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 Diario di viaggio “IncrediBali 2009”

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(Bangli, Pura Besakih, Gianyar, Goa Gajah, Yeh Pulu, Amed, Tenganan)

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Giornate: 
22 agosto 2009 - “Una splendida giornata”
23 agosto 2009 - “A zonzo nei dintorni di Ubud”
24 agosto 2009 - “Splendida Bali orientale”

22/08/2009 - “Una splendida giornata”
Mi sveglio nella notte, ma per fortuna mi riaddormento subito.

 

 

Albergo Sunset Hill a Ubud

 

Ma buongiorno a te!
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Ci alziamo alle 9 in paradiso. La colazione viene servita nella struttura principale.
Conosciamo il creatore e titolare di questa meraviglia. Si chiama Christian, è un architetto francese (a proposito di neocolonialismo) e, ahilui, vive qui.
“Ma ora sto facendo un progetto in Nigeria, devo andare là spesso”, ci tiene a precisare, come se fosse un problema.

 

Albergo Sunset Hill a Ubud

 

Eden balinese
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“Vorremmo visitare una delle isole qui intorno, che ne dici di Lombok?”, chiede Caterina che è a caccia di mare tropicale.
“Lombok?? No... sono musulmani! Non ve lo consiglio”, risponde immediatamente.
In effetti il pensiero di ricominciare col muezzin che mi urla nelle orecchie alle 4 del mattino non mi entusiasma.
La colazione è a base di croissant e burro francese. Praticamente una “bolla” di territorio francese in terra indonesiana.
Partiamo a razzo verso Bangli, dove ci hanno detto esserci una cerimonia di cremazione imponente.

 

 

Scolaresca nei pressi di Bangli

 

Allegria contagiosa
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Cremazione nei pressi di Bangli

 

Inferno copulante
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Ad un incrocio ben prima di Bangli, ci taglia letteralmente la strada un’altra processione. Non possiamo lasciar cadere nel vuoto un così evidente richiamo del destino. Parcheggiamo e inseguiamo il corteo che nel frattempo è avanzato parecchio, al seguito di tre enormi tori portati a braccia da molte persone, che li fanno piroettare e quasi danzare nell’aria.

 

Scolaresca nei pressi di Bangli

 

Eleganza in erba
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Entriamo in un campetto che forse appartiene alla vicina scuola, da dove ci salutano festosi una moltitudine di bambini e bambine, tutti nelle loro divise marroni.
I tori vengono depositati a terra. Sono uno bianco, uno nero e uno rosso, tutti con vistose erezioni e disegni a sfondo sessuale attaccati ai fianchi. Cerco di capire il motivo dei disegni da un paio di ragazzi, ma non riusciamo a capirci.
Iniziano a smontare le impalcature dei tori. Fa molto caldo, compro dell’acqua all’unica bancarella presente.
I tempi si dilatano, l’azione si estingue, il piazzale quasi si svuota, a parte le persone che armeggiano attorno ai tori. In breve, sia io che Caterina pensiamo di proseguire per Bangli per vedere cosa succede. Al massimo, torniamo qui, tanto a breve non faranno nulla.

 

Cremazione a Bangli

 

Gli ultimi ritocchi
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Cremazione a Bangli

 

Torre di Bangli - 1
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Cremazione a Bangli

 

