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Giornate: 02/08/2010 - “A passeggio per Damasco”
Leggo sulla guida che ci troviamo nel quartiere cristiano di Damasco, ora mi spiego le chiese e gli istituti religiosi. Mentre ci aggiriamo attorno ad uno storico hamman, purtroppo chiuso per restauro, ci aggancia Pietro. É ingegnere, originario di un paesino vicino Tartus, si trova a Damasco per un convegno finito poco fa. Attende il pullman del pomeriggio per tornare a casa, ci ha sentito parlare ed eccolo qua a chiederci: “Ciao, vi serve aiuto? Cosa cercate?” É cristiano maronita e conosce Damasco molto bene perchè si è laureato qui. Iniziamo a passeggiare verso la Moschea degli Omayyadi. Il caldo è intenso, ci fermiamo ad ognuna delle tante fontanelle ai lati della strada. Vicoli coperti con botteghe ai lati: gallerie d’arte, alimentari, negozi di spezie, giocattoli, bar, artigiani. Tanti turisti, qualche venditore ambulante, nessun mendicante. Arriviamo nella grande piazza antistante la moschea, Pietro ci accompagna all’ingresso per i non musulmani, dove consegnano - gratuitamente - un lungo soprabito a Caterina per coprire dai capelli in giù. Soffoca, ma resiste. Tutti dobbiamo toglierci le scarpe. Abitudine meravigliosa, diffusa anche nel nord Europa e in mille altri Paesi del mondo e che vorrei esistesse anche in Italia. Entriamo nella moschea. É immensa, decorata con splendidi mosaici brillanti di mille colori. La grande spianata interna è vissuta come spazio comune, c’è chi riposa o dorme all’ombra, le coppie si fotografano a vicenda, i bambini si rincorrono giocando. Pur essendo all’interno di un edificio religioso ed altamente simbolico, la gente del luogo lo vive come uno spazio comune, inserito nella vita quotidiana della gente. L’interno è più tranquillo e silenzioso, ma comunque non si respira quell’aria da tomba scoperchiata che si ritrova in tante chiese italiane. Una grande cappella all’interno della immensa navata racchiude il sepolcro di San Giovanni Battista. Chiacchieriamo ancora con Pietro, poi usciamo - pur restando nel complesso della moschea - per visitare la tomba di Saladino. Quello che, almeno in Italia, è conosciuto come “il Feroce Saladino”, qui è visto come un eroe che ha resistito e onorato le popolazioni locali in risposta alle invasioni dei soldati crociati arrivati dall’Europa. Usciamo dalla moschea e ci salutiamo con Pietro, che inizia il suo rientro a casa. Mi accorgo che in questa parte di città ci sono molte più donne coperte, quasi tutte. Nel quartiere cristiano, invece, la situazione è opposta: quasi tutte scoperte e qualcuna velata. Entriamo in un caffè per rinfrescarci con una specialità del posto: spremuta di limone fresco e menta sminuzzata. Dissetante e fresco, anche se quella col caldo è una lotta persa in partenza! Ci immergiamo nel suq. L’ingresso di fronte alla Moschea degli Omayyadi è il più spettacolare che abbia mai visto. Entriamo nel suq attraverso un antico colonnato, fiancheggiati da altre scenografiche rovine. L’interno è ampio, come una larga galleria dalla volta altissima e coperta, per evitare il sole e cercare di far circolare più aria possibile. Magnificenza di merci, colori, profumi. Caos di persone, flusso vitale che scorre nelle arterie del mercato, autentico cuore della città. Organismo vivente. Andiamo nella mitica gelateria Bakdash. Decine e decine di clienti ammassati, ordinazioni che si incrociano sopra le nostre teste, commessi indaffarati che strappano con le mani palle di gelato, la sbattono su larghi coni che rigirano e immergono in una vaschetta colma di pistacchi, anacardi ed altra frutta fresca in scaglie. Buonissimo, il gelato è di semolino, più leggero dei nostri. Compriamo un sacchetto dei rinomati pistacchi siriani, nella variante non salata. Il pomeriggio è quasi finito, per tornare in albergo facciamo un lungo giro. Nell’ennesimo vicolo che attraversiamo, passiamo di fronte ad un hamman. Ci fermiamo a chiedere informazioni. Scopriamo che è uno dei più antichi della città