ha anche le ruote sgonfie. Ondeggiando arriviamo all’aeroporto. É mezzanotte e mezzo. Cinque ore di anticipo sul volo. Salutiamo i francesi, cerchiamo di capire dove dobbiamo andare.
Saliamo una rampa. Ampie vetrate. Lunga fila in attesa fuori dalle porte chiuse. Sembra che facciano entrare in base al volo. Ci sediamo fuori per terra, al caldo, a riordinare le idee, ad affrontare la triste realtà: stiamo tornando a casa!
Dopo una mezz’oretta mi avvicino alla porta del desiderio. Sembra che possiamo entrare. Torno a prendere Caterina e i vari pacchi e pacchettini. Passiamo attraverso un metal detector che, per fortuna, non rileva nulla di proibito.
L’aria condizionata ci riprende dal torpore e risveglia anche la fame. Attrezziamo la cena. Per aprire il barattolo di caviale spacco in modo irrimediabile la mia borsa preferita, una tracolla comprata ad Amsterdam un po’ di tempo fa. Il caviale, tra l’altro, non è nemmeno particolarmente buono.
Scrivo il diario, poi le varie declarazjie.
All’1:45 compare sugli schermi il nostro check-in, il 12. Su idea di Caterina andiamo separati per non far vedere quanti bagagli a mano abbiamo: 2 caschi, il tubo del quadro, la mia tracolla, un’altra borsa, la busta del cibo, i due moduli dell’immensa borsa da serbatoio. Ci offrono, per 50 dollari, la Business Class. Rifiutiamo.
Altro controllo ai raggi. Stavolta il poliziotto è scortesissimo e arrogante. Non so perchè, visto che non lo faccio mai, sulla declarazjia che ho appena compilato ho riportato i pochi soldi che ci sono rimasti: 5 dollari e una cinquantina di euro. Dopo un rapido scambio di battute col poliziotto mi innervosisco e reagisco:
“Non è capace di dire “per favore”?” chiedo irritato.
Sembra che si svegli dal sonno profondo, alza la testa e mi guarda con un mezzo sorriso tra l’incredulo e lo strafottente:
“No” è la sua risposta secca e inappellabile.
Si verifica quello che ieri avevo previsto e fatto notare a Diana che mi aveva tranquillizzato con un perentorio: “Non ti preoccupare, quelli dell’aeroporto lo sanno!”. In pratica mi chiede la declarazjia d’ingresso, compilata giorni fa alla frontiera tra Turkmenistan e Uzbekistan.
“Non ce l’ho, l’ho data ieri a quelli della spedizione della moto.”
“E dove sono?”, mi chiede nuovamente col sorrisino provocatorio.
“Non ci sono!”, maledicendo di nuovo Diana a cui avevo, appunto, chiesto se poteva venire in aeroporto a darmi una mano.
La soluzione è compilare un’altra declarazjia, stavolta senza segnare i soldi. Caterina intanto va avanti al controllo successivo. Io torno nel caos di persone in attesa, poi, finalmente, passo. Il poliziotto di prima mi congeda con un “Arrivederci”, accompagnato dal solito mezzo sorriso. Non fatico a immaginarlo rastrellare persone nel cuore della notte per tradurle nei campi di concentramento.
Faccio in tempo a riprendere in mano i bagagli che mi affiancano due poliziotti:
“Ci segua”, intimano senza possibilità di appello.
Lancio uno sguardo a Caterina che, da lontano, segue preoccupata la scena.
Mi portano in uno stanzino bianco. Mi perquisiscono. Poi mi fanno svuotare le borse e tutte le tasche. Per fortuna non trovano i soldi, ben nascosti nel marsupio sotto ai vestiti, sulla pancia. Sicuramente hanno seguito l’intera vicenda e sono a caccia dei soldi che avevo dichiarato inizialmente. Se li trovassero mi accuserebbero di aver falsificato un documento ufficiale, poi ci sarebbe stato il teatrino della multa e avrei dovuto pagare una mazzetta. Tutto questo resta nel mondo etereo delle ipotesi e dei desideri e, mestamente, mi congedano.
