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Pagina 1 (di 7)
(Partenza da Roma, Marghera, traghetto per la Siria, Tartus, Damasco)

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Pagina 2

Prima di tutto voglio ringraziare Zeno per avermi prestato la sua moto (neanche a farlo apposta una Honda CBR 600 F (!) del 1997 aka “Zenik” ;) salvando così le nostre ferie! GRAZIE!! :)

Ecco il chilometraggio di Zenik!

Contachilometri alla partenza
82.500

Contachilometri all’arrivo
88.700

Chilometri percorsi 6.200

Giornate: 
Introduzione
29 Luglio 2010 - “Partenza al cardiopalma”
30 Luglio 2010 - “L’oblio della navigazione”
31 Luglio 2010 - “Panico da documenti mancanti”
01 Agosto 2010 - “Entro in Siria!”

 Introduzione
Il 24 Luglio 2010 Nelik ha compiuto 18 anni. Circa mezz’ora dopo aver scritto una mail destinata ad alcune liste di motociclisti, viaggiatori ed amici ed aver scritto un sentito pensiero nella pagina delle Novità del sito, sono uscito per andare a fare la spesa con Caterina.
Arriviamo al supermercato e compriamo 4 buste di cibo e bevande in vista della festa che avevamo organizzato per la sera stessa.
Usciamo nel parcheggio, faccio per accendere.
Primo tentativo, a vuoto. Nessun problema, capita se non dò gas e a volte pure se dò gas, è successo milionidi volte in 18 anni.
Secondo tentativo, il motorino di avviamento fa un rumore strano, il motore è muto. Riprovo, sento solo un “clic!” dalle parti del motorino di avviamento, ma nessun segno di vita.
Ancora non mi preoccupo, è capitato a volte in passato che dei contatti elettrici dovuti alla rottura del regolatore di tensione buttassero giù la batteria da un secondo all’altro.
“Provo ad accenderla a spinta”, comunico a Caterina, sbuffando per il caldo e la scocciatura di doverla accendere come un motorino anni ’80.
Nelik si accende come un Sì, nè più nè meno. Piccola rincorsa con la seconda inserita, mollo la frizione e ... ruota inchiodata, fortuna che sono in sella e non mi sbilancio, però mi schiaccio i testicoli sul serbatoio per il blocco imprevisto.
Sono stupefatto, incredulo. Riprovo con una rincorsa più lunga, mollo la frizione, STOP! la ruota posteriore non si muove di un millimetro.
Panico.
Ansia.
Sudorazione incontrollata - e non è il caldo.
Mi sento come se un mio caro stesse male, non penso alle ferie imminenti, ma solo che Nelik mostra sintomi molto preoccupanti.
É sabato, mezzogiorno. Chiamo il mitico Valerio che si offre di trainare la moto dal meccanico.
Ma prima dobbiamo tornare a casa. Chiediamo ad una donna che esce dal supermercato, ma va dall’altra parte. Un signore, ma non può. Al terzo sono disperato.
“Salve, potrebbe darci un passaggio cortesemente, ci si è rotta la moto, abitiamo dietro la Regione”, chiedo con gli occhi imploranti ad un anziano che esce con un paio di buste in mano.
“Eh, ma io mi fermo molto prima, sto alle villette qua”, e indica col mento un punto poco oltre il limite del supermercato.
“Bè, allunga di un km e arriviamo da noi, la prego, siamo in grande difficoltà”, esclamo risolutamente mentre quasi inizio a mettere le buste nel portabagagli.
Arriviamo a casa, portiamo tutto su. Per l’ansia non riesco ad aspettare Valerio in casa, scendo in strada. Cammino per il km che mi separa dalla strada principale.
Finalmente arriva, ci precipitiamo nel supermercato, leghiamo Nelik con una corda, mi traina. Corre, forse non si rende conto, ma andiamo a 60/80 all’ora. Mi abituo in fretta, sono contento di sbrigarmi, dobbiamo arrivare prima che il meccanico chiuda per il w-e.
Poco prima dell’officina faccio un ultimo tentativo: seconda, mollo la frizione, la ruota posteriore lascia un virgolone nero a terra, tutto bloccato senza speranza.
Ci precipitiamo al bancone, racconto gli ultimi avvenimenti, ma il tipo fa:
“Eh, speriamo che riesco a vederla per martedì!”
“Ma giovedì devo partire!!”
“Ho capito...”
Risparmio il resto perchè l’ho descritto ampiamente nella pagina delle Novità del sito qui e qui:

il recupero della moto di Zeno, che fortunatamente (per me!) non poteva usarla (per motivi di lavoro) e quindi me l’ha prestata senza problemi :)
la stipula dell’assicurazione (scaduta da tempo) e l’impossibilità di fare nessun tipo di manutenzione o controllo sulla moto (“ma è tutto a posto, non preoccuparti Fà!” la rassicurazione di Zeno, ma tanto non avrei nemmeno avuto il tempo di preoccuparmi!);
il comportamento di Moscatelli, che non ha cambiato le gomme alla moto di Zeno con le mie, intonse ma lasciandomi le sue, cotte e indurite, mettendomi di fronte al fatto compiuto la sera prima della partenza, il 28 Luglio, alle 19, senza nessuna possibilità di recupero;
la serata del 28 passata a ultimare i bagagli e macerandomi nel dubbio “parto con le gomme vecchie e poi spero di riuscire a cambiarle là” e “ma ’ndo vado co’ quelle caciotte, domattina mi sveglio presto e vado a cambiarle prima di partire, dovessi perdere il traghetto!”;
la nottata tra il 28 e il 29 passata a cercare su Internet, fino alle 3 e mezzo del mattino (!): gommisti (nessuno!), club di motociclisti siriani o giordani (inesistenti!), importatori di Honda (ma va’!) o altre marche giapponesi (peggio che andar di notte!);
il risveglio ansioso dopo un insoddisfacente sonno agitato e la decisione improvvisa di cambiare le gomme all’ultimo secondo, poche ore prima della partenza;
ma qualcosa finisco di raccontarlo nel diario del primo giorno, il 29.

