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Giornate: 14/08/2009 - “Pullman thriller verso Bali”
Arrivati alla stazione, il bechak-man chiede informazioni sull’autobus che dobbiamo prendere e alla fine lo troviamo. É un pulmino con meno di 10 file di posti e largo l’equivalente di quattro posti. Tradotto, è stretto e corto. Ha una porta al centro ed una a fianco del guidatore. É molto scassato, i sedili sfondati, la carrozzeria scrostata e ammaccata, trasuda anni e anni di servizio da ogni particolare. Siamo in 5: l’autista, l’assistente, Caterina, io ed un altro viaggiatore. Partiamo ed inizia la giostra. L’autista tira con cattiveria ogni singola marcia fino al limite di sopportazione dello sferragliante grido di dolore che arriva dal motore, le porte rimangono aperte e l’assistente assume il ruolo realmente fondamentale che ha: dirigere il traffico che precede il pulmino. Compie questo compito, apparentemente impossibile, dando poderosi colpi alla carrozzeria e lanciando urla, fischi e frasi alla bicicletta, al bechak, al pedone, all’automobile che precede il pulmino, con l’autista che sottolinea il tutto con continui e abbondanti suonate di clacson. Siamo sballottati in tutte le direzioni tra frenate e accelerate continue, le buche della strada ed i continui e repentini scarti dell’autista, con lunghi pezzi contromano nella sinuosa strada a quattro corsie che percorriamo, sia per districarsi nel traffico che per evitare scontri che di volta in volta appaiono inevitabili, ma che all’ultimo momento, con nostro grande sollievo, schiviamo per un soffio. Gli altri passeggeri che raccogliamo lungo la strada salgono al volo, il pulmino si limita a rallentare, ma non si ferma nel vero senso della parola. Sono studentesse, donne che vanno a fare la spesa ed altre persone che si muovono ai margini della città - stiamo percorrendo la tangenziale che circonda Yogya - e nei centri attorno. Finalmente arriviamo, puzzolenti dello smog entrato a grandi nuvole dalle porte spalancate del pulmino e scossi, ma tutto sommato divertiti dalla follia a cui abbiamo appena partecipato, a Borobudur. Naturalmente non c’è l’ombra di un cartello che indichi dove si trova il tempio famoso in tutto il mondo. In compenso è pieno di “guide” che vorrebbero prendersi cura di noi e che ci affanniamo a rifiutare. Ci incamminiamo inizialmente nella direzione sbagliata, poi chiedendo alle persone “disinteressate” (fruttivendoli, autisti di pullman e così via) troviamo finalmente la strada. Passiamo a fianco di basse costruzioni con meccanici, negozi di alimentari, giocattoli, articoli per la casa, ecc. É un vero e proprio paesino con tanto di stazione di polizia e tutto ciò che serve alla vita quotidiana. Arriviamo al grande comprensorio del tempio, chiuso da un recinto. Andiamo nel centro accoglienza, moderno e funzionale. Compriamo i biglietti e ci avviamo verso il tempio, districandoci tra i mille venditori ambulanti di souvenir sempre più numerosi. Poi appare il tempio. L’effetto di imponenza e grandezza viene amplificato dal fatto che è in cima ad una lunga scalinata ed occupa la parte superiore di una collina. Lo vediamo apparire immenso e molto più alto di noi, ci avviciniamo sottomessi ed avvertiamo questo rapporto di forza tra il tempio, grande e sacro e noi poveri uomini mortali che ci avviciniamo piccoli e insignificanti. Arriviamo alla base del tempio a forma di piramide, a base quadrata. Si entra da porte scolpite, una per ciascun punto cardinale le quali ammettono ai vari livelli del tempio. Il tempio è strutturato a livelli, ossia si entra salendo i gradini attraverso una porta, poi c’è un corridoio che compie il giro dell’intero edificio, aperto sempre in corrispondenza dei quattro punti cardinali, con le scale che ammettono al piano superiore.
Arrivati quasi in cima, la struttura cambia. Non camminiamo più in stretti corridoi sovrastati da altre mura e circondati da pietra scolpita, ma diventa tutto più arioso, etereo. La struttura si apre e giriamo tra piccoli stupa che proteggono delle statue del Buddha e la sommità del tempio è costituita da un enorme stupa che chiude a punta il tempio. Si dice che uno dei Buddha protetto dagli stupa porti fortuna. In particolare, la punta del piede per gli uomini e quella di una mano per le donne. Tutti lo sanno e si accalcano, sforzandosi e stirandosi dai buchi dello stupa per toccare la parte che gli compete.