ed effettivamente l’interno è meraviglioso e sontuoso. Purtroppo è per soli uomini. Ci facciamo indicare il gemello riservato alle donne, è poco distante da dove ci troviamo. Ci rituffiamo nel caos dei vicoli, supero un camioncino che vende memorabilia del Presidente Bashar al-Asad. Non lo conosco, non ho mai letto nulla su di lui, ma per il modo ossessivo in cui appare ovunque, non penso sia un gran liberale. Finalmente troviamo l’hamman femminile. La porta non solo è chiusa (mentre quello degli uomini aveva il portoncino spalancato e lasciava ammirare dalla strada la sua antica, meravigliosa struttura), ma è anche occultata da una tenda di plastica simile a quelle da doccia, orribile. “Vai, ti aspetto qui, tanto figurati se mi fanno entrare”, dico a Caterina mentre vado a sedermi su un gradino poco oltre. Suona e rimane in attesa un po’ di tempo, prima che qualcuno venga ad aprirla. “Qualcuno” che ovviamente non si intravede nemmeno. Caterina viene inghiottita all’interno, io resto fuori a guardarmi intorno. Proprio davanti a me un ragazzino che non sembra avere più di dodici anni, lava accuratamente e pazientemente la strada di fronte ad un piccolo negozio di alimentari. Una secchiata alla volta, bagna l’asfalto e poi lo gratta e lo spazza con uno scopettone. Il negozio lo gestisce da solo, almeno in questo momento e risponde prontamente alle persone che, passando alla spicciolata, lo salutano o gli chiedono qualche merce. Dopo parecchi minuti, Caterina riemerge dal portoncino. Mi racconta l’interno e i servizi che offre, forse ci veniamo domani, io nel maschile e lei nel femminile. Torniamo verso Bab Touma. Ci lasciamo o meglio, mi lascio tentare da delle frittelline dagli ingredienti ignoti in vendita in una baracca che sembra più un’officina che una friggitoria, da quanto è sporca e lurida, dalle pareti nere. Ma questi posti mi attirano e non mi lascio impressionare. Il fatto è che al gusto, purtroppo, non sono granchè, anzi. Tutto è rotto, sbrecciato, arrugginito, cadente. L’asfalto, i tombini, i marciapiedi, i palazzi, le auto. Sembra che non ci sia una amministrazione comunale che curi le parti pubbliche. Poco prima della nostra meta, Caterina entra in un negozio di scarpe, c’è un modello in vetrina che le piace. Purtroppo non c’è del suo numero, in ogni caso approfittiamo per un paio di minuti sia delle poltroncine che, soprattutto, dell’aria condizionata! Proprio verso la fine, Caterina si stufa di camminare nella strada principale e vuole tagliare dall’interno. Ci ritroviamo nel giro di pochi metri sull’argine di un torrente secco, senza case intorno. Sembra di stare in campagna. Chiediamo la direzione a dei bambini che giocano in strada. Finalmente arriviamo a Bab Touma. Succo di frutta spremuto fresco in quello che ho già eletto come mio fornitore ufficiale. Per meno di un euro spreme davanti ai miei occhi frutti di gelso freschi, melone e altra frutta che non riesco a vedere. Semplicemente meraviglioso, altro che problema dell’alcol che non si può bere! Con questo caldo non ti viene nemmeno la voglia, solo acqua o succhi freschi per reintegrare liquidi e vitamine! Ci rifugiamo in albergo per una pennichella di un’oretta. Usciamo per l’ora di cena, a caccia del ristorante Naray, descrittoci come fantastico da amici di amici. Vicoli del quartiere cristiano, ragazze e ragazzi vestiti all’occidentale, classico struscio serale tra auto con musica ad alto volume e gruppi di ragazzi fermi in strada a ridere e scherzare. Ci fermiamo in una piccola piazza con alcuni reperti archeologici attorniati da graziose aiuole. In mezzo a queste è seduto un signore. “Posso aiutarvi?” chiede gentilmente, con un sorriso benevolo non appena si accorge che ci stiamo guardando intorno cercando qualcosa. “Sì, stiamo cercando il ristorante Naray!” “Eccolo là di fronte!” “Ah, grazie!” e gli rivolgiamo a nostra volta un gran sorriso. “Però, se posso consigliarvi, è buono, ma costa molto, molto di più di quello che vale!” “Ah, buono a sapersi! E dove ci consiglia allora?”