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29/07/2010 - “Partenza al cardiopalma”
Mi alzo alle 7:30 dopo solo 4 ore di sonno. Sono ancora indeciso se cambiare le gomme o sperare di cambiarle là.
Mi decido all’ultimo momento, chiamo Funari Gomme alle 8:30:
“Ciao, ho un problema, devo partire ma ho le gomme finite, hai nulla per un CBR 600 che monta 160/60 17 e 120/60 17?”
“Sì, non preoccuparti, vieni quando vuoi!”
“Sto uscendo”
Mi precipito, ma arrivo che già ci sono diverse persone in attesa. Per fortuna ha un occhio di riguardo e inizia subito a farla. Sono le 9:15.
Sono nervosissimo, non riesco a stare un secondo fermo, chiacchiero con un ragazzo con un Fazer, mi indica un paio di meccanici a suo avviso bravi.
Finisce, la ricevuta della carta di credito segna le 9:58. Alle 16 parte il traghetto da Marghera.
Inizio una corsa quasi senza speranza, in più ci sono le valigie morbide che continuano a scendere, non riesco a fissarle come si deve. Durante una sosta mi accorgo addirittura che la destra si è bucata sul tubo di scappamento. Vai col primo danno che dovrò rimborsare a Zeno!
I km passano, ma anche il tempo. Ovviamente non mi fermo mai, se non per fare benzina.
Verso Firenze il tempo peggiora incredibilmente, è un vero nubifragio. Mi dirà poi la mia amica Giulia che il suo ufficio si è in parte allagato e tutta la città è bloccata, un suo collega per arrivare da Modena ha impiegato 5 ore.
Dopo Bologna la situazione migliora, piove poco e il traffico è fluido. Tolgo la cerata per andare più forte. Ringrazio la mia decisione di cambiare le gomme: quelle che c’erano, vecchie di anni, vetrificate e consumate, mi avrebbero fatto ammazzare alla prima curva bagnata.
Nei pressi di Marghera sbaglio, arrivo fin dentro Venezia percorrendo il lungo ponte di ingresso. Inverto malamente e torno indietro a razzo, sfrecciando davanti alle numerose postazioni autovelox. Ho il magone pensando a quello che succederà, ma non ho il tempo di pensarci, ora il mio unico pensiero è per il traghetto.
Mi infilo a casaccio nella zona di Marghera, chiedo a un benzinaio che mi dà indicazioni dettagliate, ma complicate. In ogni caso mi dirigo verso il porto.
Panorama apocalittico: fango ovunque, montagne di container, capannoni enormi in muratura scrostati, TIR ovunque, mi sento una formica che deve evitare di venire schiacciata dagli elefanti, rotaie divelte che attraversano la strada rotta e piena di crateri, nessuno a cui chiedere informazioni, nessun cartello di indicazioni, il tempo scorre ma non voglio vedere l'orologio per non scoprire che ormai è troppo tardi.
Dopo l’ennesimo giro a vuoto trovo un uomo che sta caricando della merce su un camion. Gli chiedo del molo da dove parte la nave per la Siria.
“Di là”, risponde indicando un punto lontano, sulla destra, “ma credo che ormai sia partita, è tardi!”
“Ok, grazie!” e riparto facendo finta di non aver sentito l’ultima considerazione.
Vedo in lontananza una palazzina gialla, con un uomo coperto da una cerata gialla uscire.
“Forse è uno della Visemar”, penso mentre mi fermo a un passo da lui, che mi guarda con grande rimprovero. Sono le 15:48.
“Tu sei il motociclista da Roma!”
“Esatto!”, rispondo sforzandomi di sorridere.
“Ti stiamo cercando da mezzogiorno, dov’eri??”
“Scusate, ma c’era un traffico d’inferno, è stato terribile, la pioggia incessante, gli ingorghi, gli incidenti, ho pure sbagliato strada, non si capisce niente qui”, replico tutto d’un fiato. Mi ricordo John Belushi quando incontra la ex fidanzata nelle fogne, in uno dei pezzi più esilaranti di Blues Brothers.
“Vieni” e mi fa cenno di seguirlo.
Entro negli uffici grondando acqua. I ragazzi smanettano sui pc, lui fa:
“No, credo che ormai non facciamo più in tempo ...”
Mi cade il mondo addosso, inizio a balbettare di provare ancora, guardare meglio, quando lei si apre in un sorriso ed esclama:
“No aspetta, guarda qua!” e gli mostra non so cosa sullo schermo.
“Ok, allora sì”, si gira verso di me e mi chiede i documenti.