Torre di Bangli - 2
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Ci rimettiamo in scooter. Troviamo facilmente il posto, in quanto anche qui il traffico è quasi fermo, regolato da un vigile che alterna i sensi di marcia per evitare un’alta torre in legno e cartapesta che occupa metà carreggiata.
La cerimonia è molto più ricca e articolata di quella vista poco fa. Qui c’è anche il gamelan che suona ininterrottamente.
É una festa collettiva, partecipano tutti, dai più anziani ai giovanissimi. Tutti sono elegantissimi. A prescindere dal gusto dei vestiti, è evidente che indossano i loro capi migliori, le donne sono pettinate e truccate, gli uomini azzimati nei loro vestiti lunghi e fascianti. La felicità è tangibile. É quasi impossibile pensare che ci si trovi ad una cremazione, una forma di funerale per dei morti. Suona quasi come un controsenso ai miei “sensi” cristiano-occidentali dove la morte è usata strumentalmente per controllare le menti e le persone, ricattandole con la minaccia della sofferenza eterna (eterna... che concetto incredibile e inafferabile!) e manovrandole col grimaldello dei sensi di colpa.
Inizialmente pensiamo di trovarci all’interno di un tempio, ma conosciamo una signora:
“Sono una parente di uno dei morti, questa è l’abitazione di un altro dei loro parenti”, ci spiega.
“Questa è un’abitazione tradizionale”, di dice indicando tutt’intorno, “le stanze danno tutte sul cortile centrale interno, non sono come da voi in Europa! Di dove siete?”, ci chiede con un grande sorriso.
“Italia, Roma!”, rispondiamo all’unisono.
“Aaaaahhh, l’Italia!”, sospira con aria sognante, “la adoro, ci sono stata molte volte!”
Ci racconta che lavora nel turismo (come moltissimi balinesi) e che viaggia spesso al seguito del suo principale, in tutto il mondo, Europa e Italia compresi.
“Oggi celebriamo la cremazione di 15 persone, che in realtà è avvenuta ieri”, ci spiega, “ossia ieri sono state riesumate le ossa di 15 persone - una di loro era mio zio - sono state cremate e oggi li festeggiamo con la cerimonia e le offerte di tutti.”
Nel frattempo è iniziata una sfilata interminabile di donne. Sul capo portano dei vassoi - alcuni molto elaborati - carichi di offerte. Escono da un altro cortile interno, sfilano nel nostro sotto al palco del capo-cerimoniere e passano su una passerella che conduce all’ultimo cortile interno prima della strada, davanti al gamelan che continua nelle sue melodie, entrate ormai a far parte dell’atmosfera stessa, come la luce e l’aria.

 

 

Cremazione a Bangli

 

Ciao!
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Cremazione a Bangli

 

Vestite a lutto
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Cremazione a Bangli

 

Si parteeee! - 1
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Cremazione a Bangli

 

Si parteeee! - 2
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Cremazione a Bangli

 

Speriamo non crolli!
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Cremazione a Bangli

 

Offerte come se piovesse
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Cremazione a Bangli

 

Un bel sorriso! - 3
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La signora ci fa conoscere le sue due figlie, bellissime. La più grande è spigliata e curiosa, la piccola ancora timida e paurosa.
Le donne continuano a sfilare cariche di doni, dal nostro angolo riusciamo a osservare tutta la scena, ma dopo un po’ vogliamo spostarci per vedere cosa accade nel piazzale principale.

 

Cremazione a Bangli

 

Suona che ti passa
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Cremazione a Bangli

 

Il carico delle ceneri
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Cremazione a Bangli

 

Fiume umano
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Cremazione a Bangli

 

Offerte in attesa
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Cremazione a Bangli

 

Un bel sorriso! - 1
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Cremazione a Bangli

 