Avverto forte la sacralità del luogo, la sua imponenza e rimango senza parole di fronte all’ardore, al rispetto e alla religiosità di tutti i monaci che hanno finemente scolpito, decorato e intagliato un numero così impressionante di statue, bassorilievi e decorazioni. Incredibile. Il confronto con i nostri giorni e più in generale con la nostra epoca, è impietoso. Dove più si creano simili omaggi alla Divinità, alla Natura? Cosa si crea di grandioso e profondo, nel senso della spiritualità? Si costruiscono anche chiese e moschee, ma sono chiuse, trattengono e rinchiudono. Invece questo tempio è aperto, trattenuto sulla terra dai corridoi che spingono a guardare la propria vita e la propria quotidianità cogliendone i limiti, ma che poi si aprono verso il Cielo per ricordare quello che siamo, anime di passaggio verso il centro della creazione, liberi di ascendere e reincarnarsi nella Natura che ci circonda e di cui facciamo parte. Nonostante qui la situazione sia migliore di quanto visto finora e la natura riesca ancora a farsi vedere, in quest’isola drammaticamente sovraffollata, dobbiamo comunque fare un notevole sforzo di immaginazione per “vedere” come potesse essere anche solo 100 anni fa e rimpiangiamo di non essere tra le generazioni di persone che si sciolsero nell’emozione di veder comparire dal nulla, tra gli alberi, questo complesso immenso e sacro. Dobbiamo scendere, purtroppo il pullman notturno chiama e dobbiamo ancora tornare a Yogya, fare gli zaini e trovare il parcheggio da cui partire. Scendo con calma, quasi come alla fine di una sessione di meditazione. Mi volto in continuazione per ammirare la struttura e le sculture. Alla base del tempio ci attendono centinaia di venditori che ci inseguono contrattando per cappellini, piccole sculture, cartoline, oggetti in legno, pietra, plastica, tessuto, tutto! Ci circondano a colpi di 4, 5, 6 e più persone, ma continuiamo a camminare e ce li lasciamo indietro, tranne i più tenaci che colgono ogni nostro singolo sguardo anche solo vagamente interessato ad uno degli oggetti proposti. Mi lascio convincere da una piccola statua di Gamesh, il Dio Elefante protettore della Cultura (almeno così ho capito e amo una Divinità con questo scopo supremo) ed un piccolo stupa. Tutto per 50mila rupie. Torniamo al parcheggio per prendere il Pulmino Più Pazzo del Mondo. Al ritorno impiega molto meno tempo, evidentemente fa un giro differente. Una volta in periferia di Yogya ci dicono di scendere ad una certa fermata e da lì prendiamo un autobus che funziona come una metropolitana di superficie, con fermate dedicate e sopraelevate, accessibili solo tramite tornelli. Scarpiniamo fino all’albergo, doccia e taxi fino al parcheggio del pullamn a 20mila rupie.
Appena saliamo veniamo forniti di copertina, cuscino e una piccola scatola di termoplastica con dentro una merendina, uno snack dolce, delle caramelle ed un succo di frutta. Partiamo, ma sembra di non uscire mai dalla periferia di Yogyakarta. In pratica ci ritroviamo a viaggiare in un unico, immenso centro abitato. Procediamo tra le abitazioni senza soluzione di continuità, è pazzesco. Molto di rado il paesaggio si apre su un campo di riso che confina letteralmente coi muretti di un’abitazione o di una fabbrica e poi riprende immediatamente il centro abitato.
Oltre alla dotazione del pullman, abbiamo pochissime scorte: qualche taralluccio, una confezione di crackers, un litro d’acqua, un mango e pochissimi soldi, l’equivalente di 1,5 €! Pubblicità ovunque, bechak, scooter, baracchette che vendono di tutto, accatastato senza grazia in negozi che sembrano magazzini. Il traffico è molto intenso, l’autista pazzo. Sorpassiamo non solo auto, motorini, biciclette, carretti, ecc ma anche camion, altri pullman e veicoli lunghi, il tutto anche in piena curva senza la minima visibilità di cosa sta arrivando. Veniamo sorpassati a nostra volta da mezzi del genere e le (tante) volte che nel senso opposto arriva qualcuno, nel caso sia “piccolo” (motorini, ecc ma anche macchine) quello si sposta finendo anche nella terra o sull’erba a fianco dell’asfalto; se invece è “grosso”, prima fanno una rapida battaglia a colpi di clacson ed abbaglianti, poi si stringono e si allargano evitandosi per pochi centimetri. I vari autisti che si incrociano collaborano, conoscono la situazione e a parte la premessa “aggressiva” a colpi di abbagliante e clacson, alla fine si aiutano con sorpassi e rientri da brivido. Gli altri passeggeri, tutta gente locale tranne una coppia di francesi proprio davanti a noi, non si curano della strada. Solo io sono inchiodato con lo sguardo terrorizzato sul maxi-schermo dell’enorme parabrezza anteriore che mi offre un thriller da brivido in diretta, technicolor e 3D! Posso dire senz’ombra di dubbio che nemmeno in moto riuscirei a fare sorpassi del genere.