Gli passo libretto e assicurazione, lasciando perdere la dichiarazione fasulla o meglio non autenticata da un notaio e quindi legalmente inutile dove Zeno dichiara che mi consegna la moto per il viaggio ed io sono autorizzato a guidarla.
“Ma ... la moto non è intestata a te, giusto?” dice il primo che mi ha portato negli uffici.
“No, è di un mio amico.”
“Eh, ma serve la dichiarazione dove lui ti autorizza ...”
“Ah sì, scusa, hai ragione, corro a prenderla, un attimo!”, esclamo facendo finta di essermi ricordato all’improvviso di cosa stesse parlando.
Corro fuori, traffico nella borsa da serbatoio ed estraggo la dichiarazione. Si tratta di un testo molto semplice (“Io sottoscritto Zeno ... nato a ... documento n. ... autorizzo Fabio Bertoldi nato a ... a guidare la moto Honda CBR 600 F targata ... in Siria, Giordania e Libano nel periodo ...”, testo tradotto in arabo da un mio collega (grazie Charbel! :) e copia della carta d’identità di Zeno a chiudere il plico. Il tutto è stampato a colori, con intestazione dello studio dove lavora Zeno e scenografico timbro, sempre dello studio di Zeno, a vidimare tutte le pagine.
La guarda, la sfoglia, legge le prime righe, la chiude e sentenzia:
“Ok!”
In un attimo ho in mano la carta di imbarco e la raccomandazione:
“Corri che aspettano solo te!”
Mi salutano sorridenti, scappo verso l’ultimo pezzo sterrato. Anche il poliziotto sa chi sono, “il motociclista da Roma, l’ultimo che stiamo aspettando prima di partire”, entro nella pancia della nave, il portellone si chiude dietro di me. Come mi è capitato spesso, parcheggio il CBR tra BMW, KTM e altre moto da grandi raid africani.
Sono euforico, chiamo Caterina e Zeno urlando la mia gioia per avercela fatta contro ogni previsione. Sono fiero di me stesso, contro ogni evidenza e ragionevolezza, non ho mai mollato e ce l’ho fatta!
Mentre parlo con loro, si aprono le cateratte del cielo. Un muro d’acqua si abbatte dall’alto. Evitato per un pelo!
Guardo con calma il telefono e mi accorgo che ci sono due messaggi in segreteria. Sono della Visemar, mi stavano cercando già da mezzogiorno!
Torno alla reception, mi presento:
“Ah, tu sei ...”
“... il motociclista da Roma, esatto!”
“Ok, vediamo che cabina posso darti, si sono già sistemati tutti ... Ma tu con chi viaggi?”
“Con nessuno!”
“Come con nessuno! Mica sei da solo!”
“Sì, sono da solo!”
“In moto?!”
“Sì, perchè?”
“Non so, gli altri sono tutti in gruppo ...” e fa cenno con la testa verso la sala comune, dove ai tavolini e divanetti si riconoscono chiaramente i motociclisti dagli altri passeggeri.
“No, viaggio solo.”
“Ok, ti dò la cabina da 4 qui sopra.”
“Ma gli altri sono già dentro?”
“No, al momento sei solo e penso che ci rimarrai!”
Quasi non ci credo, questa è la più bella sorpresa degli ultimi giorni! Per risparmiare avevo preso una cabina mista da 4, come feci quando andai in Marocco e finii con 3 persone che passavano il tempo chiusi in cabina a pregare (all’andata) o a dormire (al ritorno).
Sono felicissimo, potrò passare 3 giorni di puro relax a leggere, scrivere e documentarmi in una cabina tutta per me!
Doccia, torno nella parte comune. Scopro con disappunto che i pasti non sono inclusi nel biglietto. Sono di fatto costretto a comprare un voucher che, per 64 euro, mi dà 3 cene, 3 colazioni e 2 pranzi.
Ceno sedendomi a fianco di una coppia mediorientale, non saprei se siriano, libanese, egiziano o altro. La nave raccoglie molte nazionalità. Lui è arcigno, lei gentile, si accorge che non ho il tovagliolo e me ne passa uno. Resto da solo a leggere al tavolo. Arriva il cameriere, è dell’Honduras. Scambiamo un paio di battute, lui è palesemente insoddisfatto del lavoro:
“Ho sempre lavorato sulle navi da crociera, non su navi come ...” e si guarda eloquentemente intorno, “ma ora con la crisi ... devo accettare tutto!”
“Vabbè dai, magari è meno impegnativo!”
“Mica tanto ...”
Il tempo rallenta, ripenso alle borse morbide con i vestiti dentro, sicuramente si saranno bagnati!
Vado a chiedere alla reception se posso scendere nei garage, ma devo aspettare. Il primo appuntamento alle 20 va a vuoto (“stanno tutti lavorando, non c’è nessuno che può accompagnarti di sotto!” ), idem alle 21:45.