Un bel sorriso! - 2
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Qui si trova l’orchestra del gamelan, che suona quasi ininterrottamente, a parte brevi pause che sembrano dettate più dalla stanchezza dei suonatori piuttosto che da un rituale preciso. Trovo di nuovo la melodia ritmica e delicata del gamelan l’accompagnamento ideale a queste cerimonie, la sua ripetitività aiuta la mente a distaccarsi dai sensi “attivi”, concentrandosi più sull’interiorità, la meditazione.
Tra poco è il turno della nostra amica, dovrà passare anche lei sull’alta passerella dove continuano a sfilare donne cariche di vassoi con elaborate offerte, alcune a forma di torre, altre circolari o di altre forme ancora. I fiori sono onnipresenti, poi vedo sarong, asciugamani e altri doni utili nella vita futura.
Una processione di uomini inizia a portare le ceneri delle persone cremate ieri all’interno dell’alta torre parcheggiata fuori dalla casa. Una rampa di legno si arrampica a metà altezza della torre, gli uomini arrivano, due a due portando a spalla la piccola bara, fino al punto dove altri uomini prendono il contenitore per adagiarlo all’interno della torre, mentre i portatori scendono da un’altra scala.
Poco più in basso, ma sempre arrampicato sulla torre, quello che sembra il “regista”, a dirigere gli uomini, a indicare alle donne (che depositano le offerte anch’esse all’interno della torre, ma più in basso rispetto alle ceneri) dove sistemarsi, ai lati della strada e, in generale, a presiedere a tutte le operazioni attorno alla torre, alta, decoratissima e coloratissima.
Nel frattempo una gran folla inizia a seguire i tori, sbucati chissà da dove. La strada si riempie, sembra un fiume umano che segue i portatori delle statue dei tori, anche qui tre, alle quali fanno compiere ampie piroette imitate dalle persone intorno, che indirizzano preghiere in tutte le direzioni.
Ci stacchiamo anche noi, tanto sembra che qui non facciano altro che finire di riempire la torre, che verrà portata nello stesso luogo dove stanno portando i grandi tori di cartapesta.
Ci sono pochi turisti, pensavo ce ne sarebbero stati molti di più, visto il battage pubblicitario che hanno fatto all’ufficio turistico di Ubud.
Arriviamo in uno spiazzo tutto sommato piccolo, per la gente che c’è, per quello che è già stato portato e soprattutto che deve ancora arrivare. Diverse persone si accalcano attorno ai palchi dove hanno issato i tori, degli altari sui quali portano le offerte per legarle sui loro dorsi. In breve questi quasi spariscono sotto la mole incredibile di doni, che continuano ad arrivare e vengono fissati uno sull’altro, ammucchiati in ogni modo purchè siano aggrappati al toro. Alla fine, verrà tutto bruciato. Quasi un sacrilegio per la società materialista occidentale!
La strada è piena di persone, il traffico del tutto bloccato. Centinaia di persone ovunque, atmosfera di festa, si parla, si ride, si sta insieme. Funerale? Dove?
Mi avvicina un venditore che srotola sotto il mio naso un calendario tradizionale balinese, inciso a fuoco su sottili strisce di legno di cocco con disegni della mitologia classica, il Ramayana e tenuto insieme da una cordicella con una antica (dice lui) moneta cinese all’estremità.
Chiede una cifra folle, 500mila rupie.
“É un lavoro lunghissimo, difficile!”, mi spiega cercando di giustificare l’enormità della richiesta.
Purtroppo mi piace molto, so già che lo comprerò, quindi cerco di scendere sul prezzo.
“Non posso, non ho i soldi, poi mia moglie si arrabbia con me”, rispondo indicando Caterina, che infatti disapprova fortemente e si allontana, intimandomi di “non fare sciocchezze!”
Proseguiamo, ormai lui sa di avermi preso all’amo, ma tutto sommato i soldi li ho ancora io. Non c’è fretta, ma in fondo non voglio neanche passarci la giornata. Deve aver pensato la stessa cosa lui, dopo aver visto che ancora non caccio i soldi ed iniziando a guardarsi intorno, chiudendo la borsa. Sono io a riprendere la trattativa, spaventato che davvero non voglia mollarmi l’opera a 100mila rupie come ho provato a chiedere. Alla fine, dopo molti ulteriori tira e molla, ci accordiamo a 200mila.
“Te la sto regalando!”, mi dice quasi rimproverandomi.
Per scrupolo apro il rotolo che mi ha già messo in mano dentro un sacchetto di plastica e vedo che mi sta dando una delle copie più brutte, con poche strisce di legno e dai disegni molto meno elaborati ed accurati.
“Ma non voglio questa!”, protesto sorpreso.
“Ah, devo essermi sbagliato!”, si scusa allungandomi un altro rotolo.
Che a questo punto srotolo all’istante:
“E nemmeno questo!”, esclamo restituendoglielo e spiegandogli che voglio il primo che mi aveva mostrato.
Finalmente mi dà il primo rotolo, che chiudo nella borsa cercando con gli occhi Caterina per capire quanto ha seguito della scena e soprattutto se ha visto quanti soldi gli ho dato. Visto anche che li abbiamo finiti di nuovo e dobbiamo cambiare.
La raggiungo e mi investe subito con un:
“Mica l’avrai preso!” e, subito dopo aver ricevuto il mio cenno d’assenso, “a quanto??”
“100mila rupie”, rispondo mentendo, ma senza evitare la sua ira. Per lei è troppo anche la metà di quello che ho pagato realmente e forse sarebbe così per qualsiasi cifra io sborsi per qualcosa che lei disapprova.
Ritroviamo la signora di prima, o meglio, lei ritrova noi. Ci indica il marito, un giovane che si sta dando da fare su uno degli altari a prendere e legare le offerte sul dorso dei tori.