Controllo passaporti. Tutto ok, per fortuna.
Lungo corridoio dentro il quale letteralmente ci trasciniamo. Siamo stanchissimi. Verso la fine ci sediamo per mangiucchiare qualcos’altro.
Altro controllo passaporti (!) e nuovo controllo dei bagagli al metal detector, il terzo (!!). Al contrario dei precedenti, suona mentre passo. Un metro più in là, dal nastro con i bagagli a mano cade un casco. Faccio per raccoglierlo, ma la poliziotta mi blocca, di nuovo scortesissima. Devono fare una scuola apposita.
Finisce il teatrino dei controlli. In tutto abbiamo impiegato un’ora e mezzo. Nemmeno troppo, tutto sommato, ma ormai ho le palle piene di poliziotti sgarbati, controlli asfissianti, dogane e frontiere, declarazjie e timbri. E poi sono le 3 del mattino passate ...
Abbiamo due ore davanti! Finiamo in un gruppo di italiani, casinisti come sempre. Caterina prova a dormire, io resto in silenzio quasi annichilito dalla situazione.
Guardo il tabellone delle partenze: a breve ci sono i voli per Parigi, Mosca, San Pietroburgo, Omsk, Bishkek, ecc. Chissà come mai tante partenze nel cuore della notte, anche verso destinazioni vicine.
Mi assopisco anch’io.
Mi riprendo, dolorante, alle 4:30, svegliato dagli alti toni di voce di un gruppo di ... italiani. Come al solito, anche in questo viaggio dove sono stato molte volte in fila con tanta umanità, senza dubbio i più fastidiosamente rumorosi sono, purtroppo, gli italiani.
Apre il duty free. Provo a spendere gli ultimi 5 dollari, ma non c’è nulla per una cifra così. Adocchio un copricuscino-susani per 9 dollari. La tipa della cassa non vuole accettare le monete di euro che ho, nulla di fatto.
Ultimi minuti di attesa poi inizia la discesa verso il bus che ci porterà all’aereo. Saliamo a bordo. Gran casino per i numeri di posto. In un flash torno al casino pauroso, sfociato in lite, che ci fu nella sala poltrone del traghetto per la Tunisia, l’anno scorso. Progettiamo il furto delle coperte, come facemmo coi cuscinetti durante il volo per Cuba nel 2004.
Sono molto triste per il rientro. Mi sono mancate anche le nottate a contatto con la natura, nel deserto o nella steppa, un viaggio più avventuroso.
Mi fa effetto pensare che Nelìk sia sotto di me, immagino che mi stia dicendo:
“Ce la faccio ancora, perchè mi porti a casa in questa maniera?”
Alle 5:20 ci muoviamo. Tutto sommato la nottata è passata in fretta.
Albeggia. Molti parlano, mentre vorrei silenzio, vorrei essere a terra, sdraiarmi sulla sabbia del deserto, ammirare il sole che sorge, iniziare un nuovo giorno di viaggio.
Sono scioccato dal contatto con tutti questi italiani. In pochi minuti mi ritrovo dalle chaikhana polverose a bordo strada alle banalità di conversazioni inutili e sempre uguali.
Decolliamo verso il sole ancora nascosto dietro basse montagne, poi viriamo e puntiamo decisi a ovest.
“Dove credevi di scappare??” mi sento chiedere da una voce tonante, beffarda.
Vedo sfilare le abitazioni della periferia, poi subito una piatta steppa spoglia attraversata da strisce verdissime solcate, a loro volta, da un diverso corso d’acqua.
Poi di nuovo piatta e uniforme per decine di minuti, centinaia di km. Poche variazioni di colore, solchi di antichi corsi d’acqua come le pieghe della pelle vista al microscopio. Rare rocce. Sarebbe bellissimo perdersi lì in mezzo, attraversarlo al tempo lento delle carovane.
All’improvviso, l’acqua! Il Caspio, con un minuscolo paese, chissà se in Turkmenistan o in Kazakistan.