 

 

Traghetto Venezia - Tartus

 

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Verso le 22:30 vado a dormire, sono stanchissimo. Poco dopo le 23 sento bussare alla porta. É il marinaio che può finalmente accompagnarmi di sotto. Mi vesto, scendo.
L’acqua è filtrata un po’ ovunque, i vestiti nei sacchetti di plastica sono abbastanza asciutti, ma quelli nelle sacche di cotone sono zuppi. Stendo tutta la biancheria sfruttando ogni centimetro della cabina. Se qualcuno la vedesse adesso, chissà cosa penserebbe: reggiseni e mutandine di Caterina fanno bella mostra di sè accanto alle mie mutande e l’altra biancheria.
Lei aveva impegni a Benevento e mi raggiungerà in aereo a Damasco, ma tutti i suoi bagagli li porto io in moto.
Finalmente posso addormentarmi, è passata da poco mezzanotte.

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30/07/2010 - “L’oblio della navigazione”
Mi sveglio alle 6:30 ma dormicchio fino alle 8. Scopro che anche i pantaloni arancioni che avevo portato si sono bagnati nella traversata di ieri. Li lavo e vado a fare colazione.
Esploro la nave, salgo al ponte all’ottavo piano. La nave è grande, ma un marinaio mi spiega che è quasi tutta dedicata al trasporto merci, quindi gli spazi per i passeggeri sono ridotti all’osso. Sul ponte superiore, quello dove normalmente c’è una piscinetta, il bar e decine di sdraio, in questo caso è semplicemente una spianata spazzata da un vento impetuoso, con 2 sdraio di numero ed un bar minuscolo. Impossibile starci e anche poco attraente.
Faccio la conoscenza di un egiziano che lavora a Villach. É in Austria da 24 anni, ha un numero imprecisato di figli, ogni tanto arriva un bambino che si aggrappa alle sue gambe. Approfittano delle ferie estive per tornare a casa.
I passeggeri della nave sono in buona parte persone del luogo (ossia Libano, Palestina, Giordania, Siria, Egitto) e turisti, sia italiani che stranieri. Si sentiva un grande bisogno di questa linea, speriamo che abbia successo e che aumentino le corse!
Stiamo costeggiando la costa pugliese e siccome c’è linea, chiamo i miei. Per puro caso sono a pochi metri da Moscatelli Moto. Mentre parliamo arrivano lì davanti e si fermano. Mi faccio passare il meccanico.
“Ciao, cortesemente rimonti tutto perchè oggi pomeriggio passano mio padre e mio fratello per riprendere la moto”
“Va bene.”
Sembra tutto ok, speriamo!
[NdA scoprirò poi a settembre che non avevano rimesso la batteria e mio padre ha dovuto perdere un’ora abbondante per farsela restituire.]
Faccio la conoscenza di un altro ragazzo egiziano, poi di un ragazzo simpatico di Mantova, in moto anche lui (che però non mi rivolgerà più la parola evitando gli sguardi e il saluto) con un amico con cui farà un bel giro tra Siria, Giordania ed Egitto.
Ripenso alla moto, sono abbaastanza convinto di comprare il GS800, anche se il cuore batte per il nuovo CB1300!
Torno in cabina a leggere e riposare, ho molta stanchezza accumulata!
Scendo per il pranzo, dalla cabina avevo già sentito, ma ora ho la conferma, che la nave è invasa di bambini, ce ne sono a decine, che corrono, si rincorrono, piangono, chiamano e richiamano, urlano e sciamano come mosche in tutti gli spazi possibili che, essendo pochi e ridotti, includono anche i corridoi delle cabine.
Ogni tanto dalla reception provano a lanciare degli appelli ai genitori affinchè sorveglino la prole ed evitino, ad esempio, che cadano in mare mentre corrono a perdifiato sui ponti esterni, ma finora le ammonizioni non hanno sortito effetto. La persona che parla al microfono è spassosissima, è un pugliese sulla cinquantina che declama gli annunci in quattro lingue, nessuna corretta: italiano, francese, inglese ed arabo. Su quest’ultima viene spesso ripreso dai passeggeri che si trovano a transitare di fronte alla reception. Lui, sempre a microfono aperto si scusa, chiacchiera con le persone a microfono aperto e ritenta l’annuncio. Nuova correzione, altro scambio di battute e nuovo tentativo. Sempre a microfono aperto. In pratica una sorta di teatro navigante. L’arabo purtroppo non lo capisco, ma dai commenti che riceve sembra che sia particolarmente cattivo. Di sicuro il francese e l’inglese sono atroci e anche l’italiano lascia molto a desiderare. Ma fa fare a tutti talmente tante risate che sicuramente senza di lui il viaggio sarebbe interminabile.
La sala da pranzo non fa eccezione e mi ritrovo al tavolo con una coppia ed il loro bambino indemoniato, che strilla strepita piange senza che, apparentemente, si possa far nulla per farlo smettere.
Alterno sonnellini in cabina a brevi giri nei pochi e piccoli spazi comuni.
Scrivo poi inizio (finalmente!) ad esaminare la cartina per pianificare il giro. Purtroppo l’incognita dell’ingresso in Siria e Libano, dovuta alla moto intestata a Zeno senza avere una dichiarazione autenticata dal notaio, non mi aiuta mentalmente.
Inizio a leggere le informazioni che ieri ho stampato fino a notte fonda, posizionando i luoghi sulla cartina visto che finora non avevo davvero idea nè dei luoghi nè delle distanze nè delle posizioni.
Il pomeriggio trascorre lentamente tra cartine e letture.
Faccio la conoscenza di Ahmed, un ragazzo di Beirut e di sua moglie, di Hockenheim. Lei è estremamente annoiata dalla nave, “tempo perso!”, mi ricorda l’impazienza di Caterina. Penso al contrasto con la mia amica Giulia, che proprio stamattina mi ha espresso la sua bonaria invidia, su di me per il viaggio in nave, che le è sempre piaciuto e su di noi, me e Caterina, per il viaggio che stiamo per fare.
Magicamente il tempo scorre, si fa ora di cena. Solito annuncio urlato ai microfoni, “Tra dieci minuti il “selF serviS” chiude!”
Mi precipito di sotto, ceno con Melania e Federico. Simpatici anche loro, della provincia di Milano, ma vivono nella metropoli soffrendola un po’. Finiamo per parlare delle moto e del giro, poi della mia odissea per arrivare alla nave. Poi affrontiamo il tema dei documenti:
“Ce l’hai la delega del proprietario della moto?”
“No!”
“Ah! E il libretto di circolazione internazionale?”
“Cosa??”
“Il visto libanese?”
“No ...”
“E il Carnet des Passages??”
“Nemmeno.”
Mi rivolge uno sguardo che cerca di capire se sono pazzo, scemo o se lo sto prendendo in giro.
Finiamo di mangiare e scatta la battuta:
“Dai, adesso dove andiamo di bello?”
Ci spostiamo di un metro, zona tavolini. Scopro che lui è esperto di sicurezza informatica e lei lavora alla promozione dell’editoria digitale. Hanno un mese di tempo. Che bello!!
Li saluto, torno in cabina. Ho già accumulato tre bottigliette d’acqua, mentre ne travaso una, il tappo finisce nel lavandino, tappandolo alla perfezione. Scendo alla reception a chiedere aiuto, solito rinvio a “più tardi, ora i marinai sono tutti impegnati!”.
Come ieri sera, finisco per addormentarmi, quando verso le 23:45 bussano con decisione alla porta. É il tipo della reception che mi porge un paio di lunghissime pinze e se ne va. Tra una storia e l’altra anche stanotte vado a dormire dopo mezzanotte, molto dopo quello che avrei voluto. In ogni caso mi sto riposando e godendo la navigazione, vero stacco dalla frenesia e dallo stress lavorativo e cittadino.