 

Cremazione a Bangli

 

Una vera bontà
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Ho fame, ci avviciniamo a uno dei banchetti ambulanti. La signora mi aiuta a capire cosa cucinano, visto che il contenuto dei pentoloni pieni di brodo marrone non lascia intuire nulla.
Alla fine mi decido per una zuppa con polpettine:
“Che carne è?”, chiedo curioso di sapere cosa sto mangiando.
“Gallo!”, risponde lei.
Saranno i vari sconfitti dei combattimenti? Comunque è buono, anche se vagamente inquietante. Caterina ovviamente si limita a guardarmi, non osando sfidare la sorte ed il mal di pancia.
Le ore passano.
Sono le 14:30, il gamelan è arrivato da tempo portato dai suonatori stessi, gli strumenti più ingombranti a spalla, due a due, sempre senza smettere di suonare.
Le offerte continuano incredibilmente ad arrivare. Ora capisco perchè riescono ad organizzare una cerimonia solo ogni 5 anni. Sono stupefatto, tutto ciò è lontano mille miglia dalla concezione occidentale di “funerale” o anche solo di “cerimonia”.
Riprendiamo a parlare con la nostra amica.
“Amo l’Europa”, racconta, “ma solo per le ferie!
Il mio primo capo era un tedesco. É morto nell’attentato del 2002, era in una delle discoteche esplose.”
“Sì, ricordo quel terribile attentato”, rispondo, “qui è ancora molto sentito?”
“Sì, parliamo ancora spesso di quelle bombe, molti hanno perso amici o parenti che lavoravano là.”
Mi informo ancora del suo lavoro.
“Il mio capo attuale è francese, ma quello prima - prima del tedesco voglio dire - era italiano!”, mi dice quasi con gioia.
Tutti stranieri, di nuovo il pensiero del neocolonialismo travestito da imprenditoria.
“Io sono cuoca, ma il mio capo spesso mi fa viaggiare oppure mi porta con lui.”
Sto morendo di sete. Sono ore che non bevo e fa molto caldo. In più, sono anche ore che quasi non mi muovo. Ho voglia di sgranchirmi, non ce la faccio più.
Decidiamo di andare ad un negozietto qualche decina di metri indietro, sulla strada. Lungo il percorso incrociamo molte persone che continuano ad andare verso il campetto della cerimonia.
Acqua, snack dolce per ricaricare energia. Dolore improvviso al piede, alla caviglia. Non riesco più a piegarla, ho un dolore fortissimo, non riesco ad appoggiare il piede a terra, men che meno caricare il peso. Tocco la parte che mi fa male e mi accorgo che sotto pelle c’è come una pallina molto dura e assai dolorosa. Mi spavento, non capisco come o cosa possa essere accaduto, così all’improvviso, da un secondo all’altro e senza che sia successo nulla, mentre ero seduto a bere!
Il flusso di gente verso il luogo della cerimonia è costante, ma si ingrossa ulteriormente all’improvviso e passano altri suonatori di gamelan.
Non riesco a camminare, ma capiamo che forse, dopo tante ore di attesa, la cerimonia sta per giungere al culmine.
Dolorante e zoppicando vistosamente, mi incammino appoggiandomi completamente a Caterina.
Avvicinandoci vediamo del fumo innalzarsi dal campetto.
Fiamme.

