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Giornate: 3/1
Nessun assalto di venditori o bambini o altro al nostro arrivo. Troviamo facilmente lo ksar. La corte è relativamente piccola, le tante aperture che si affacciano formano geometrie regolari. Due ragazzi mi guidano in alcune ghorfa. Ci arrampichiamo come stambecchi sui pochi centimetri di argilla essiccata che formano i cammini che, come un labirinto verticale, collega tra loro i vari piani. All’interno, oltre alla spazzatura, anche tanti attrezzi d’uso quotidiano: selle di cammelli, orci, chiavi, coltelli, alcuni oggetti misteriosi persino per i miei accompagnatori. Quando scendo i ragazzi mi offrono una specie di tabacco cremoso, una droga che avevo già visto in Marocco, si spalma sulle gengive. Ripartiamo lentamente verso Ksar Ouled Soltane. Siamo ancora più soli che a Ezzahra, ma ci sono negozietti di souvenir. Pranziamo appollaiati sul tetto di una ghorfa di un solo piano, guardando la piana dominata dallo ksar. Uovo sodo preso stamattina a colazione, formaggino comprato insieme al pane in un alimentari qui dietro. Fantastico! Ouled Soltane è più scenografico di Ezzahra, bellissimo. La corte è più ampia, le ghoffra più regolari e ben tenute. Purtroppo restano poche scale che portano ai piani superiori. Le poche che ci sono formano belle geometrie tridimensionali sulle facciate, donando anche la terza dimensione, la profondità e formando reticoli che incantano.
Ha 23 anni e frequenta il liceo di Tataouine. Oggi salta per disegnare il tatuaggio! Usa un piccolo stilo ricavato, sembra, da una matita, che intinge in un piccolo contenitore con un liquido nero. Non è hennè, odora di caminetto e impiega 1h/1h30 ad asciugare. Dopo un po’ ci chiede se possiamo portare un regalo ad una sua amica di Roma che lavora in una libreria di Campo de’ Fiori. Ci assicuriamo che non sia un regalo ’che scotta’, tipo droga, per evitare il mio exploit genovese di soli 3 anni fa. Imballa accuratamente due cassette di musica libica, un acquerello ed un segnalibro.
Strada molto scenografica per Douiret. Saliamo alla parte antica. Appena sotto, incrociamo due italiani che stanno pagando una guida. “E’ bravo?” chiedo. “Sì, bravissimo!” rispondono in coro, contenti. “Quanto gli avete dato?”, tanto per capire come regolarmi. “12 dinari!”. “12?!?” rispondiamo in coro, increduli. Mai dato più di 7 dinari ad una guida! E questa sicuramente non infrangerà il record! Mohamed inizia a guidarci tra le rovine e cominciamo un gioco in cui ognuno dà all’altro mezzo dinaro per ogni informazione nuova. Così noi lo correggiamo su alcune parole italiane (che parla benissimo, soprattutto per averlo imparato come tanta altra gente di qui, “sulla strada”) che gli torneranno utili in futuro, mentre lui ci illustra il villaggio, ci descrive le sue usanze e ci racconta varie curiosità. Ad esempio, costruivano le giare più grandi delle porte per evitare furti: mettevano la giara nel deposito e poi costruivano la porta. Ci mostra una stanza dove tenevano le donne per due o tre settimane per schiarirle la pelle prima del matrimonio e tatuarle con l’hennè. Nei cimiteri islamici tre pietre indicano la testa, il ventre ed i piedi delle donne, due pietre solo la testa ed i piedi degli uomini ed pietra il ventre dei bambini. I berberi conservavano le dispense più importanti (olio, datteri, ecc) nei piani alti del granaio, rendendolo difficilmente accessibile tramite rade pietre infilate nel muro a mo’ di scala, sia per i ladri, che per gli animali, ma anche per i loro stessi familiari, in modo da far durare il più a lungo possibile le provviste. Ci mostra la macina, trainata da un dromedario e la sansa ottenuta da un meccanismo di carrucole e tronchi di palma. Andiamo poi alla moschea sotterranea, fresca d’estate e calda d’inverno.