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31/07/2010 - “Panico da documenti mancanti”
Riprendo a leggere appena sveglio. Finisco l’ennesimo capitolo de “I sette pilastri della saggezza”. Contemporaneamente decido di iniziare “I baroni di Aleppo”. Sicuramente lo finirò in tempo per quando arriveremo ad Aleppo e potrò godermi in pieno le sue descrizioni. Poi, potrò riprendere con il titanico libro di Lawrence d’Arabia.
Faccio colazione, ma torno subito in cabina. L’assenza di spazi comuni tranquilli o anche solo di lettini sui ponti esterni, è pesante e alla fine la cabina - e ringrazio di nuovo il Fato che mi ha concesso di restare da solo nei tre giorni di navigazione - è l’unico posto dove mi rifugio volentieri.
Leggo, dormo, leggo, dormo. Mi viene da dire: questa sì che è vita! Si fa ora di pranzo.
Mangio - e ovviamente leggo - poi a fine pasto mi unisco ad un gruppo di italiani: Federico e Melania che già conosco, altre due coppie di motociclisti e dopo qualche minuto ci raggiunge anche la coppia del mezzo anfibio.
Chiacchieriamo di viaggi, anche quando ci chiedono di spostarci nella sala a fianco perchè devono pulire e chiudere la mensa. Di viaggi e motociclisti un po’ folli, uno cita Goldwing, il soprannome poco originale di uno che su una Goldwing ha fatto e continua a fare viaggi lunghissimi in tempi brevissimi. Federico di rimando esclama:
“Bè c’è un certo Nelik che con un CBR 600 ...”
Gli muoiono le parole in bocca quando faccio un cenno della mano ed esclamo:
“Ehm, eccomi qua, piacere!” e sorrido perchè la situazione è buffissima.
Mi guarda incredulo e mi racconta quando ci siamo visti, anni fa ad un incontro di 2000 Moto con il quale avevo collaborato nella mia vita precedente. Purtroppo non ricordo, c’era molta gente.
Chiacchieriamo ancora, poi torno in cabina a, nemmeno a dirlo, leggere un po’ e schiacciare un pisolino.
Torno nella sala comune per continuare ad abbozzare l’itinerario di viaggio. Riprendo in mano anche la dichiarazione priva di valore che attesta che Zeno mi autorizza ad usare la moto, blablabla.

 

Autorizzazione di utilizzo della moto

 

Con questa sì che sto tranquillo!
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Mi torna in mente la procedura imparata quando ho lavorato come scrutatore. Chiedo alla reception una spillatrice, piego l’angolo in alto a sinistra del plico di fogli (la versione in italiano, quella in arabo tradotta dal mio collega, le fotocopie del documento di Zeno e quello della moto), lo spillo e lo siglo - in modo da potersi accorgere se uno, in un secondo momento, apre il plico per sostituire dei fogli. Siglo anche tutti i timbri apposti da Zeno su ogni foglio, altra tecnica da scrutatore.
Passano le ore ed aumenta l’ansia per l’ingresso in Siria. Mi faranno passare con questa dichiarazione farlocca e senza Carnet?

 

 

Bozze di itinerari di viaggio

 

Idee tante e ben confuse
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Abbozzo altri due itinerari, un po’ meno Siria qui, più Libano là, mentre la Giordania rimane in secondo piano, con la sola Petra oppure sparisce del tutto per lasciare più spazio ai due Paesi precedenti. Gli itinerari rimangono però sempre incompleti per qualche giorno, non riesco a definire tutte le tappe con precisione. Dovremo tagliare qualche deviazione, anche se ho già tagliato tanto. Dovrò parlarne con Caterina.
Ceno con Federico e Melania e altri due signori. Dopo cena chiacchieriamo con il commissario ed il responsabile del personale. Ci dicono che questa nuova linea Italia - Siria - Egitto ha principalmente scopi commerciali (si potrebbe parafrasare il famoso proverbio con “non si muove foglia che il dio Denaro non voglia”!) per importare verdura dall’Egitto (!!). Rimango senza parole, ma non commento. Il commercio però non è ancora attivato e quindi sul traghetto sono presenti solo passeggeri (pochi) e merci (pochissimi: venti TIR a fronte di 270 posti disponibili.
Al gruppo del dopo cena si uniscono altre persone, mi lascio sfuggire il documento e me ne pento in un istante. Finisce in mano ad un signore siriano sulla sessantina seduto proprio di fronte a me, all’altro capo del tavolo.
Come in una scenografia ben studiata, improvvisamente cala il silenzio e tutti gli sguardi si rivolgono a lui. Inforca gli occhiali, lo sfoglia, lo legge attentamente, lo gira e lo rigira tra le mani. Poi scuote la testa, poggia il plico sul tavolo, alza gli occhi ed esclama, in perfetto italiano:
“Ma non è valido! Cos’è questo??”
Mi arriva una botta di tensione al cervello e una vampata al cuore. L’ansia latente da giorni si materializza di colpo. Non rispondo nulla, abbozzo solo un mezzo sorriso.
“Vedrai, non ti faranno nemmeno uscire dal porto!” mi dice allungandomi il plico.
La mia superstizione mi spinge a darmi dell’imbecille per aver mostrato il documento a tutti. Mi sembra come se l’aver svelato il trucco che avevo in serbo per la dogana siriana in realtà l’abbia svelato al mondo intero, rendendo chiaro a tutti che è un falso clamoroso. La mia paranoia inizia anche a tratteggiare scenari polizieschi in cui il siriano è una spia che appena scenderà dalla nave andrà a denunciarmi.
I motociclisti della tavolata fanno a gara a tranquillizzarmi, di non preoccuparmi, che mi aiuteranno, passerò dietro di loro che hanno tutta la documentazione possibile e immaginabile. Ma ormai il timore forte e fondato che avevo da giorni si è materializzato ed il tipo ha esclamato a voce alta quello che non osavo nemmeno dire a me stesso: NON - MI - FARANNO - USCIRE - DAL - PORTO!
Penso a delle soluzioni alternative, ad esempio lasciare la moto nel porto, affittare un’auto, girare la Siria con quella e poi tornare di nuovo via nave in Italia. Non so, torno nuovamente nello stato mentale del “non ci penso, il problema non esiste”.
Torno in cabina alle 22:45 e chiudo i bagagli. Lo sapevo che i tre giorni di nave sarebbero volati. Domani la sveglia dovrebbe essere alle 7.
Leggo e rileggo la procedura di sbarco dal depliant preso alla reception. É complicatissima! Sette passaggi da fare tra controllo passaporto, voucher, documenti del veicolo, fotocopie, tasse, ecc.
Mi addormento alle 23:30.