Dopo questo scambio di battute, ci conosciamo. Si chiama Elias, “di religione greco - ortodossa” come tiene subito a precisare mostrandoci la “sua” chiesa al di là della piazza. Parla un ottimo francese e un buon inglese. Lo salutiamo e, ovviamente, decidiamo di fidarci seguendo il suo consiglio. Giriamo nel vicolo e troviamo dopo pochi passi il posto. É bellissimo, ricavato all’interno di una casa tradizionale ossia i tavoli sono sistemati nel grande patio centrale. Le alte pareti che lo racchiudono sono decorate, scolpite e dipinte in tipico stile tradizionale orientale islamico. Le scale in pietra e le cornici in bassorilievo delle finestre a movimentarne le facciate.
“Vuoi mangiare con noi?” “No grazie, ho già cenato!” Ci facciamo spiegare gli ingredienti delle varie pietanze e, quando non capiamo, ci facciamo aiutare dal cameriere. Alla fine riempiamo il tavolo. Come si dice, “gli occhi sono più grandi della bocca”! La cena scorre piacevole, chiacchieriamo della Siria, dell’Italia e del mondo. Al centro del cortile si trova un piccolo palco con due suonatori che allietano con musiche e ritmi orientali. Fantastico. Dopo una mezz’oretta arriva il clou della serata. Le luci si abbassano e fa il suo ingresso trionfale un “tecno-derviscio”. In pratica è un ragazzo con una doppia gonna multicolore che si sfila e rotea in mille direzioni. Rimango a bocca aperta per lo stupore quando spengono tutte le luci e le gonne del danzatore si accendono di mille colori che piroettano nell’oscurità seguendo le sue acrobazie! Stupendo, non ho mai visto nulla di simile. Finita la cena, non abbiamo voglia di andare a dormire. “Elias, conosci un posto dove possiamo ascoltare ancora un po’ di musica?” “Venite con me!” ci dice con aria complice. Torniamo nella piazzetta dove ci siamo incrociati, la attraversiamo da parte a parte (passando di fronte al ristorante che cercavamo, lo osserviamo all’interno ma non c’è proprio paragone, fighetto e fasullo, sicuramente abbiamo mangiato meglio, speso meno e divertito di più!) e ci rituffiamo nei vicoli al di là della piazza.
Seconda opzione, un bar di nuovo ospitato in un edificio storico ancora più bello del ristorante di poco fa. Prendiamo un limone e menta ed un vassoio di anguria fresca. Questa non è granchè, molle e insapore. Elias lo fa presente in modo plateale al cameriere, che si scusa. Chiacchieriamo ancora, poi usciamo, inizia a farsi tardi. Spieghiamo ad Elias dove dormiamo. Ci accompagna attraverso vicoli deserti, lontani dal caos delle arterie principali del quartiere cristiano. In pochi minuti siamo a Bab Touma. Salutiamo con affetto Elias che si allontana nel fresco della notte. Solo oggi abbiamo incontrato due personaggi singolari, come al nostro solito! Chissà i prossimi giorni! É l’una e mezzo, ci addormentiamo alle due. 03/08/2010 - “L’indecisione fatta coppia”
Usciamo senza comprare nulla, peccato! Proseguiamo la passeggiata ed entriamo nella corte che ospitava una medrasa. Anche qui, tutte botteghe artigiane e di souvenir.
Continua a fare caldo, anche se meno intenso rispetto ai giorni scorsi. Il cielo è nuvoloso.