 

 

Cremazione a Bangli

 

L’attimo fuggente ... è fuggito
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Arriviamo e ... è già tutto bruciato. Dei tori non rimangono che mozziconi della parte inferiore, che delle persone armate di lanciafiamme si adoperano per distruggerle il più rapidamente possibile.
La delusione che provo è indescrivibile. Non posso che interpretare questo dolore improvviso alla caviglia e la spinta ad allontanarci proprio pochi minuti prima dell’acme dopo ore e ore di attesa, non posso non interpretarlo come un Segno divino, una decisione superiore, un tassello del puzzle della mia vita. Il problema è che non lo capisco, non comprendo il motivo per cui era meglio che non assistessi all’intera cerimonia. Forse il mio animo non è ancora pronto, devo seguire un percorso differente, non so.
Caterina, non so se per non infierire o cosa, minimizza:
“Dai, non preoccuparti, l’abbiamo vista praticamente tutta!”
Ma non riesco a darmi pace, volevo assistere al momento culminante, osservare le reazioni delle persone, il completamento del rituale che ha richiesto così tanto lavoro e sacrifici.
Non riesco a crederci. Provo un’amarezza incredibile, non ho parole.
La gente si disperde abbastanza rapidamente. Molti tornano verso la casa della cerimonia, altri restano a finire il lavoro del fuoco, altri si preparano per la fine della cremazione. Montano su un paio di camioncini. Sono diretti sulla costa per dispedere le ceneri in mare, poi torneranno di nuovo qui per bruciare la torre ed il trono rimasti intatti con il loro carico. La torre conserva, oltre agli immancabili doni, anche le ceneri dei defunti cremati ieri.
É ancora relativamente presto e non ci va di aspettare il ritorno della gente dal mare per ore e ore. Decidiamo di andare a vedere un tempio segnalato dalla guida alle falde del vulcano Gunung Agung.
Tornando al motorino mi accorgo che il dolore è scomparso, così come il gonfiore sottocutaneo duro e doloroso. É incredibile, di nuovo non ho parole. É come se non fosse mai successo nulla. A parte il non aver assistito al momento del fuoco.
Partiamo per il tempio Pura Besakih.
Andiamo verso nord su strade sempre meno battute. La natura riprende il sopravvento. Passiamo all’interno della giungla, in zone sempre meno abitate e, quasi di conseguenza, più belle.
La strada sale ininterrottamente per km e km. Il vulcano è alto 3014 metri ed il tempio è poco sotto.

 

 

Tempio di Pura Besakih

 

Tempio nelle nuvole - 1
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Tempio di Pura Besakih

 

Tempio nelle nuvole - 2
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Arriviamo alla base del tempio quasi al tramonto. Il luogo è magico, molto meno “strutturato” e sfruttato del Tanah Lot. Forse anche per l’ora tarda, in cui ormai i pullman se ne sono andati ed il turismo individuale come il nostro è rarissimo.
Pochi venditori, nessuno che ci rompe le scatole nel nostro stupore di fronte allo spettacolo del tempio sotto al cono imponente del vulcano.
Ci avvicina una guida proponendo di accompagnarci nella visita. Parla inglese piuttosto bene, ma chiede troppo:
“200mila rupie!”, afferma con disinvoltura.
Manca poco che Caterina non scoppi a ridergli in faccia.
“Ma quando mai, 10mila, al massimo!”, è la sua risposta glaciale.
Inizia una trattativa senza speranze, impossibile trovare un accordo partendo da basi così distanti. Quando capisce che non ci convincerà mai a tirare fuori nemmeno la metà della sua richiesta iniziale, ci dirotta su un collega.
Parla l’inglese molto peggio, ma è ancora comprensibile.
“50mila rupie per la visita, vi faccio vedere tutto, fino in cima!”
“Massimo 10mila!” è il ritornello di Caterina, che non molla.
Riprendere la trattativa:
“40mila?”
“10mila!”
“30mila?”
“10mila!”
“20mila?”
“10mila!”
“No, troppo poco, allora niente.”
Caterina è pronta a rinunciare, ma, fatti due rapidi conti, visto che parliamo di 1 euro e mezzo (!!) e soprattutto che il sole sta calando, chiudo la trattativa e gli dò l’ok per l’esorbitante cifra di 20mila rupie.

