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Giornate: 30/12
Vorrei assaporare il silenzio del deserto, ma siamo accompagnati dal lento, preciso ciabattare di un ragazzo che tira un dromedario e ogni 10 passi ci offre una passeggiata, calando via via il prezzo (10, poi 5 TND). Subito dietro, 8 persone, tra donne e bambini, che appena mi allontano di un paio di passi accerchiano Cate. Appena mi riavvicino, scappano. Ci sediamo in cima ad una duna, a fianco il cammelliere, poco dietro una decina di donne e bambini che chiacchierano senza sosta. Ok, non è il posto giusto per immergersi nel silenzio del deserto!
Quasi contemporaneamente arriva anche Cate, contentissima. Torniamo alla moto col solito codazzo di donne e bambini tintinnanti di collane e braccialetti da piazzare.
Prendo il bivio giusto, pochi metri indietro, ed iniziamo una strada nel nulla, spettacolare. Piccole dune, ciuffi verdi, tantissimi dromedari in libertà. Una volpe del deserto, rapida, ci attraversa la strada. Emozione. Più o meno a metà strada, 100 km fatti e 100 da fare, poco dopo un minuscolo paese, la moto ondeggia in maniera sempre più pronunciata. Mi fermo per avere la conferma, in un piccolo pezzo di metallo profondamente conficcato nel battistrada, che la gomma posteriore è bucata. Prendo il kit anti-foratura per tubeless da sotto la sella, ma quasi subito arriva una piccola colonna di fuoristrada, italiani! Sono carichi all’inverosimile, di tutto. C’è anche un clone del giornalista di Doonesbury che va in Iraq, che a sua volta è un clone di un marine: giberna, bandoliera, pendenti e berretto regolamentari. Mi danno un gonfia e ripara, una di quelle bombolette adatte alle camere d’aria, in ogni caso ci provo, anche se è vecchio ed esce poca schiuma e poca aria. Gonfiamo per bene la gomma col loro compressore, saluti baci ed abbracci e scompaiono all’orizzonte, mentre Nelik dopo pochi km ondeggia come prima. Stupidamente non mi voglio fermare, poi capisco che così facendo disintegro il copertone. A conferma, quando stavolta mi fermo, trovo la gomma totalmente a terra e un po’ mangiata ai lati. Tiro fuori nuovamente il kit. Cate ferma un’auto in direzione opposta, non sanno come aiutarci. Poco dopo arriva un furgoncino nella direzione giusta, verso Douz.
La moto sembra tenere, nel frattempo tengo costantemente d’occhio il furgoncino alle mie spalle ed i km passano. Il paesaggio è meraviglioso: le prime vere dune, bianche distese di sale, la strada a tratti si trasforma in terrapieno che sembra volare sul chott. Bivio: Douz a destra, 18 km; paesino con gommista amico loro a destra, 1 km; casa loro a sinistra, 3 km. Cate va con loro, mentre io carico Alì ed andiamo al paesino a cercare, tra tante telefonate e qualche giro, il gommista. Nonostante la grande festa, arriva ed apre l’officina. Scruta la gomma, la valvola, la gonfia, l’asperge d’acqua per trovare eventuali perdite, poi sentenzia che va bene così com’è, Insciallah, e mi fa i complimenti per la riparazione. Lo ringrazio, nonostante le mie insistenze non vuole nulla per il disturbo.
Da una parte vedo un gruppo di donne, ma non trovo Cate. Poi il gruppo si apre e scopro, al centro, Caterina, con un sorriso a 36 denti, gli occhi felici, mentre chiacchiera con loro. Ha fatto amicizia con tutti, la scena è meravigliosa. Mi portano nella stanza dove mangiano gli uomini, mi levo gli stivali, mi offrono un paio di ciabatte. Mi portano in bagno a lavarmi le mani sporche di grasso della moto, poi fuori, verso il gruppo delle donne. Sono impacciato, non so come comportarmi e ovviamente scateno l’ilarità di tutti! Mi presento a tutte, poi torniamo nella stanza per mangiare. Alì ed io mangiamo dallo stesso piatto, con le mani, ognuno con una zona più o meno “assegnata”. Continua a passarmi, spostandoli