Arrivano via sms le notizie dei combattimenti nel sud del Libano e dell’attentato ad Aqaba, in Giordania. Per il momento non abbiamo deciso cosa fare nei prossimi giorni, ma siamo tranquilli. Usciamo torniamo sulla Via Recta, tra resti di colonne romane a segnare il tracciato. Proviamo a visitare un’antica casa damascena, ma è chiusa. Oggi non è giornata. Ci infiliamo in un hotel de charme. Dall’esterno, sia il quartiere che l’edificio vero e proprio non sono nulla di particolare, anzi. L’interno, invece, è sontuoso come solo gli orientali riescono ad essere e, cosa ancor più fantastica, il patio centrale è occupato da una grande, azzurra, seducente piscina! Purtroppo costa 255 dollari a notte, non ci sfiora nemmeno l’idea e torniamo fuori, nelle strade polverose. Torniamo nel bar di ieri sera, l’ultimo dove ci aveva portato Elias. Proviamo a decidere il giro della vacanza. Dopo mille ripensamenti abbassiamo le pretese. Almeno il piano per i prossimi giorni! Nulla, non riusciamo a decidere se domani andiamo verso la Giordania o il Libano, se passiamo la frontiera o restiamo ancora in Siria. Passiamo due ore senza riuscire a decidere se andare a Petra oppure no, se visitare anche il Libano o saltarlo. Non riusciamo nemmeno a decidere dove andare prima e dove dopo. Negli ultimi anni sto pianificando sempre meno, ma ora si esagera! Decidiamo di capire meglio com’è la situazione in Giordania e in Libano. Andiamo in un Internet Cafè. Il ragazzo che lo gestisce mette i 99 Posse, gli Almamegretta, i Modena City Ramblers e altri gruppi italiani e, da come si rivolge ad una cliente italiana, sento che parla anche discretamente bene la nostra lingua. Leggo degli scontri nel sud del Libano, la domanda su “dove andare?” si fa più pressante. Ci orientiamo per tagliare Petra, troppo a sud, lontana, troppo caldo, ma non siamo convinti al 100%.
“Gelato da Bakhdash?” “Siiiì!” Torniamo nella meraviglia del suq, gelato, nuovo bagno di folla. Il pomeriggio sta terminando, iniziamo a pensare alla cena. Ci arrampichiamo sulla bella terrazza del ristorante Leila’s, con una splendida vista sulla grande moschea e sul centro storico, ma dopo l’esperienza di ieri sera non ci convince, troppo turistico! Ci fermiamo nel bar vicino alla Moschea degli Omayyadi. A quest’ora, secondo la guida, dovrebbe esserci il vecchio cantastorie. Entriamo nel locale e, a parte un paio di turisti oltre a noi, c’è solo gente del posto che ascolta, chi più attentamente, chi meno, un anziano nella tradizionale lunga veste bianca ed un fez rosso in testa, che parla e declama dall’alto di una specie di trono. A giudicare dalle reazioni, sembrano storie divertenti. Ad un certo punto entra un uomo con vistose ustioni sul corpo e numerosi tatuaggi. Ha un’aria poco raccomandabile. Sembra ubriaco, per come si muove e parla biascicato, se non fosse che gli alcolici sono vietati e, mi sembra, introvabili. Ma si sa come va il mondo, anche quello islamico. Si siede al primo tavolo vicino all’ingresso, a fianco del nostro. Inizia a parlare ad alta voce con le altre persone sedute al tavolo, a volte si rivolge a persone più lontante. Le persone sembrano conoscerlo, lo ignorano, a parte qualcuno che cerca di zittirlo quando diventa troppo molesto. Si alza, va a sedersi al tavolo sotto il trono del cantastorie. I nuovi compagni di tavolo sorridono, iniziano ad ascoltare sia lui che il cantastorie, che a sua volta sorride dicendogli qualcosa. Forse diventerà il suo erede! Per noi limonata con menta, ci godiamo la scena una ventina di minuti, poi torniamo a caccia del ristorante per la cena. Ci lasciamo convincere dall’Aldar dall’aria elegante e raffinata, che diffonde una delicata musica europea e ci rinfresca con una leggera aria condizionata. L’atmosfera è molto diversa dal posto di ieri sera, ma abbiamo voglia di un po’ di calma e