 

 

Tempio di Pura Besakih

 

Foresta di guglie
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“Guarda che sarebbe sceso ancora!”, mi dice Caterina dispiaciuta.

 

Tempio di Pura Besakih

 

É permesso?
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Saliamo l’ampia scalinata. L’atmosfera è di pace incredibile, pur sempre con l’impressionante contrasto della materializzazione della violenza della natura nell’imponente vulcano a dominare il tempio indifeso.
La luce del crepuscolo è calda, avvolgente, brillante.
Ci arrampichiamo sulle tante scale. Alcune hanno statue di divinità ai lati: a sinistra quelle buone, a destra quelle malefiche. Altre sono chiuse ai lati da sculture a forma di drago.
Passiamo a fianco di corti con persone in preghiera all’interno.

 

Box 4 - Gli ombrellini balinesi

La guida ci spiega che i colori degli ombrellini presenti nei templi hanno un significato ben preciso:

Il Rosso identifica Brahma, il Creatore e Dio del Fuoco
Il Bianco e il Giallo rappresentano Shiva, il Distruttore e Dio del Vento
Il Nero identifica Visnu, il Protettore e Dio dell’Acqua
Queste sono le divinità principali dell’induismo balinese.

 

 

Tempio di Pura Besakih

 

Ombrelli divini
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Arriviamo nel punto più alto dove può arrivare un “non sacerdote”. Entriamo nell’ennesimo tempietto. Un monaco ci chiede se vogliamo pregare, Caterina accetta.
Si inginocchia e segue le indicazioni del monaco, che le spiega i gesti da compiere, quando pregare, cosa dire e cosa fare. Il momento è magico, siamo da soli, il silenzio totale, la luce splendida, direi divina.

 

 

Tempio di Pura Besakih

 

A quando i voti?
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Pochi secondi dopo che Caterina ha finito di pregare ed ha ricevuto i chicchi di riso sulla fronte, le nuvole si aprono svelando la sommità del vulcano. L’emozione è al culmine e stavolta, visto che posso assistere all’evento a meno di una cecità improvvisa, si scaricano le pile, così che non possa rubare con una banale immagine l’anima del vulcano.
Lasciamo un’offerta e tornando verso il parcheggio, mi lascio convincere da una signora che vende cocchi, ma stavolta mi va male, ne prendo uno troppo giovane e la polpa all’interno è sottilissima e gelatinosa, non dà molta soddisfazione. In compenso è pieno fino all’orlo di latte.
Quando arriviamo di nuovo alla base dell’immenso tempio, il vulcano è completamente sgombro dalle nuvole, si vede nettissimo, risalta nel cielo ormai prossimo all’oscurità, ma le pile sono del tutto esaurite e non riesco più a rubare nessuno scatto.
Resterà solo per i nostri occhi ed i nostri cuori.
Torniamo al buio incrociando molti cani, ovunque. Attraversano la strada in branchi, si inseguono, lottano, abbaiano, ma per fortuna non sembrano interessati agli uomini. Almeno, non a noi.
Arriviamo a Gianyar che il mercato notturno è aperto già da un po’. Tanti waroeng con cibi dolci e salati, venditori di fiori, offerte, satè di tutti i tipi, vestiti, musica e tanto altro. Confusione, fumo, puzze e profumi, persone che sciamano, i turisti si contano sulle dita di una mano.
Compriamo dei dolci di cocco ed altri ingredienti ignoti, il tutto innaffiato di sciroppo di palma (ovviamente palma da cocco) e cocco grattuggiato.
Mangiamo dei satè di pollo con salsa di noccioline. Al tavolo facciamo amicizia con una coppia di ragazzi giovanissimi. Lei lavora in una spa a Ubud e lui costruisce mobili. Caterina prende il nome del posto dove lavora la ragazza, magari ci va nei prossimi giorni.
Riprendiamo la strada di casa, interrotta ogni pochi km per esigenze di vescica, sollecitata a dismisura dalla quantità incredibile di latte di cocco ingurgitato poco fa.
Arriviamo a Ubud e all’albergo con poche gocce di benzina nel serbatoio.
Ci addormentiamo con migliaia di immagini negli occhi ed i cuori in preda alle emozioni di questa splendida giornata.