con un pezzo di pane, tutti i pezzi di carne che trova, ossia le parti pregiate della cena, composta anche da patate, carote ed altre verdure bollite e cucinate nel sugo. Una scena surreale, per un cittadino occidentale come me. Hanno avuto due lutti gravi e molto recenti (fine novembre e inizio dicembre) e si scusano di com’è la casa, in disordine. Alla fine della cena ci offrono da dormire, iniziano a condurmi nella stanza che pensavano di darci, ma mi scuso, vado da Cate e a malincuore decidiamo che è meglio partire e continuare il giro che avevamo in mente. Come al solito è notte fonda, non riusciamo mai ad arrivare con la luce del sole! Nell’oscurità attraversiamo un grande palmeto. All’improvviso vedo un’ombra al mio fianco poi sento un colpo, forte, sulla moto e sulla gamba. Non capisco, non ho visto nulla per terra che posso aver centrato con la moto e le valigie ci sono ancora. Fosse per me proseguirei come se nulla fosse, ma Cate insiste per fermarci (per fortuna). Scopriamo così che sulla corona è avvolta la cinghia usata per tenere tra loro i due bauli laterali, per scaricare un po’ il peso. Cate la teneva tra le gambe, il lato libero si è infilato nella catena, avvolgendosi alla corona, fino a che, in pochi istanti, non è arrivato il moschettone, tipo fionda, che ci ha appena toccati e si è staccato, per fortuna, senza infilarsi in meccanismi tipo catena, ruota, disco o peggio ancora cambio. Arrivo a Douz, albergo molto carino (Hotel 20 Mars, 20 TND per 2 persone, colazione inclusa). Incontriamo di nuovo la coppia conosciuta a Tozeur. Cena in un ristorante con altri due italiani in moto. Giro ad un caffè con una splendida terrazza sulla piazza principale di Douz, ma fa troppo freddo. Siamo stanchissimi, ’notte presto. 31/12
L’ultima striscia di asfalto rompe la magia, in un lampo si arriva all’ingresso del villaggio di poche baracche sparse. Molte frecce dirottano verso i piccoli mondi a sè stanti, dissociati dal paesino. Incontro un ragazzo su un’Africa Twin che mi indica il Camp Ghilane, prenotato da Douz. Quando dico al tipo della reception che abbiamo prenotato, fa la faccia più idiota e stupita di tutta la Tunisia. Per una volta che siamo arrivati con la luce, già immagino il dramma di Capodanno: tutto esaurito, condannati a dormire sotto una palma!
Ci sono grandi tende, con i muretti di sabbia e argilla, il tetto di foglie di palma protette con un telo di plastica e delle coperte e dietro, dove siamo noi, tende più piccole, tutte di foglie di palma. L’interno nel primo caso è costituito da una piattaforma con 6/8 materrassi poggiati su un rialzo, sempre di cemento. Nel secondo caso il rialzo è di legno ed il fondo di sabbia.
Peccato il traffico, più intenso che su via Marconi a Roma: moto, auto, camion, hummer, quad che vanno avanti e indietro per fare brevi giravolte a breve distanza dall’accampamento. Mi chiedo perchè non vadano più lontano, con tutto lo spazio che c’è! Al tramonto torniamo nel campo, tè da Fatih. Si stupisce, nell’ordine: che non abbiamo figli, che non siamo sposati (“vivete insieme da 3 anni!”), che non parliamo di matrimonio (“e di che parlate dopo 3 anni che vivete insieme??”), che guadagnamo solo 1000 euro al mese (“non due/tremila?”). Ci accordiamo che se domani ci sposiamo, ci regala la passeggiata in dromedario fino al forte. Sistemiamo i sacchi a pelo e le coperte. Freddo pungente appena cala il sole. Giriamo per l’accampamento in attesa del cenone, previsto per le 21. Chiacchiere attorno al fuoco, ricavato in una buca per proteggerlo dal vento davanti ad una piccola tettoia, con delle panche, a fianco del capannone dove sono sistemati i tavoli. Parliamo dell’Italia, della Tunisia, delle piste che partono e arrivano qui, della vita. Lentamente si avvicinano anche altri turisti.