 

 

 

Sull'aereo Tashkent - Roma

 

Ditemi che è uno scherzo,
che non stiamo tornando!
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Poi ancora montagne, assolutamente spoglie. Tracce di neve sulle cime più alte.
Dormo e mi sveglio di frequente. Vedo nuove distese desertiche, poi dei grandi specchi d’acqua, credo siano i grandi laghi della Turchia centrale.
Anche Caterina è sconcertata dal rientro repentino: un mese per andare, sette ore per tornare.
Contiamo le moto incontrate in 7mila km: 1 in Turchia, 3 italiani a Ghegard, in Armenia, 4 italiani accompagnati tra Uzbekistan e Turkmenistan, 1 in Uzbekistan l’altro giorno e, naturalmente, 1 Vespona, quella di Jaime!
Finisco di leggere, per la terza volta, “Buonanotte signor Lenin” di Terzani. Che effetto! Quanti pensieri, quante riflessioni, quanti confronti fatti nelle ultime settimane.
Poco prima dell’atterraggio sono preso dagli ultimi dubbi del viaggio: dove devo andare , che devo fare, chi devo chiamare per recuperare la moto?
Il tempo all’arrivo è grigio, aggiunge malinconia alla mia. Per terra è bagnato. Solito applauso liberatorio dei passeggeri, altra imbarazzante prerogativa italiana.
Chiamo Dario con il cellulare di Caterina in carica ad una spina del bagno dell’aeroporto. Annoto le indicazioni su come raggiungere i suoi uffici. Dopo 4 settimane sempre a contatto, mi separo da Caterina. Prendo con me un casco e la borsa da serbatoio.
Inizia a tornare in città, ancora non sa se andare in ufficio o rimandare a domani. Io invece mi perdo con le varie navette per raggiungere i terminal merci. Le navette sono di due tipi. Ovviamente nessuno mi spiega la differenza. Ovviamente salgo su quella sbagliata. L’autista mi spiega l’errore e mi scarica in mezzo alla campagna nei dintorni dell’aeroporto. In lontananza vedo un gabbiotto. É di un parcheggio a pagamento, forse uno di quelli a lunga sosta. Mi incammino. Trovo una signorina sgarbata che esclama:
“Sta là la fermata!”
“Sì, ma ci sono due navette, non so dove ferma quell’altra, nè quando passa”, cerco di spiegarle.
“Ah, questo non lo so!”
Vedo una navetta partire all’orizzonte. Corro. É l’autista di prima. Dopo un po’ ne arriva un’altra. Andrebbe bene, ma sta andando al capolinea. Devo aspettare la prossima, che fa un altro giro. Non capisco. Aspetto a questa fermata spersa nel nulla, in mezzo ad una pungente puzza di urina. Comincia a piovere.
Arriva, arrivo. Giro tra le varie palazzine, nessuno sa nulla, mai sentita la New Transport. Salgo e scendo tra i piani, finalmente la trovo!
Saluto tutti, mi aspettano da circa un’ora. Sanno già tutto del volo e delle merci trasportate.
Sembra che, tra queste, non ci sia la mia moto. Sono incredulo. Aspettiamo conferme. Chiamiamo Diana a Tashkent. Deve verificare. In meno di mezz’ora arriva la sentenza definitiva. La moto, Nelìk è rimasta a Tashkent! Sono senza parole. Non ho nemmeno la forza di arrabbiarmi.
“Mi spiace moltissimo ... prova lunedì prossimo”, mi spiega il tipo. Da e per Tashkent ci sono due voli settimanali: il lunedì e il giovedì.
“In che senso “prova”??”, chiedo incerto di aver capito bene.
“Eh, non è detto che la spediscano nemmeno lunedì! Vanno a priorità, ora stanno arrivando i pantaloni della Wranglers!”
Già, l’Uzbekistan è ancora un grande produttore di cotone e la manodopera costa un’inezia. Nelìk è stata giudicata meno urgente, nonostante la cifra esorbitante che ho speso per spedirla.
Chiamo mio padre che, provvidenziale, viene a prendermi. Non sto a spiegargli le mille deviazioni per raggiungere quest’area sperduta dell’aeroporto. Gli dò appuntamento ai soliti terminal degli arrivi e partenze.
Mi sfogo con l’autista della navetta. Delusione, amarezza immense. Mi passa la voglia di fare l’elenco del contenuto dei bagagli. Sicuramente verrebbe fuori una lista infinita e divertente da leggere, ma proprio non mi va.
Papà, baci e abbracci, spiegazioni, casa, mamma, baci e abbracci, spiegazioni, Roma, fine.