Il tempo che ci concedono è pochissimo, nel giro di mezz’ora scarsa ricominciamo la giostra nel migliore dei modi: il pullman esce dal parcheggio in retromarcia senza minimamente guardare chi sta arrivando nè in un senso, nè nell’altro. Sul fondo del pullman c’è un bagno, che scopro essere semi bloccato da molte persone accampate davanti in mezzo a montagne di pacchi e sacchi. Capisco così che le soste che facevamo di tanto in tanto erano per far salire altre persone. Chissà se sono ufficiali oppure pagano una tangente all’autista. Il bagno ovviamente è un loculo ed usarlo implica necessariamente una lunga serie di testate sul soffitto, cercando al contempo di evitare lo scopino che è appeso ad un filo e quindi pericolosamente penzolante e oscillante a rischio contatto pestilenziale. Il lavandino è otturato e la piccola vaschetta a fianco è piena d’acqua, con mestolo galleggiante per le abluzioni tipicamente islamiche. La notte prosegue, ma mi è del tutto impossibile dormire. Leggere è improponibile, così come qualunque altra attività. Visto che il sonno non arriva, non posso far altro che continuare a fissare in modo paranoico la strada che mi viene incontro come in un videogioco iper-realistico. Speriamo di non dover usare la vita di riserva!
15/08/2009 - “Sogno balinese”
Alcune persone attorno a noi mangiano del cibo comprato allo spaccio: riso fritto dentro foglie di banano. Non è molto invitante e rimandiamo a più tardi la colazione. Attracchiamo alle 7 in punto, come da programma. Una volta a terra dobbiamo cambiare pullman, visto che questo prosegue a sud, verso Denpasar, ma noi abbiamo deciso di iniziare il giro da nord. Ci fermiamo lungo la strada, in una sedicente agenzia locale della compagnia di pullman. É una casa bassa e malmessa con una persona all’interno che si mette in moto per risolvere il problema di farci andare in direzione Seririt. Alla fine arriva un pulmino scassato, sulla falsa riga di quello preso ieri per Borobudur, ma meno caotico e soprattutto con le porte chiuse.
Ci facciamo scaricare a Pemuteran, dove Caterina ha letto di alcuni resort, ma è molto vaga su questo punto, non capisco se vuole farmi una sorpresa oppure se davvero ne sa poco anche lei. Legge un cartello col nome di uno di questi e ci inoltriamo decisi sul sentiero sterrato. Ai lati case molto dignitose, tutte munite di tempietto privato per omaggiare le divinità hindu. Bali, infatti, è induista e non posso che essere contento di risparmiarmi l’urlo del muezzin 5 volte al giorno - soprattutto quello prima dell’alba!
“Ma è solo per una notte, eh! Da domani è prenotata!”, avverte il responsabile dell’accoglienza. “Allora se è solo per una notte deve farci un altro sconto! Il fastidio di cambiare sistemazione, ecc”, esclama Caterina, ricominciando la Battaglia del Prezzo. Pare che domani si liberi una suite vista mare, ma per il momento siamo concentratissimi su Villa Shanti, un luogo stupendo chiuso da alte mura con giardino tropicale, piscina privata, abitazione tradizionale con tetto in paglia, letto immenso decorato con fiori freschi, bagno sterminato con vasca in pietra che troneggia al centro e mille altri dettagli di lusso. Dopo la notte insonne sul pullman ed i posti dove siamo stati nei giorni scorsi, tutto assume il contorno di un sogno. Andiamo in riva al mare, dove siamo accolti dal personale del bar-ristorante con un cocktail di benvenuto. Abbiamo diritto alle sdraio ed agli asciugamani, che sfruttiamo subito per stenderci e tirare il fiato guardando il mare, in silenzio. Prima di rilassarci completamente, però, dobbiamo cambiare soldi, capire come muoverci sull’isola e decidere cosa fare nei prossimi giorni. Torniamo quindi sulla strada principale, lungo la quale si affacciano diversi altri resort ed alcuni negozi, tra cui un’agenzia turistica dove cambiamo [1 € = 13.000 IDR - i tassi sono molto peggiori rispetto a Java ed in generale la vita a Bali costa parecchio di più in quanto più turistica] e chiediamo informazioni sullo scooter, lo snorkeling e le altre attività che si possono fare nei dintorni. Il sole picchia, torniamo a Villa Shanti decisi a non muoverci per le prossime ore. Crolliamo dalla stanchezza, tramortiti dal viaggio. Oziamo tutto il giorno e progettiamo di oKKupare la villa e vivere qui per il resto dei nostri giorni. Entriamo e usciamo dalla piscina, sdraiandoci sul grande letto sistemato nel giardino o sulle sdraio in dotazione. Subito a fianco della villa c’è una piccola stanza che a quanto abbiamo capito affittano separatamente, ossia potremmo dover condividere il sogno con qualcun altro, ma al momento non c’è nessuno e preghiamo che resti vuota. Ancora a fianco, invece, c’è una struttura aperta che, a piano terra, ospita una cucina e al piano superiore, aperto, sovrastato dal tetto in paglia e protetto dalle immancabili zanzariere, un grande letto dove poter godere dei suoni della natura anche di notte.