tranquillità. La stanchezza cala su di noi, ma - incredibile a dirsi - dobbiamo ancora decidere dove andremo domani: Giordania? Libano? Restiamo in Siria? Iniziamo a parlarne, armati di cartina e guida. Le nostre intenzioni cambiano in continuazione. Iniziamo a parlare, i pro e i contro, cosa ci attira e cosa no, alla fine arriviamo ad una decisione: domani, Libano! Poi ci ripensiamo, rimettiamo in discussione tutto, rivediamo le tappe che avevamo buttato giù un minuto fa e, di nuovo decisi e inflessibili, decidiamo che domani andiamo in Giordania! Altro silenzio e rimuginamenti, una parola qui, un dubbio là e ributtiamo di nuovo all’aria le nuove tappe per farne di nuove. Domani, Siria del sud! E dopo? E dopo ... decideremo là! Non riusciamo a pianificare le tappe. La parte finale è l’unica sicura, visto che dovremo per forza tornare dalla Turchia. Per fortuna, mi viene da dire! Se anche il ritorno ponesse delle alternative, penso che resteremmo qui a vita, a cercare di decidere dove sia meglio passare! La cena è “soltanto” discreta. L’humus era salato, in un altro piatto e nel kebab c’era troppo limone, la melanzana era dura e piena di semi, l’anguria moscia e poco saporita. Peccato, ci aspettavamo di più, soprattutto per la bellezza del locale, rifatto secondo uno stile “moderno orientale”. Le persone del luogo forse lo sanno e lo evitano, visto che nel momento di punta nella sala c’erano sei avventori (noi inclusi), ma quasi subito siamo rimasti soltanto noi nel locale. Difatti ci rendiamo conto che stanno aspettando che ce ne andiamo per chiudere il ristorante. Paghiamo il conto e chiudiamo il “toto - destinazione” per domani, convinti anche da alcuni sms scambiati con i ragazzi del traghetto: faremo una deviazione nel sud della Siria per visitare Bosra, poi faremo tappa in Giordania, a Jerash. É buffo perchè fino a poco fa, non avevamo mai parlato di questa cittadina e men che meno di fermarci là!
Purtroppo, essendo pieno, dobbiamo accontentarci di un tavolino in seconda fila al primo piano. Sono praticamente tutti giovani, chiacchierano e ridono mangiando, bevendo e fumando la shisha. Da sotto arriva forte la musica orientale suonata e cantata da tre ragazzi. Tra il pubblico, ogni tanto si alza una ragazza ad improvvisare una danza orientale, poi torna a sedersi tra i complimenti e gli scherzi degli amici e delle altre persone. É un bel momento e ci rilassiamo con una nuova limonata con menta. Caterina ordina anche una shisha. Provo anch’io, ma nonostante il tabacco sia leggerissimo e non ci sia nemmeno la carta della sigaretta che brucia, non riesco a fumarla. Anni fa ci riuscivo ancora, ma ora non più. Da un lato sono contento, perchè significa che sono riuscito a debellare bene il fumo dal mio organismo. Dall’altro lato un po’ mi spiace perchè mi piace molto la shisha e avrei voluto farmela, una fumatina. Restiamo fino all’una di notte, poi torniamo in albergo e sistemiamo i bagagli fino alle due. Doccia e poi notte. 04/08/2010 - “Nel teatro-fortezza”
Uno degli aspetti “rilassanti” di girare con una guida del posto è che, oltre a farsi spiegare tutto, si è anche immuni da tutti gli altri venditori ambulanti e fissi. La guida è una specie di lasciapassare che ti esonera dal dover ripetere in continuazione “no, grazie!”, “no, l’ho comprato proprio ieri!”, “no, non mi serve!” e via così. Il ragazzo ci racconta la storia dei luoghi mentre ci scarrozza, nel vero senso della parola, attraverso essi. La parte antica è molto estesa, è una vera città morta con qualche abitazione ancora utilizzata all’interno, ma il grosso della “nuova Bosra” è fuori da questo cerchio in rovina. Le strade sono pavimentate con lastroni di pietra lavica levigati dal tempo. Anche le costruzioni sono di pietra lavica e vedere tutto questo nero, sotto a questo sole, fa sudare anche la mente che