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01/08/2010 - “Entro in Siria!”
Mi sveglio alle 5:45 zuppo di sudore nonostante l’aria condizionata.
Ho addosso un’ansia incredibile per i documenti. Il siriano di ieri sera mi ha aperto improvvisamente gli occhi sulla mia situazione: sono da solo, con una moto potenzialmente non trasportabile al di fuori del porto di Tartus, con ritorni scomodissimi per l’Italia e, nel caso di problemi irrisolvibili, poche ore di tempo per avvisare Caterina di non prendere l’aereo per Damasco.
Ormai sono in un vicolo cieco e dovrò tentare tutte le strade possibili per uscire. Penso all’ambasciata, al consolato, ai soldi, a ore e ore di piagnistei e a tutto quello che ho imparato in anni di viaggi (che in realtà è ben poco visto che mi trovo spesso e volentieri nei casini!).
Mi rotolo nel letto fino alle 7:30 poi doccia, barba (voglio almeno presentarmi al meglio ai doganieri!).
Vado a fare colazione, svuoto la cabina, compilo i primi moduli seduto ad un tavolino nella sala comune, scherzo con Federico sulla mia situazione.

 

Patente internazionale

 

Patente scaduta?
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Mentre compilo i documenti mi accorgo che anche la patente internazionale è scaduta! Da dieci giorni! Sono fritto.
Federico ormai si diverte alla grande, va a caccia di un altro timbro rotondo come quello di Zeno (“quelli rotondi sono i migliori come effetto, ma anche uno quadrato va bene!”), ma non trovando nulla pensa bene di scarabocchiare un rinnovo fino al 2013.

 

 

Patente internazionale

 

No problem!
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“Ma per non rischiare lo scrivo sul retro di copertina!”, mi rassicura ridendo.
Eh sì, ora son molto più tranquillo ...
Attracchiamo alle 9:30, ma sbarchiamo un’ora dopo per i soliti controlli preventivi. Scendo dalla nave, mi avvio da solo verso l’ufficio doganale. Fa caldissimo e c’è un’umidità incredibile. Nessun cartello, vago a caso nella struttura immensa del porto, ma la strada è a grandi linee obbligata.
Ritrovo tutti nell’edificio basso che funge da dogana. É uno stanzone quadrato con una miriade di sportelli numerati. Gli sportelli iniziali hanno code più o meno lunghe. Quelli che verranno per ultimi sono ancora vuoti, con gli addetti che chiacchierano e fumano.
C’è un caos incredibile, rumore, caldo, voci, gente che si incrocia in ogni direzione, ragazzi con plichi di documenti svolazzanti tra le mani che si precipitano prima ad uno sportello per poi correre indietro quando si accorgono di aver capito male o che manca ancora qualcosa.
Mi metto in fila con alcuni ragazzi per uno sportello, ma dopo una ventina di minuti mi accorgo che non è giusto, che prima sarei dovuto andare da un’altra parte, ad un tavolo senza alcun numero ma che pare essere fondamentale. Gli altri motociclisti, essendo tutti in coppia, riescono a guadagnare un po’ di tempo dividendosi, ma io non ho alternative, dovrò fare tutte le file dall’inizio alla fine.
Mi sgancio dalla fila dove sono stato finora e mi accodo o meglio mi ammasso nel grumo di persone che ha inglobato un tavolo dietro al quale tre ufficiali chiedono, con molta flemma, i documenti della moto.
Credo di capire che questo sia il tavolo dove si controllano i Carnet des Passages, ma non ne sono sicuro perchè, dopo una attesa di oltre quaranta minuti non mi chiedono un bel nulla se non quanto penso di restare in Siria e, alla mia risposta, mi consegnano un foglietto con il quale andare allo sportello bancario.
Altra attesa infinita, inizio ad innervosirmi, ma alla fine faccio anche questo. Mi chiedono 90 euro e mi consegnano un plico di bancononte ed una busta chiusa.
Altro sportello, ma per fortuna un ragazzo in fila mi dice che devo tornare al primo tavolo e farmi dare una ricevuta.
Torno, mostro la ricevuta dello sportello bancario e mi danno una ricevuta.
Torno allo sportello successivo. Altra fila, altro foglietto di carta di ricevuta. Nuova fila, altra lunga attesa, altro foglietto.
Pare che qui chiedano il libretto della moto. Sono molto teso. Arriva il mio turno. Il tipo, seduto su una sedia bassa con alle spalle un ragazzetto che sembra stia imparando il mestiere, alza la testa e mi chiede il libretto.
Glielo passo piegandolo in modo che il nome del proprietario non si veda. Tremo e prego. Il tipo punta diretto al numero di targa, già sa dov’è scritto. Poi inizia a cercare con gli occhi, fa scorrere il dito su e giù per il libretto. Tremo di nuovo, forse cerca il numero di telaio. Infilo prepotentemente il braccio sotto la vetrata, afferro il libretto, lo giro e con un sorriso tirato gli indico il numero di telaio. Il tipo mi guarda perplesso per la manovra. Effettivamente era quello che cercava. Scrive per un tempo infinito al computer, alla fine mi restituisce il libretto. Tiro un sospiro di sollievo.
Nuovo sportello. Attesa infinita. Mi passano davanti, ma pare che la gente del posto possa, mentre gli stranieri devono attendere ad uno sportello che impiega il triplo del tempo. Mi infilo, inizio a discutere, sono sempre più nervoso.
Quando, dopo oltre un’ora di attesa solo a questo sportello, l’ufficiale mi dice in siriano stretto (tradotto da un immigrato siriano che vive e lavora in Italia che è in fila al mio fianco):
“Questo non è valido, devi tornare laggiù” - e indica il tavolo iniziale - “e farti dare il foglietto che manca!”
Esplodo, inizio a sbraitare in inglese come un ossesso, le persone intorno si girano tutte a guardarmi:
“Ma non è possibile! Non potete rompere così i c..i a chi viene a visitare il vostro Paese! Organizzatevi! Fate uno sportello unico e chiedete tutto insieme! Siamo in fila a soffrire da ore! Dov’è l’ufficiale capo? Fatemi parlare con il responsabile della dogana!!!”
Ormai non penso più al documento fasullo che ancora nessuno mi ha chiesto, nè a tutti gli altri documenti che mi mancano, a nulla. Sono stravolto, sono ore che sono in coda, non si capisce nulla, continuano a chiedere foglietti e ricevute in perfetto stile turkmeno. Fogli su fogli, timbri su timbri, fotocopie, bolli, ricevute, pagamenti! Alla fine mi resteranno 8 (otto!) fogli in mano, da conservare come la pupilla dei miei occhi perchè non sia mai che ne perdo uno necessario per uscire dal Paese!
Dopo la mia sparata il tipo dello sportello riprende nuovamente uno dei foglietti che gli ho dato poco fa e mi chiede (tradotto sempre dal ragazzo che lavora in Italia):
“Quanto devi fermarti in Siria?”
Gli rispondo e capisco il mio errore. Al tavolo iniziale avevo risposto pochi giorni per pagare meno tasse, ma qui, per evitare il solito problema del visto che scade, ho risposto un mese e quindi i conti non tornavano!
Mi rassegno al nuovo errore, spero di non avere problemi per i pochi giorni che ho dichiarato e proseguo lo strazio allo sportello successivo.
Nuova fila ammassata, stavolta sono i possessori di Carnet che aspettano da un sacco di tempo. Io, privo di tutto, salto la fila, mi faccio fare alcune fotocopie e torno ad uno sportello precedente.
Nuovi timbri e foglietti di ricevuta.
Chiedo conferme in giro:
“Ho finito??”
“Sì, puoi andare!”
Incredulo, torno al sole. Se ne sono andati quasi tutti, molti hanno finito prima di me. Durante il calvario, ho ricevuto cenni di incoraggiamento e battute dai ragazzi conosciuti in nave.
Pare che sia andata! Nessuno mi ha chiesto nè Carnet, nè patente, nè altro.
Orologio alla mano, la dogana è durata oltre 4 ore, sono sfatto. Riguardo i conti, ho speso 20 € di diritti portuali, 30 € di assicurazione, 60 € di non so cosa, forse il sostituto del Carnet, totale 110 €.