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28/08/2007 - “La cicogna riporta Nelìk”
Nei giorni scorsi mi sono svegliato, ora italiana, alle 4:30, poi alle 5:30 e alle 6:30. Stamattina alle 7:30.
Ci sono state discussioni via mail con Diana per via del costo della spedizione e delle sue spiegazioni che sono sempre state estremamente vaghe anche dopo le mie domande molto precise.
Ieri, lunedì ho chiamato Dario, verso le 11:
“Allora, arrivata la moto?”, chiedo dando per scontato il “sì”.
“No, mi spiace, non c’è nemmeno sul volo di oggi ...” è la sua risposta raggelante.
Alle 13, dopo due ore, mi richiama:
“Scusa, m’ero sbagliato, la moto è arrivata!”
Ieri era ormai troppo tardi per andare all’aeroporto, così oggi eccomi qui a concludere il viaggio iniziato più di un mese fa.
Mi accompagna mio padre, anche per evitare problemi con i documenti su cui risulta come proprietario della moto. Un po’ di code per i documenti, il pagamento delle tasse aeroportuali di 16,5 €, poi l’ufficio dello sdoganamento dove l’ufficiale ha fatto un paio di battute acide per la questione del proprietario della moto. Ci danno un badge con cui entriamo nell’area protetta dove sono allineati decine di hangar dentro cui sono depositate le merci in arrivo dall’estero. Da un’altra parte ce ne sono altrettanti per quelle in partenza. Paghiamo il deposito, 14,5 €, facciamo la richiesta di recupero della cassa. Dopo una mezz’ora abbondante, parte un montacarichi che torna dopo un tempo interminabile con la base della cassa. Le pareti di legno sono sparite. Nelìk è nascosta sotto un pesante telo di plastica nero. La scopro emozionato. É imbrigliata in una fittissima ragnatela di cavi ed elastici. Ci affrettiamo a disimballarla. Per fortuna ci danno una mano perchè un paio di operazioni sono quasi impossibili da fare solo tra me e mio padre.
Consegniamo i documenti alla Finanza, riconsegniamo i badge. In tutto abbiamo impiegato due ore e mezzo.
La gomma posteriore è quasi a terra, l’ammortizzatore è bassissimo, la moto puzza intensamente della benzina dell’Asia Centrale. Mi allontano lento dall’area merci dell’aeroporto.
Mi fermo a gonfiare le gomme e fare il pieno. Lascio i bauli dai miei, poi vado a casa mia.
Il viaggio è finito, F - I - N - I - T - O. Grande malinconia, unita al grandissimo dispiacere della brutta scoperta fatta l’altro giorno. La reflex che avevo portato e che mi accompagna da anni e anni, si è rotta durante il viaggio. Purtroppo era impossibile accorgersene, pensavo che continuasse a scattare così, oltre al danno, anche la beffa di aver buttato quasi 10 rullini. Il fotografo mi ha detto che il 70% delle diapositive che ho scattato sono completamente nere, irrecuperabili. In pratica ho coperto la Turchia, parzialmente il Caucaso, quasi nulla dell’Asia Centrale. Per fortuna ci sono gli oltre mille scatti della piccola digitale, ma le diapositive sono tutta un’altra cosa. Che peccato.
Questo viaggio mi ha un po’ svuotato, perchè ho la consapevolezza che, per un lasso di tempo ignoto, non potrò prendermi di nuovo così tanto tempo a disposizione.
Ora si tratta di metabolizzare le esperienze vissute e valorizzarle. Mi sento arricchito dagli incontri fatti, dalle persone conosciute, dai paesaggi che sono entrati nel mio cuore. Rivedo passare i visi sorridenti dei contadini armeni che vendevano la frutta lungo la strada, le persone che ci hanno aiutato, l’apparizione dell’Ararat, le teste del Nemrut Dagi illuminate dai primi raggi dell’alba, le stelle ammirate sdraiati nella sabbia del Turkmenistan, il risveglio in riva all’Amu Daria.
Tornerò laggiù, ho il sogno di girare le due repubbliche montuose: il Kirghizistan e il Tagikistan. Poi gli spazi della Mongolia. E l’universo misterioso della Cina.
Chissà, forse è già tempo di ricominciare a sognare ...

~ Fine ~

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