Proseguiamo lungo l’arco della spiaggia e passiamo davanti ad altri resort e capanni, chiusi a quest’ora, che durante il giorno organizzano escursioni in barca ed immersioni. A questo proposito, numerosi cartelli raccomandano la massima attenzione verso i coralli, in lenta ricrescita grazie ad un programma di protezione. Sono andati completamente distrutti, pare, per colpa dell’innalzamento delle temperature del mare. Viene da dubitare che nel frattempo si siano abbassate e quindi sospetto che in passato siano andati distrutti per incuria e che ora, faticosamente, stiano cercando di far rivivere la barriera. Ceniamo al ristorante del resort, non abbiamo davvero la forza di andare in giro a cercare altro. Ci sistemiamo su un tavolo a pochi passi dal mare. Spiedini di tonno con verdure e riso, due tranci di tonno con patate al forno e salsa, una birra grande, dolce e caffè. Il tutto per 280mila rupie, poco più di 20 euro, al cambio (svantaggioso) di Bali. Come i signori - e credo per la prima volta in vita mia - facciamo mettere tutto sul conto della camera. Torniamo alla villa. Relax notturno in piscina e sulla terrazza, sul letto all’aperto. 16/08/2009 - “Il tempio delle scimmie”
Facciamo colazione in riva al mare con frutta tropicale fresca, succo di frutta fresco, omelette e varie altre cose. Osserviamo ammirati una donna che fa il giro dei tanti tempietti sparsi nel resort. In ognuno posa un bastoncino acceso di incenso, dei fiori, del cibo (ad esempio un po’ di riso, pezzetti di biscotto ecc), recita una breve preghiera e si inchina prima di procedere col successivo.
Verso l’ora di pranzo decido di usare Internet per vedere se ci hanno risposto dagli alberghi a cui avevo scritto prima della partenza e dove dovremmo andare nei prossimi giorni. Già che passo davanti alla reception, provo a chiedere, senza troppe speranze: “Salve, alloggio a Villa Shanti, per caso c’è posto anche domani?” Il tipo controlla, sfoglia avanti e indietro il Grande Libro delle Prenotazioni, lo scruta perplesso, sembra interrogare il suo vaticinio come un oracolo, consulta un collega per farsi aiutare ad interpretare gli oscuri ed ambigui segni che legge e sentenzia: “Sì! La vuole?” “Of course - de corsa!” è la mia risposta istantanea. Vorrei correre a comunicare la meravigliosa notizia a Caterina, ma mi trattengo e controllo la posta, solo per avere conferma che nessuno mi ha risposto. Veniamo a sapere che poco oltre Pemuteran c’è un tempio pieno di scimmie. Decidiamo di andarci verso metà pomeriggio. Prendiamo uno dei pulmini pubblici - ed ho conferma che quello usato ieri per arrivare qui era uno di questi pagato pochi centesimi, invece del ricco biglietto pagato da noi e finito chissà in quali tasche - che ci scarica proprio davanti all’ingresso.