prova ad immaginare di trovarsi dentro una delle case che vediamo adesso, sotto al sole delle due del pomeriggio. L’ora peggiore per andare in giro a passeggio, in Siria, in agosto. Chiese in rovina, case, ma anche alberi di fico da cui il ragazzo stacca dei frutti al volo e ce li passa. Incrociamo alcune volte un ragazzo giapponese solitario. Ne ho visti diversi negli ultimi anni. Ancora ricordo la ragazza giapponese che viaggiava da sola, al posto di frontiera tra l’Uzbekistan e il Turkmenistan. Era una dogana secondaria, la usammo come scorciatoia andando via da Khiva. La trova seduta su uno scalino della frontiera turkmena. Aveva concluso il purgatorio dei documenti, timbri e permessi ed era lì, seduta su uno scalino. “Ciao!”, le dico. “Ciao!”, risponde. “Aspetti qualcuno?” “Sì, sono appena entrata, devo andare nella prima città, ma qui non ci sono mezzi pubblici. Aspetto che qualcuno mi dia un passaggio.” Una risposta semplice per un viaggio complesso: donna sola che non parla russo, in Turkmenistan. Anno Domini, 2001. Il ragazzo del carretto gli urla dietro, poi si gira ed esclama: “Non mi sono simpatici i giapponesi, credono di sapere sempre tutto!” Non sono certo gli unici ... Ci porta su un lato della zona principale delle rovine. Visitiamo una moschea. Ci segnala le colonne: “Alcune sono del posto, ma altre sono state portate via da Palmira”, ci spiega. Queste ultime sono distinguibili senza fatica, rosa e finemente lavorate al contrario delle altre, scure e dalle linee essenziali. Ci arrampichiamo sulle rovine di fronte alla moschea: “Qui c’erano i bagni termali!”
Torniamo sul carretto a completare il giro e tornare nella piazza dove ci siamo incontrati, di fronte al teatro. Prima di visitare questo, finiamo il giro delle rovine della parte romana, dall’altro lato rispetto a dov’eravamo pochi minuti fa. Prima di reimmergermi tra i colonnati, mi concedo una spremuta fresca di melograni. Mi è entrata nel cuore da quando siamo andati ad Istanbul un dicembre di qualche anno fa, sulla strada si trovavano molti banchetti e botteghe che le offrivano. Ovviamente, agosto non è la stagione dei melograni e la spremuta è anemica, aspra quasi come limone, ma il ricordo aiuta a migliorare il sapore. Ci aggiriamo in quasi completa solitudine, vista anche l’ora infelice - le 14 - per il caldo intenso, tra le alte colonne che si stagliano nel cielo azzurro e le rovine attorno a noi.
Entriamo in quella che sembra una fortezza, percorriamo lunghi corridoi interni, dai soffitti tanto alti da perdersi nell’oscurità. Saliamo un paio di scale ed usciamo dagli spalti più alti del teatro. É impressionante. Osserviamo il palco dall’alto, nella sua ricca scenografia di colonne e fregi incastonati nelle mura massicce che lo racchiudono. Ricorda una conchiglia marina: l’esterno duro e inattaccabile a proteggere e l’interno che racconta meraviglie. Per di più, ci colpisce l’inimmaginabile. Le parti coperte del teatro, costruito interamente in basalto, sono freschissime! Per lo meno la sensazione è quella, rispetto ai 50 gradi esterni. Mi sdraio sulla nuda pietra e scarico la stanchezza chiudendo gli occhi per qualche minuto. Assaporiamo l’atmosfera, lavoriamo di fantasia sul passato meraviglioso di questa struttura e delle persone che l’hanno costruito e vissuto in prima persona, poi iniziamo a scendere. Stavolta dagli spalti, non più attraverso i corridoi interni. Il teatro è in condizioni eccellenti, anche il palco e le scenografie che lo incorniciano sono quasi intatte, fantastico. Sbuco sul retro del palco, nuovi corridoi immensi, alti e freschi, poi siamo di nuovo all’esterno. Dobbiamo proprio partire, sono le 15:30. Salutiamo la nostra guida carrozzata che mi chiede di fare un giro su Zenik. “Mi spiace, non è mia! Di solito lascio fare, ma stavolta non posso, mi spiace!” Sembra capire