 

Porto di Tartus

 

Prigioniero nel porto
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Mi rimetto in sella dopo aver scattato una foto alla moto liberata. Il porto è immenso, mi fermo per un lungo treno merci che taglia la strada con lentezza.
Esco dal porto dopo aver chiesto indicazioni per una banca, sono del tutto privo di contanti e devo fare il pieno di benzina appena possibile!
Fa caldissimo, la città è quasi deserta, probabilmente sono tutti a casa cercando un po’ di frescura.
Finalmente trovo la banca. Devo attendere diversi minuti che si riapra la cassaforte in quanto avevano già chiuso.
“Di dove sei?” mi chiede il commesso.
“Italia”
“Aaahh” e si allarga in un sorriso “mi aiuti a venire in Italia?”, mi chiede allungandomi il suo biglietto da visita.
“Ok, ma non so cosa potrò fare ...”
“Non importa, comunque grazie!”
“Senti, per Damasco va bene in quella direzione?” gli chiedo, indicando fuori, verso sinistra.
“Sì, ma ... quando vuoi andare?”
“Adesso!”
“Adesso?? Ma ormai è tardi, domani!”
“Non posso, devo essere là stasera.”
“Fa troppo caldo, si viaggia di mattina!”
Ha ragione ... ma non posso fare altrimenti, Caterina arriverà all’aeroporto di Damasco in nottata.
Primi saluti con i bambini e altra gente del posto. Mi aggiro tra viali e rotonde cercando la strada giusta per Damasco.
Purtroppo si è fatto tardi, sono le 16 passate e devo rinunciare alle deviazioni che avevo programmato.
Vado pianissimo, sto per rimanere senza benzina. Vengo affiancato da un gruppo di motociclisti. Erano sulla nave. Mi riconoscono, si congratulano con me per la storia del documenti.
“Tutto ok??” mi urla il capofila che non si spiega perchè stia andando così piano.
“Sì, tutto a posto, ma sono senza benzina!”
Mi rivolge uno sguardo come a dire “bè ragazzo, ma allora te le cerchi!!”.
“Non preoccuparti, ho già visto un paio di benzinai!” e mi saluta accelerando.
Mi superano tutti, ma rimango preoccupato perchè finora non ho visto nessun distributore! Ho attraversato la città e imboccato la superstrada e di benzinai nemmeno l’ombra.
Passano i km e inizio a pensare alle soluzioni di emergenza, come fermarmi a chiedere benzina nelle baracche che vedo ai lati della strada, quando finalmente appare un’area di servizio immensa e sgangherata, semi-deserta.
Faccio il pieno e finalmente posso ripartire a cuor leggero.
Sono entrato in Siria, ho il pieno di benzina e sto andando a Damasco. Ora sì che inizia la vacanza!
Caldo, ma inizio ad abituarmi. Strada noiosa, per fortuna è a 4 corsie e riesco a viaggiare intorno tra i 90 e i 100 senza difficoltà.
Il paesaggio è piatto, senza palme, senza montagne nè colline. Senza fascino.
Verso Damasco la strada scende. Il calore aumenta rapidamente, mi sembra di entrare in un forno. Poco prima della città mi fermo in un’area di servizio ed ingurgito tre succhi di frutta uno dietro l’altro. Un litro di liquidi in meno di un minuto.
Dalla cartina intuisco che devo proseguire ancora un po’ sull’autostrada, poi entro. Chiedo informazioni per Bab Touma, la zona dell’albergo che abbiamo prenotato dall’Italia (l’unico!) e il ragazzo a cui chiedo riflette un istante e poi esclama:
“Segui quell’autobus, sta andando là!”
Mi metto in scia all’autobus che mi investe anche con il calore del motore, è terrificante.
Traffico caotico, macchine, motorini, pedoni e carretti che si incrociano in tutte le direzioni senza curarsi l’uno dell’altro. Ma non mi sconvolge, ho già vissuto queste situazioni e tutto sommato lo trovo solo poco peggiore di Roma nelle ore di punta sul lungotevere.
Mercato lungo le strade, bancarelle arrangiate sui marciapiedi, montagne di frutta, meloni, angurie. Gente che cammina carica di buste piene.
Arrivo finalmente a Bab Touma e chiamo l’albergo.
“Attenda lì, mando subito il ragazzo!”
Ne approfitto per bere due lattine di Coca Cola, assediato da un traffico denso come miele e puzzolente di smog.
Arriva il ragazzo, mi precede a piedi, lo seguo zampettando sulla moto al minimo.
Entriamo nei vicoli strettissimi della parte vecchia e nel giro di duecento metri arriviamo davanti all’ingresso dell’albergo.
Da fuori sono solo mura con finestre minuscole che si affacciano sul vicolo largo sì e no due metri. All’interno si apre un sontuoso patio con fontana centrale, pareti decorate e scranni di legno intagliato sui quattro lati.
Entro nella stanza prenotata, è da mille e una notte! Letto a baldacchino, decorazioni, mobili tradizionali.