Per entrare dobbiamo indossare un sarong a coprire le gambe. All’ingresso ce li forniscono e ci vestono. Saliamo le scale d’ingresso e ci sistemiamo discretamente da una parte, per ammirare il rito. É condotto da una donna e già questo è motivo di forte contrasto e differenza con la chiesa cattolica, dove per loro vige il divieto di officiare. Arrivano gruppi di persone, donne, uomini e bambini, carichi di offerte. Due aiutanti della monaca aiutano le persone a disporre i doni all’interno di grate per proteggerli dagli assalti delle scimmie, curiosissime e affamatissime. Fatto questo, si siedono tutti nella posizione del loto (gambe incrociate, braccia lungo il corpo con mani sopra le ginocchia), di fronte all’altare con le offerte ed in posizione leggermente arretrata rispetto alla sacerdotessa, ma praticamente al suo fianco. Sono tutti rivolti verso l’altare, fedeli e sacerdotessa. Questa è un’altra differenza con i riti cristiani, dove bene che va, il prete è vicino all’altare, a Dio, ed i fedeli sono lontano oppure va ancora peggio nei riti ortodossi, dove i fedeli non vedono nemmeno il prete, nascosto dietro l’iconostasi e simbolicamente in Paradiso mentre il popolo mortale e peccatore è completamente separato e lontano da questo. La sacerdotessa intona dei canti e delle preghiere ed i fedeli a loro volta cantano e pregano. Poi è il momento della benedizione con l’acqua. Altra analogia con i riti cristiani, che però aspergono i fedeli di acqua soltanto nel Battesimo e durante la benedizione pasquale. Durante l’intera cerimonia le scimmie corrono libere, saltano, urlano e litigano tra le persone. Quando però si avvicinano troppo o diventano eccessivamente fastidiose, intervengono le assistenti spaventandole con lunghi bastoni. Ma quasi mai è necessario che arrivino a tanto, di solito è sufficiente che si muovano, prima ancora di alzarsi e le scimmie sono già scappate lontano. A meno che non abbiano catturato del cibo e allora diventano più impudenti e temerarie. Altre scimmie invece sono tranquille e siedono a fianco delle guardiane. Mi avvicino con cautela - vedendo i lunghi denti sfoggiati dagli esemplari più adulti - e provo ad accarezzare un cucciolo. É tenerissimo, mi rivolge uno sguardo umano, cosciente, consapevole e afferra delicatamente, con l’intera “mano”, il mio pollice. Che emozione! Dopo qualche secondo in questa posizione decide di saltare sulla borsa che porta a tracolla, usarla come trampolino per lanciarsi sul palo della tettoia ed arrampicarsi in cima a questa, osservandomi dall’alto. Uscendo e restituendo i sarong, offriamo 20mila rupie. Facciamo un pezzo a piedi, lungo la strada costiera. La spiaggia non è paradisiaca come uno immagina siano tutte le spiagge “esotiche”, in ogni caso è un bel mare e la vegetazione mi colpisce molto, così piena di fiori e colori. Dopo un po’ cerchiamo un pulmino, ci mettiamo in attesa sul ciglio della strada, ma non arriva nessuno. Alla fine da un viottolo escono due ragazze su due motorini. Le fermiamo e spieghiamo dove dobbiamo andare. “Sì, ma dovete pagare!”, ci dicono senza mezzi termini. Restiamo un po’ sorpresi, dopo l’estrema gentilezza e disponibilità trovata nei giorni scorsi, in ogni caso contrattiamo ed arriviamo alla cifra di 10mila rupie per entrambi.
Mentre stiamo guardando cosa possiamo comprare, arriva Wedu che attacca bottone con noi, in quanto palesemente turisti. Di professione fa l’autista. Inizia così una lunghissima ed estenuante contrattazione sul prezzo del trasporto da Pemuteran alla successiva destinazione, Ubud, nel centro dell’isola di Bali. Vogliamo anche fare alcune escursioni lungo la strada. Sicuramente delle cascate di cui abbiamo letto sulla guida, il tempio sul lago Bratan ed un giro attorno ad altri laghi. Non molla di 1 euro, incredibile! Alla fine ci accordiamo, per sfinimento di tutti, ad 80 euro per lo snorkel domani ed il trasporto fino ad Ubud dopodomani. Rientriamo in villa e ci gettiamo all’istante in piscina. Decidiamo di cenare fuori, ma dopo il top di ieri sera, restiamo prevedibilmente delusi dal Rarè Angon che ci obbliga anche al supplizio di un gamelan che si ripete all’infinito, sempre le stesse 20 note per tutta la durata della cena. Oltre ad essere alienante (almeno facessero sentire diverse composizioni di gamelan, non 5 minuti di registrazione mandato in loop infinito), mi dà anche fastidio la “commercializzazione” e la banalizzazione di quella che è a tutti gli effetti una musica sacra e svilita come sottofondo durante i pasti. É come se da noi facessero sentire all’infinito una breve registrazione di canti gregoriani o dell’Alleluja. Ecco, tutta una serata con il breve canto dell’Alleluja in loop. Penso che darebbe fastidio anche al Papa. Torniamo nel nostro sogno a termine, Villa Shanti, e crolliamo addormentati. 17/08/2009 - “Il meraviglioso mondo dei pesci”