una risposta così assurda e ci saluta tra mille sorrisi. Nonostante siano pochi km, meno di un centinaio, non passano mai, la frontiera con la Giordania sembra allontanarsi tra dossi di rallentamento e cittadine ingolfate di traffico. Finalmente, arriviamo. Solito caos siriano, mi innervosisco all’istante. Entriamo in un primo ufficio, poi come al solito non si capisce dove devo andare dopo. Provo in uno, poi in un altro, poi torno indietro al punto di partenza. Si degnano di indicarmi che devo andare alla Custom, in un basso edificio poco oltre. Fila di mezz’ora, ma il tipo, quando arriva a me, inizia a gesticolare e dire che manca non so cosa. Nuovi nervosismi, alla fine capisco che devo tornare indietro. Per sicurezza, pretendo un foglietto in arabo che indica esattamente cosa mi serve. Esco e riprovo per disperazione in un altro ufficio più indietro, visto che i rimanenti li ho già provati tutti. Trovo un giovane militare che fortunatamente parla un minimo di inglese, che mi dice che devo tornare al primo ufficio!! Non ci vedo più dalla rabbia, sono andato in quello stanzino pulcioso già tre volte! Intimo al ragazzo di accompagnarmi, anche se non vorrebbe. Esce, andiamo insieme al primo ufficio. Il ragazzo spiega ai due imbecilli cosa mi serve, quelli con un sorriso della serie: “Eh ma stai calmo, quanto sei agitato!” Mi danno due foglietti da 500 lire l’uno, che pago e poi me ne passano un altro, l’ennesimo, strappato da un blocco di carta e siglato con non so quale scritta in arabo. Li insulto a dovere: “Ma quando ero venuto qua prima, non lo sapevate che dovevate darmi questi fogli??” Allargano le braccia. Chiaramente si fa strada in me il dubbio paranoico che in realtà avevano ragione loro, non serviva nessun foglietto e in realtà è il funzionario successivo che ha voluto farmi pagare una tassa inutile che intascheranno a fine giornata. Torno nell’ufficio Custom, stavolta tutto ok. Passo il libretto, anche stavolta mi introduco con metà del corpo nello sportello per piegare il libretto della moto nascondendo il nome di Zeno e indicando via via i dati che cerca: targa, telaio e poco altro. Alla fine impieghiamo un’ora scarsa per uscire, ma estremamente irritanti. Anche stavolta, incredibilmente, nessun problema con i documenti! La frontiera giordana è molto migliore, più lineare, almeno rispetto al casino siriano. Pago 20 euro di assicurazione, 20 euro di tasse doganali, 10 euro per il visto, che non avevamo dall'Italia e in poco più di un’ora abbiamo passato anche questa. Siamo in Giordania!! Non so se è solo psicologia, ma cambia anche il clima, meno caldo opprimente. Di sicuro cambia sia il paesaggio, meno monotono, con qualche albero e anche le condizioni delle strade e dei paesini che incrociamo, meno poveri della Siria. Iniziamo ad arrampicarci su delle basse montagne, punteggiati addirittura da piccoli boschi. Il verde, dopo tante tonalità intense di marrone, colpisce come può farlo una sorgente d’acqua nel deserto. Consola l’occhio, lo rinfresca, lo rincuora. Arriviamo a Jerash sul finire del giorno. Abbiamo appuntamento all’Adrian Gate che, dopo un po’ di deviazioni per lavori in corso, riusciamo a trovare. Siamo a due passi dal sito archeologico. Bene! Ritroviamo Stefano e Maria Laura, mentre Federico e Melania sono parecchio in ritardo. Verso le 21 decidiamo di andare a cena, li attenderemo nel ristorante. Siamo affamati! Ristorante libanese, cena abbondante. Federico arriva verso le 23! Chiacchieriamo fino all’1 di notte, ci diamo appuntamento per domattina alle 8:30. Visitiamo Jerash, poi andiamo a Petra. E dopo? Aqaba? Libano? Chissà. Intanto ci accontentiamo di aver deciso i prossimi tre giorni. Incredibilmente, all’esterno c’è un fresco notturno meraviglioso, le stanze sono afose e bollenti. |
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