Ci conferma che abitualmente e tradizionalmente dormono in più persone in una stanza: “Siamo 3500! Se servissero 3500 grotte per dormire, occuperemmo 3 km di montagna!” ci risponde divertito a quella che gli sembra un’assurdità. Penso alle nostre invivibili, disumane, ristrette città, dove paradossalmente molti hanno il proprio angolino privato, poi mi guardo intorno, l’orizzonte così lontano, il cielo così alto. Cantiamo a squarciagola alcune canzoni rai, sentite al concerto di Tozeur, ed altre di Khaled. Poi è il turno dell’Italia, con “Lasciatemi cantare” (decisamente il vero inno nazionale all’estero, altro che Mameli) e “Azzurro”. Ci salutiamo alla moto. Caterina vuole dargli 3 dinari, lui ci rimane male e mi sembra si stia innervosendo: “Dai, almeno 5 dinari!”, replica irritato alla freddezza di Caterina, che insiste. Gli allungo altri due dinari per evitare perdite di tempo e nervosismi. “Sei troppo buono, come al solito!”, esclama Caterina. Mohamed torna a sorridere, gli facciamo una foto con la promessa di spedirgliela via mail. Ormai è il tramonto, la strada fino a Chenini è tra le più belle di tutto il viaggio: paesaggio mosso da mille colline a strati, alcune morbide, altre aspre e puntute, disseminate di palme e scaldate dalla luce dorata e arancio del crepuscolo. Un arcobaleno lontano saluta il nostro arrivo a Chenini.
Smette subito, giusto il tempo di bagnare le strade in modo che la luminosissima luna piena possa farle splendere nella notte, segnando sinuosamente il percorso. Il buio, anche qui, è segnato dalle corone illuminate dei minareti, dalle luci lontane, isolate, delle fattorie e dalle scure sagome caratteristiche delle palme. Arrivati a Tataouine facciamo il pieno, sia di benzina che di dolci alla Pasticceria del Sud, anche se i corni di gazzella, con nostra incredula delusione, sono finiti. Ci rifacciamo col resto: amaretti, bignè fritti, baklavà e altro ancora, accompagnato da una spremuta d’arancia. E’ buio da molto tempo, andiamo nella piazza del mercato e, anche se sono solo le 18, non troviamo più nessuno. O meglio, troviamo a terra centinaia di pezzi d’artigianato: ceramiche di ogni tipo (piatti, tazze, soprammobili, ecc), applique di terracotta a non finire, rose del deserto, spezie, ecc. Tutte le varie esposizioni dei negozi, al completo, senza alcuna protezione. I negozi sono chiusi. Nella piazza non c’è nessuno. L’avevo già notato, ma non in modo così incredibile e plateale, in molti negozi di souvenir incontrati finora (Tozeur, Douz, oasi di montagna, ecc). Vedere centinaia di ceramiche incustodite mi colpisce e mi fa riflettere: cosa succederebbe se venisse fatto in Italia?? Un ragazzo che sta chiudendo la sua bottega di sarto ci vede e ci avvicina. Ha fretta, deve andare a mangiare, ma ci assiste dall’inizio alla fine, quando compriamo molte applique: tre mani di Fatima, una porta di Sidi Bou Said, un corne de gazzelle e due piccole portacandele a forma di porta di Sidi Bou Said. Tutto 37 TND, poco più di 20 euro! Torniamo alla moto, lasciata davanti alla pasticceria del sud. Chiacchieriamo con il padrone, un ragazzo cui faccio fare un giro dietro di me. E’ contentissimo ed eccitato, colgo l’occasione per pulire le candele, sporche da così tanti km a bassa velocità. Cena nel ristorante dell’albergo, preparazione parziale dei bagagli cercando di sistemare pietre, minerali, ceramiche, borse di foglie di palma e tutti gli altri souvenir comprati negli ultimi giorni. Leggiamo un po’ del bellissimo Salammbò di Flaubert, poi ci addormentiamo, sono le 23:30. 4/1