Percorriamo rapidamente lo stradino sterrato per tornare sulla strada principale ed andare all’agenzia di Wedu per fare snorkeling. Conosciamo un ragazzo di Vienna che lavora in un settore simile a quello di Caterina e Claudia, una ragazza per metà italiano che parla benissimo la nostra lingua. Prendiamo maschere, boccagli e pinne nell’ufficetto e ci catapultiamo in macchina, desiderosi di nuotare. Andiamo a ovest, verso un porticciolo a qualche km da Pemuteran. Ci fermiamo in un bar ristorante a compilare dei moduli, poi saliamo su una stretta imbarcazione di legno con fuoribordo da pochi cavalli, ma tra vento e onde sembra di andare a mille nodi! Vediamo in lontananza l’immenso vulcano di Java, penso sia lo stesso ammirato un paio di giorni fa. Finalmente si concludono le varie manovre d’avvicinamento ed arriviamo nella zona dove possiamo nuotare. Non avevo mai fatto snorkeling in vita mia. É molto bello - in posti del genere ovviamente, dove i pesci sono incredibilmente colorati, sgargianti, con sfumature che solo un pittore esperto riuscirebbe ad immaginare e poi stelle marine, anch’esse colorate, come se ai tropici non potesse esistere una razza marina con colori spenti. Pranziamo sulla spiaggia, gli organizzatori ci distribuiscono dei piccoli contenitori in plastica con dentro nasi goreng, mezzo litro d’acqua a testa, le posate ed una banana. Ci portano in un’altra zona vicino, ma durante il tragitto inizio a sentirmi “mareado”. Uso questo termine spagnolo, che trovo molto bello ed esplicativo, per la brutta sensazione di nausea che viene in certe situazioni (tipo mal d’auto, d’aria, ecc). Forse colpa delle orecchie che continuo ad avere infiammate. Di nuovo pesci di forme e colori incredibili, anche se in numero inferiore rispetto alla barriera di stamattina. Qui però ci sono più stelle marine, blu, viola, nere... bellissime. Torniamo sulla terraferma. La bassa marea scopre le radici delle mangrovie. Auto, Pemuteran, Villa Shanti! Ci rilassiamo in piscina, poi andiamo sulla spiaggia del resort. Crollo addormentato sulla sdraio. Ancora non metabolizzo il fuso. La giornata finisce così, tra sonnellini, letture di libro, chiacchiere e tuffi in piscina. Ceniamo in un altro ristorante lungo la strada principale. Qui incontriamo di nuovo (c’era anche stamattina allo snorkel, ma in un’altra auto e poi in un’altra barca) Yo Yo, un ragazzo di Java, musulmano, che ha sposato una donna di Bali e vive qui. L’approccio non è particolarmente simpatico, è aggressivo e arrogante. Parliamo di quello che vorremmo fare nei prossimi giorni e ci consiglia di evitare le sorgenti calde: “Hot spring no good!”, esclama in tono deciso, spiegandoci che sono piene di gente e non sono particolarmente spettacolari. Piuttosto, ci consiglia una cascata in un bosco più verso l’interno, in direzione Ubud. Scopre che non alloggiamo al Ravè Angon come avevamo più volte dichiarato a Wedu ieri pomeriggio, per tirare meglio sul prezzo. Se avessimo detto che stavamo al Taman Sari forse non sarebbe sceso neanche di quel poco che ci ha concesso. In braccio ha una bambina bellissima e ci confida che da quando ha i figli, ha più soldi: “Perchè i figli portano soldi!”, esclama felice, “cambi modo di pensare, diventi più parsimonioso, più intraprendente, sprechi di meno e quindi hai più soldi. Io non ho più figli perchè ho più lavoro, ma ho più lavoro perchè ho più figli!”, conclude deciso. Torniamo al Taman Sari. Ci concediamo, in riva al mare, alla penombra delle candele, il dolce mangiato la prima sera, una crêpe verde con due palle di gelato. Tornando in stanza passiamo dalla reception, dove ci lanciamo in una lunga contrattazione in cui riusciamo a farci ridurre il prezzo da 110 a 100 dollari a notte. Ci rilassiamo nell’oscurità completa del giardino di Villa Shanti, ammirando silenziosi il magnifico cielo stellato. Notte alle 23:30. 18/08/2009 - “I galli di Ubud”
La strada si alza sopra le risaie, tutte ben allagate e non aride come spesso ho visto a Java. Ma anche palmeti, cocchi in vallate e montagne. Il paesaggio è quello tropicale trasmesso dai libri e dai film: vegetazione lussureggiante, verde intenso e brillante ovunque, frutta in abbondanza, risaie a perdita d’occhio, temperatura calda e umida. Superiamo pendenze molto ripide che spesso la strada affronta dritta, senza curve di esitazione o compromessi. All’ennesimo tornante Ketut chiude con decisione la curva entrando in un parcheggio. “Qui c’è la cascata! Yo Yo ha detto che volevate vederla!” dice smontando dall’auto per riposarsi. “Ok, vieni con noi?” “No!”, ci risponde quasi spaventato. Forse è lontano o faticoso. Non insistiamo e ci addentriamo nel sentiero. Man mano che scendiamo nel sentiero e la piccola valle si restringe tra le montagne, la vegetazione esplode, forte e vitale. Camminiamo in mezzo a fiori e piante mai viste, mi lascio inebriare dalla forza della natura. Passiamo a fianco all’abitazione di un anziano. É più una baracca, tutto in legno, nel recinto razzolano alcuni animali, a fianco l’orticello, lui sta intagliando un pezzo di legno e quando passiamo alza a malapena la testa. Poco oltre, in una curva a gomito del sentiero, una signora vende una serie di spezie che non hanno nemmeno le più grandi drogherie cittadine.