Poco dopo mi chiamano dalla reception. La moto parcheggiata fuori non va bene:
“É pericoloso, la rubano!”
Sempre la solita storia, ogni volta i furti. Stavolta sono più preoccupato solo perchè non è mia, altrimenti non mi porrei nemmeno il problema.
“La portiamo dentro?” mi propone la ragazza aprendo completamente il portoncino. Questo è largo meno di un metro ed ha due gradini piuttosto alti. Impossibile!
Rispondo che in piena notte andrò all’aeroporto, ci penserò domani al parcheggio. Metto il bloccadisco e torno in camera.
Doccia, mi godo il fresco naturale donato dalle spesse pareti di pietra dell’edificio e ... bevo!
Nel tardo pomeriggio esco per una lunga passeggiata nei vicoli del centro.
Torno nella piazza di Bab Touma e vedo un paio di motorini parcheggiati di fronte ad un posto di polizia. Mi tornano alla mente le parole di poco fa della ragazza dell’albergo.
“Scusate, posso chiedere un’informazione?” chiedo con fare deferente ai due ragazzi in divisa che chiacchierano sul marciapiede.
“Prego!” e mi fanno cenno di entrare nell’androne della stazione di polizia, dove ci sono altri due giovani poliziotti.
Spiego la mia situazione, che sono appena arrivato dall’Italia in moto e che nell’albergo dove alloggio mi hanno sconsigliato di lasciare la moto in strada.
“Mi ha detto che potrebbero rubarmela! Potrei lasciarla qui davanti alla stazione, a fianco di quegli altri due motorini?”
Si guardano con aria interrogativa. Capisco che non hanno capito e ripeto tutto dall’inizio.
Sorridono, mi chiedono dov’è il mio albergo.
Ripeto nuovamente, al che mi fanno cenno di salire di sopra.
Le scale spoglie, la gabbia dentro cui scorre l’ascensore, le pareti tristemente bianche, i corridoi vuoti a parte le onnipresenti foto del presidente, le porte delle stanze chiuse.
Ne aprono una, dentro ci sono cinque ragazzi in divisa. Uno dei miei accompagnatori spiega qualcosa in siriano, poi mi cede la parola.
Spiego nuovamente la situazione, con la domanda finale:
“Posso lasciare la moto in strada, di fronte alla stazione di polizia?”
Mi accorgo che anche loro non hanno capito cosa voglio esattamente.
Sempre sorridendo, il ragazzo che mi ha accompagnato mi riporta nel corridoio e bussa con fare deferente ad un’altra porta.
Da dentro rispondono, entriamo. Due uomini sulla quarantina, evidentemente ufficiali, ci accolgono. Stavolta la stanza è arredata con tappeti, divani, quadri e molti altri oggetti. E soprattutto c’è l’aria condizionata. Ho un brivido di freddo, ma mi abituo immediatamente. Nuova spiegazione in siriano e nuova domanda da parte mia in inglese.
Il più giovane si apre in un sorriso, prende un foglio, una penna e inizia a farmi delle domande:
“Qual è il suo albergo?”
“Al Zaetona”
“Ok ... e dove aveva parcheggiato la moto?”
Inizia a farsi strada in me un nuovo dubbio, ma rispondo ugualmente:
“Nel vicolo dell’albergo, di fronte all’ingresso.”
“Targa della moto?”, mi chiede mentre continua a scrivere.
“Ma guardi che non mi hanno rubato la moto!”
Il tipo alza la testa, mi squadra e scoppia a ridere!
“Volevo solo sapere se posso parcheggiare la moto di fronte alla vostra stazione, per stare più tranquillo!”
L’ufficiale spiega agli altri due il qui pro quo, anche loro scoppiano a ridere.
“No guardi, è meglio di no. A pochi passi dal suo albergo c’è un garage sorvegliato, la porti lì!”
“Ok, grazie!”
Mollo l’osso e ridacchio anch’io mentre il ragazzo mi riaccompagna di sotto, tra mille sorrisi.
Saluto il gruppo di giovani poliziotti mentre mi dileguo all’esterno, immergendomi nei vicoli.
Ancora non ho capito bene dove mi trovo, ci sono diverse chiese cristiane le cui croci illuminate brillano nella notte.
Non trovo nessun posto interessante per mangiare, alla fine mi rassegno ad un cheeseburger comunque molto buono e saporito. Chiacchiere con una ragazza francese che si fermerà in città alcune settimane per imparare l’arabo. Il suo accompagnatore, un ragazzo del posto, mi guarda male pensando che mi stia mettendo in competizione per le grazie della francese.
Saluto appena finisco il panino e torno verso l’albergo.
Provo a cercare il garage che mi hanno indicato i poliziotti, giro qualche vicolo nei pressi dell’albergo, ma non trovo nemmeno un’insegna.
Pazienza, ci penserò domani.
Spengo la luce alle 23. La sveglia è puntata fra quattro ore, spero di riuscire a riposarmi un minimo.

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