Bella atmosfera, peccato il volume davvero eccessivo del gruppo che canta canzoni arabe moderne. Balliamo attorno ad un grande braciere, sorta di danza sciamanica propiziatoria per il caldo e la buona sorte per l’anno in arrivo. Mezzanotte arriva in un attimo, torta, qualche fuoco d’artificio. Sbirciamo sulle dune, la luna è fortissima, sovrasta molte stelle, ma il cielo è ugualmente magnifico, così come le dune, argentate fino all’orizzonte in un morbido gioco geometrico. Ci infiliamo nei sacchi a pelo, stretti nella morsa di freddo. 1/1/2007
Leggero mal di mare, sballottato dal movimento ondulatorio del dromedario. Questo è il periodo del calore, fanno in continuazione un verso gorgogliante e dalla bocca, quando non è stata chiusa da una (immagino apposita) stretta maschera di corda, traborda una membrana rosa, gonfia come un palloncino, che viene subito risucchiata. Questa, a volte, fuoriesce anche attraverso le maglie della museruola, spruzzando e gorgogliando ancora di più. Lavorano solo i maschi; le femmine sono nel deserto ad accudire i piccoli. E loro, in calore, da soli, a scorazzare turisti sulle dune. Queste ultime, tra l’altro, sono tutte ferite, offese dalle miriadi di passaggi in auto, moto, ecc. Al forte romano troviamo 2 cat cat di francesi che ci offrono Pastis e Coca fresche, ed un po’ di chiacchiere. Giro nelle rovine. Sarà la chiacchierata appena fatta, a fianco di due fuoristrada, saranno i pochi minuti rimasti dell’ora di sosta pattuita a mettermi fretta e togliermi concentrazione, ma non riesco a trovare l’atmosfera, l’affinità col luogo. Quindi vedo solo un bel forte in rovina, ma nemmeno tanto per avere duemila anni. Prima di partire, il dromedario di Cate, legato davanti al mio, defeca e orina, sventolando la coda dal basso, sotto al ventre, intridendosi di orina, verso l’alto, aspergendosi la schiena. Peccato che sia la schiena di Caterina, che non sa come sfuggire, a due metri dal suolo, a questa pioggia indesiderata. In questo modo, però, scopriamo l’origine dell’odore agrodolce che pervade l’aria: piscio di dromedario. Salutiamo i ragazzi baschi che ripartono in cat cat per Douz, noi passeggiamo fino alla torre di osservazione dell’albergo a fianco. Numerosi banchi di nuvole rubano la luce, non posso fare le foto che sognavo. Il pomeriggio scorre pigro, anch’io non mi sento molto in forma. Saliamo sulla torre d’osservazione: ampio colpo d’occhio sulle dune, sul palmeto e sull’albergo di lusso in cui si trova. Aperitivo con tè e arachidi al bar, per difendersi dal freddo e aspettare il tramonto, sperando che le nuvole concedano un po’ di spazio ai colori. Purtroppo Cate è sempre più influenzata, senza aspettare ulteriormente torniamo in tenda, mentre il parcheggio dell’albergo è assediato da un ingorgo degno del Lungotevere all’ora di punta: decine e decine di fuoristrada più o meno fighetti e mastodontici, in una lunga coda per trovare parcheggio. Forte tanfo di smog. Atmosfera disintegrata. In tenda mi accorgo di aver dimenticato gli occhiali da vista in bagno, stamattina. Chiedo a tutti, nessuno li ha visti, non ci sono più. CAZZO! Erano nuovi. Il nostro campeggio si è trasformato in Little Italy: molti accenti da nord a sud, quasi nessun’altra lingua straniera. Cena veloce, Cate quasi a digiuno. Prima di andare a dormire (alle 20!) chiediamo allo chef com’è la pista per Beni Khedache. Chiama dei ragazzi italiani, anche loro in moto. Iniziamo a chiacchierare, loro hanno fatto tutta la Pipeline, che poco dopo Ksar Ghilane ci dicono scompare sotto dune via via più alte. Quello che sognavamo... Sarà per quando avremo una moto adatta. Chiacchiere a non finire, mi danno due bombolette d’aria, quelle che avevo usato per gonfiare la gomma bucata. Mi tolgono un grosso peso dallo stomaco. Infatti ho ancora colla e tanta gomma per riparare senza problemi un’altra foratura. Ci salutiamo alle 21, tiro fuori gli occhiali di scorta (vecchi di almeno 10 anni) da sotto la sella, dando il via al sequel di Harry Potter, vista la loro forma. Ci addormentiamo alle 22. 2/1
Qualche litro di benzina in uno dei tanti rivenditori “casarecci”, ritorno sulla Pipeline. Quattro/cinque km verso Bir Soltane, poi inizia una pista verso destra. Spero sia quella giusta, non c’è nessun cartello.
Il paesaggio, per fortuna, è molto bello. Impieghiamo 1h e mezzo per percorrere 20 km. All’improvviso, in cima ad una salita, un cartello annuncia un bar. Alla fine della discesa vediamo una baracca, ma decido di fermarmi lì, in cima, figurarsi se il bar è aperto, in un posto così isolato!
Altri 25 km quasi tutti come i 20 precedenti. Gli ultimi 7/8 km, all’altezza del bivio per Ghoumrassen, migliorano: meno toule, ma resta la sporadica sabbia e le tante pietre. Il paesaggio è spettacolare: piccole dune con pennacchi verdi inquadrate da basse colline argillose, dalle tante gradazioni di marrone e di rosso; rada vegetazione. ASFALTO! Vento forte, freddo e fastidioso. Anche il paesaggio verso Tataouine ci regala scorci magnifici su gole sinuose, verdeggianti sul fondo come piccole oasi incassate nella roccia e ampi orizzonti. La strada torna a curvarsi, attorno a basse colline brulle. Ci fermiamo all’hotel Gazzelle, pensavo di trovarci Simone, ma mi dicono che è partito stamattina. Peccato! Passeggiata in centro. Bella atmosfera rilassata, molte pasticcerie con “corne de gazzelle”, la specialità locale diffusa in tutta la Tunisia. Nella piazza del souk vediamo molte belle ceramiche, domani vogliamo fare acquisti. Cena in camera, chiacchiere, notte alle 22 con antinfluenzale anche per me. |
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