Cotinuiamo il nostro viaggio, Ketut continua ad indicarci piante e fiori e per noi è tutto un “Ooooohh!” di meraviglia. Voliamo alti su alcuni laghi vulcanici, viaggiando sulla cresta di uno di questi. Dall’alto si intravvedono dei templi, alcuni romanticamente isolati in zone inaccessibili, altri poco fuori da piccoli centri abitati. Il tempo purtroppo è sempre nuvoloso, ma forse è tipico delle zone equatoriali. Altra sosta, in un bar storico in cima ad una ripida scalinata all’interno di un giardino lussureggiante. Ketut ci illustra, aiutato da alcune installazioni sparse nel giardino, lungo l’ascesa al locale, le fasi di lavorazione del caffè. La raccolta dei chicchi, l’essiccazione, la tostatura, la macinazione, l’impacchettamento. Tutto tramite gli strumenti tradizionali: “Anche se ormai questi non li usa più nessuno, eh! Forse solo gli anziani”, ci tiene a precisare ridendo. Non ne avevamo dubbi, purtroppo. Nel bar acquistiamo un paio di pacchetti di caffè, in vista di regali per noi e gli amici. Riprendiamo il viaggio, di nuovo cocchi, ma anche banani e ovviamente risaie. Tanti aquiloni solcano il cielo, un colorato ed etereo omaggio alle divinità celesti.
Ci fermiamo ugualmente compiendo il consueto sforzo di immaginazione per vederlo nell’antica quiete, così spettacolare sulle placide acque lacustri. Proseguendo verso Ubud passiamo vicino ad un vero giardino botanico che vogliamo visitare. Ketut entra e la prima sorpresa negativa è che si gira in auto. In realtà è talmente grande che l’automobile è quasi l’unica soluzione per girarlo tutto, ma in ogni caso ci meraviglia parecchio girare in un orto botanico a bordo di una puzzolente e inquinante automobile! In più le piante che vediamo non sono nulla di eccezionale, paradossalmente sono meno varie e meno imponenti di tanti esemplari visti arrivando qui. Anche la Casa delle Orchidee è una delusione. Nessun fiore, a parte una pianticella stitica con colori sciapi.
La parte centrale di Bali si popola moltissimo, passiamo da un villaggio all’altro senza soluzione di continuità in una girandola di svolte e deviazioni non segnalate che solo Ketut può conoscere. Mi preoccupo pensando a quando prenderemo lo scooter, ma in fondo è anche bello perdersi in un posto sconosciuto così emozionante. Ci facciamo portare in una strada turistica piena di alberghi e guest house e bed & breakfast. Molti sono pieni, Ketut si sta spazientendo in quanto deve andare a prendere un turista all’aeroporto di Denpasar. Chiediamo in diversi posti, alcuni molto belli, altri più malmessi. Finalmente troviamo posto da Kioko, una giapponese che parla benissimo l’italiano avendo fatto la hostess in Alitalia per molti anni. É nata a Tokio, ha vissuto molti anni in Italia, ma ormai si è trasferita qui da 3 anni, comprando il terreno e facendo costruire la casa dal nulla, da un suo progetto e trasformandola poi in guest house. Dipinge e danza. Penso sia la vita che tutti sognano di fare, in un posto meraviglioso, con numerose passioni legate all’arte ed un lavoro a contatto con le persone e comunque vissuto da lontano, visto che per lei lavorano diversi balinesi. Mi sembra una forma di neocolonismo, ma cerco di non trarre conclusioni affrettate.