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23/08/2009 - “A zonzo nei dintorni di Ubud”

 

Albergo Sunset Hill a Ubud

 

Natura rigogliosa
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Tempio di Ubud

 

Divinità con gonnellino
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Museo di Antonio Blanco a Ubud

 

Uccelli incredibili - 2
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Museo di Antonio Blanco a Ubud

 

Flamenco balinese
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Goa Gajah

 

Petali sacri
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Mi sveglio alle 7:30, forse inizio a prendere il fuso.
Vado in piscina, faccio 10 vasche, poi leggo sulla sdraio. Fantastico! Dopo un po’ si sveglia Caterina, durante la colazione cerchiamo di programmare la giornata, ci sono ancora mille cose da vedere!
Cambiamo in centro, l’euro è sempre più forte [1€ = 14150 IDR].

 

 

Torrente all'interno di Ubud

 

Torrente nella giungla
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Museo di Antonio Blanco a Ubud

 

Uccelli incredibili - 1
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Museo di Antonio Blanco a Ubud

 

Uccelli incredibili - 3
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Goa Gajah

 

Buh!
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Goa Gajah

 

Radici serpentose
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Girelliamo tra negozi di souvenir, molti oggetti carini. In un waroeng Caterina prenota una lezione di cucina per domani. Visitiamo anche uno dei templi nel centro di Ubud, ma non ci colpisce particolarmente. Soprattutto dopo quelli spettacolari visti nei giorni scorsi!
Voglio andare al museo di Antonio Blanco, ho visto dei depliant e sembra molto bello.
Entriamo da un grande arco in pietra, parcheggiamo in un piccolo spiazzo. Poi, entriamo in un altro mondo, fatto di fantasia, visioni oniriche, materializzazioni di sogni e forme. Ricorda Dalì, erano coevi, ma lo stile è differente.
La casa ha una forma bizzarra. Nel parco all’esterno ci accolgono con un drink e con diversi uccelli dalle forme e dai colori mai visti. Scattiamo alcune foto con l’aiuto di un addetto che, appena mi vede, mi butta addosso un volatile dopo l’altro fino a coprirmi spalle e braccia. Per non farli scappare gli hanno tarpato le ali. Poveri.
All’interno è purtroppo vietato scattare fotografie. Quadri e composizioni, esplosione di creatività anche nelle cornici che sono a loro volta delle sculture bizzarre e incredibili.
Il filo conduttore è il sesso, ma anche il tempo che scorre, la bellezza, Dio.
Un paio d’ore e visitiamo l’intero edificio con annesso ex studio dell’artista. Fantastico.
Usciamo inebriati da tanta creatività e libertà di spirito. Torniamo in centro per un trattamento estetico prenotato da Caterina nel centro di Ubud.
Appena finito ci incamminiamo verso la Grotta dell’Elefante. Arriviamo subito, ormai la strada l’abbiamo imparata, così come lo stile di guida locale.
Grande parcheggio, poche guide ufficiose facilmente respinte, giro nel complesso. La grotta in sè e per sè non è nulla di eccezionale, è piccola e claustrofobica, mi ricorda i mitrei etruschi, bassi, poco estesi e alcune piccole nicchie sulle pareti dove riporre candele e offerte votive. Indubbiamente è più impressionante l’ambiente circostante ed alcuni alberi monumentali, incredibili, emozionanti.
Sul libro di Gherpelli ho letto che esiste un sentiero che segue il fiume e che da qui porta all’altro complesso archeologico qui vicino, Yeh Pulu.
Ci addentriamo nella foresta, ma non ci sono indicazioni. Passiamo a fianco di un tempio con un anziano all’interno, probabilmente un monaco. Iscrizioni sulle pietre. Purtroppo non ci sono cartelli, andiamo a casaccio. Fiancheggiamo il torrente dall’alto. Sentiamo voci e grida squillanti arrivare dal basso. Un gruppo di persone sta facendo il bagno, scherzando e giocando.
Ad un bivio prendiamo verso l’alto, ma in breve capiamo che è la direzione sbagliata. Usciamo dal bosco e sbuchiamo alle spalle, anzi, praticamente all’interno di una casa.