Acquistiamo un po’ di viveri per la traversata in nave. Mentre Cate va al supermercato, vengo abbordato da un ragazzo che, lentamente, si rivela essere un venditore di tappeti. Anche se abbiamo la nave tra un’ora e mezzo (dov’è Cate??) cerca di vendermi un tappeto sulla parola: “Secondo me piacerà molto alla tua ragazza, farai un figurone!”, mi dice complice, come a farmi un favore. Gli lascio l’email, non demorde: “Magari lo compri dall’Italia, per me non ci sono problemi!”, mi dice, premuroso e rassicurante. “Ma hai una foto?”, chiedo, conciliante. “No! Ma vedrai, ti piacerà!”, mi garantisce. Ah bè, se è così, allora non ci sono dubbi! Per ultimo la butta sul personale: “Sai, mia madre è morta il mese scorso, ti vendo un bellissimo tappeto a metà prezzo, mi fa piacere se lo prendi tu!”, mi confida. Finalmente torna Cate, il ragazzo prova ancora a convincerci ad andare a vedere il tappeto: “Un quarto d’ora e avete finito!”, non demorde. Fuga a La Goulette, è tardissimo. Ci abbordano diversi tizi abusivi, che cercano di spacciarsi per ufficiali, per fare i documenti. In ogni caso, se non si conosce il posto, sono sempre utili, soprattutto se mancano pochi minuti alla partenza! Uno mi porta al check-in, poi mi segue di corsa, per pochi metri prima di perdermi, mentre vado al gate del porto vero e proprio. Raffica di timbri, fogli e foglietti compilati. Nessuno si cura dei preziosissimi tagliandi della persona che non ci avevano dato in entrata. Guardano solo il documento della moto, anche stavolta senza far caso al proprietario, per fortuna. Entriamo nel ventre della nave, mi accorgo di non avere la carta di imbarco di Cate! Chissà dove l’ho persa! Il capitano, lo stesso degli annunci professionali del viaggio di andata, prende una copia del biglietto e ci fa salire. Legano la moto con grande attenzione. Evidentemente è previsto mare grosso. Partiamo con un’ora e mezzo di ritardo. La nave è piena zeppa, come sempre. Qualche cretino traccia scritti razzisti e fascisti nei bagni degli uomini. Anche se è un’idiozia, che non conta nulla, sono veramente senza parole, mi vergogno per gli italiani. I posti buoni nei corridoi delle cabine sono già occupati, dobbiamo sistemarci in un posto dove c’è un certo passaggio di persone. Reincontro i due ragazzi dell’XT, Simone e Valeria. Scopro così che l’unica moto che abbiamo incrociato nei giorni scorsi (a parte una colonna di moto di un viaggio organizzato) era la loro! La nave è piena di bambini urlanti e frignanti. Mentre si balla provo a farmi venire sonno leggendo e scrivendo. Non so che ore sono, in ogni caso è un continuo via vai di persone e vociare e musica da una radiolina e urla isteriche di un bambino e chiacchiere a voce alta nei corridoi. Impossibile prendere sonno. Metto dei tappi più efficaci, le persone vanno finalmente a dormire, la musica si affievolisce, il bambino è molto lontano...mi addormento. 5/1
Riprendiamo i contatti con familiari ed amici. Il tempo, come sempre, scorre lento. Alle 11 siamo ancora fermi, controllano anche i passeggeri che scendono a Salerno. Il cielo si schiarisce un po’. La coda non si muove, c’è un numero costante di persone al tavolo della polizia. Si legge, disegna, scrive, chiacchiera. Alle 12 passo il controllo: almeno per gli italiani, si limitano a depennare il nome dalla lista dei passeggeri. Alle 13 (!) ci stacchiamo finalmente dal molo. Primo SMS di Khalifa. Si balla molto, il mio stomaco inizia a cedere. Medicina dell’infermeria, un po’ meglio. Verso le 18:30 il mare si calma, ma ormai sono intontito da medicina e ore trascorse. Sulla nave molti sono stati male di stomaco, vedo sacchetti usati un po’ ovunque. Osservo le attività della nave: TV, videogiochi (portatili e non), carte. Una tavolata di ragazzi dagli 8 ai 15 anni gioca a carte, le due bambine più grandi barano passandosi le carte sotto il tavolo. Dalla mia posizione le vedo chiaramente, ma quando iniziano a discutere per i sospetti nascenti, ovviamente non dico nulla! Arriviamo puntuali, dal mare vedo tutta la Costiera Sorrentina illuminata. Fa freddo, ora mancano solo i km fino a Benevento, non so quanti. Sbarchiamo in fretta, per noi nessun controllo di dogana. In pochi secondi usciamo dal quadro e vediamo tutto dall’alto della rampa che rapida vola verso l’autostrada: il porto illuminato, la nave aperta, la fila dei veicoli in attesa del controllo, sia in arrivo che in partenza, visto che ci sono già decine di veicoli in attesa del successivo imbarco - chi finisce - noi e chi inizia - loro). Freddo pungente, i km passano in fretta, casa di Caterina a Benevento alle 23. Ci riposeremo qui un paio di giorni, poi domenica a Roma, dove terminerà (formalmente, visto che in pratica è già finito) il viaggio. 6/1 7/1 |
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