Non posso credere che siamo finiti in una lotta illegale tra galli! Mi sento guidato da una Coscienza superiore e assisto all’intera scena. Finito di raccogliere le scommesse, inizia il combattimento vero e proprio. I galli hanno, legata ad una zampa, una lama di coltello lunga una decina di centimetri. Si azzuffano lanciandosi l’uno contro l’altro. Ad ogni assalto si alza un urlo dalla folla eccitata. Gli animali rotolano nella polvere per qualche istante, poi si rimettono in piedi in un attimo, fronteggiandosi e preparandosi ad un nuovo assalto. Dopo alcuni attacchi, quello che sembra l’arbitro richiama i padroni che afferrano gli animali tenendoli in braccio. Altro giro di scommesse, ora gli astanti hanno visto chi è più forte, ma non è detto che la lotta finisca come immaginato. Finito in pochi secondi di raccogliere le ultime scommesse, mettono entrambi i galli in una gabbia di paglia stretta e alta. Ora sono a pochi centimetri l’uno dall’altro e non potrà che finire con la morte di uno, come previsto dal regolamento non scritto. Vince il bianco. Il nero viene preso da un vecchietto che inizia a spiumarlo. Voluminosi fasci di banconote passano di mano in mano. Eccitazione generale e scambi di battute. Spettacolo molto crudo che sfugge alla mia comprensione, non so come ci si possa divertire in questo modo, ma forse è meglio di trucidare i tori, perpetrato dagli - a noi molto più vicini, geograficamente e culturalmente - spagnoli. In ogni caso il rituale mi colpisce. Ci guardiamo intorno. A fianco del campetto, da un lato c’è una piccola risaia, curata e pittoresca come un bonsai, dall’altro un cimitero. Oltre, un’ampia e verdissima vallata. Sull’altro costone, in lontananza, ville e abitazioni nascoste dalla vegetazione. Torniamo da dove eravamo venuti. Una coppia di turisti ci chiede indicazioni per il centro. Per quello che possiamo sapere, glielo indichiamo e ne approfittiamo per chiedere cosa c’è nei dintorni. Ci consigliano un sentiero che inizia qui vicino.
Una palma spezza la linea del sentiero, tutt’intorno ville mimetizzate nella vegetazione - probabilmente di resort di lusso - ed abitazioni più “popolari”. In ogni caso, tutto è a misura d’uomo, nessuna palazzina o costruzione che superi uno o due piani. Qualcuno corre, altri portano a passeggio il cane, diversi gruppi di ragazzi si divertono da matti a fotografarsi. L’avevamo già visto fare a Yogyakarta, dev’essere un passatempo comune tra i ragazzi. Si vestono elegantemente e vanno a scattarsi foto nei posti più belli. Torniamo sulla strada principale e lungo la salita che ci riporta all’albergo ci fermiamo a prenotare uno spettacolo di danze tradizionali, stasera stessa. Il bigliettaio ci chiede se vogliamo dare un’occhiata al posto, fintanto che è giorno. Non ce lo facciamo ripetere due volte! Il palco è sistemato di fronte al monumentale ingresso di un tempio. Ci sediamo qualche minuto, osservando alla calda luce del tramonto un anziano che si arrampica sull’alto portale ad accendere le decine di candele che lo illumineranno magicamente non appena caleranno del tutto le tenebre. Torniamo in albergo, doccia veloce ed usciamo subito per andare allo spettacolo!
La danza ed i costumi sono emozionanti, mi interrogo sul tipo di immaginario di queste popolazioni che “vedono” draghi incrociati con altri draghi, guerrieri elaboratissimi, danzatrici con movenze lenti e sguardi sgranati. I costumi sono di mille colori sgargianti. Ceniamo da Casa Luna con piatti molto elaborati, da laboratorio di alta cucina. Alla fine ci alziamo ed aspettiamo un po’. Chiedo il conto e aspetto. Lo richiedo e aspetto. Vado di fronte alla cassa e aspetto. Chiedo per la millesima volta, ma nessuno si fa vivo. Caterina mi dà il “la” e ... ce ne andiamo. Tempo 5 minuti e mi pento, mi sento terribilmente in colpa. “Fossimo in Italia, dove sono tutti ladri, ma qui...”, mi lamento. Mi aspetto la punizione imminente di una Intelligenza Superiore che non può far passare liscia una così gratuita mancanza di rispetto.
Torniamo in albergo, la nuova stanza è molto bella. La porta d’ingresso è una grande porta tradizionale intagliata nel legno, chiusa da un antico lucchetto inciso. All’interno ci accoglie un letto gigante a baldacchino, chiuso da ampie volute di zanzariera. Si accede al bagno da una porta laterale. Questo è ricavato in un piccolo cortile alle spalle della stanza, chiuso da un muro di cinta. É all’esterno, ma la temperatura è gradevolissima e costante tutto l’anno, quindi possono permetterselo! Dall’esterno arrivano versi sempre nuovi di misteriosi animali notturni. |
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