 

Camion della spazzatura vicino Yeh Pulu

 

Spazzatura fiorita
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Soliti cani (che anche stavolta fortunatamente ci ignorano) e galli ovunque. Chiediamo indicazioni, siamo comunque nella direzione giusta, anche se abbiamo abbandonato definitivamente il sentiero nel bosco. Ma forse è meglio, la luce sta diminuendo, tra poco tramonta.
Passiamo tra le villette: case basse con giardino chiuso da mura. Le volte che è attaccata una targa su un portone, riporta nomi stranieri.
Arriviamo al sito, siamo completamente soli. Alla biglietteria solo un paio di ragazzi annoiati. Entriamo da un sentiero in mezzo alle risaie, l’ambiente è magnifico. Il silenzio totale, nessuno in vista a parte un ragazzo che fa jogging. Passiamo a fianco di un bar con tavolini all’aperto ed una piccola galleria d’arte a fianco con quadri, sculture in legno e altri oggetti.
Proseguiamo a camminare tra piccole risaie. Alcune sono abbandonate e fanno impressione, così rovinate, fangose, morte.
Passiamo sotto un piccolo arco in pietra e sulla sinistra inizia il lungo bassorilievo con scene di vita quotidiana e mitologia indiana. La simbologia è mista, tanto che non si riesce ad individuare il periodo di creazione, né la cultura che l’ha creata, né il significato che volevano trasmettere.
Al termine del lungo bassorilievo, che si sviluppa in orizzontale come una striscia, da sinistra verso destra, c’è un tempio con una donna anzianissima che ci chiede se vogliamo pregare. Caterina si fa bastare quella fatta a Pura Besakih, io non ho voglia.
Osserviamo l’opera nella più totale solitudine e tranquillità, a parte la vecchina che, vedendoci indugiare, ogni tanto torna a chiedere se vogliamo pregare, incurante che gli abbiamo già detto no tutte le volte precedenti.
Torniamo sui nostri passi e ci fermiamo al bar per un tè allo zenzero. Parliamo con Ketut, il giovane gestore. Grazie al suo lavoro conosce persone da tutto il mondo, tra cui molti italiani con cui è in buon rapporto. Il discorso scivola sulle danze e le altre tradizioni che si stanno perdendo.
“Ormai quelle che vedete sono solo per turisti!”, ci spiega con un sospiro, “nessuno le rappresenta più per la gente comune, o meglio, è rarissimo.
E comunque tante danze si stanno perdendo. Ad esempio il kechak è stato creato nel villaggio dove viveva mio nonno. All’epoca lo praticavano in tanti, oggi nessuno.”
“Bè, però vedo molte scuole di danza, con tanti giovani”, obietto, “e in fondo gli spettacoli per turisti in ogni caso sono un modo per conservare le tecniche ed i passi. Se non ci fossero neanche questi, si perderebbero del tutto, come in tante zone d’Italia, dove le danze tradizionali si sono perse decenni fa e sono ridotte ad attrazioni da museo etnografico”.
Ammutoliamo durante il magnifico tramonto, in solitudine rassenerante, sorseggiando tè allo zenzero.
Arrivano degli amici di Ketut, uno di questi, con una faccia nemmeno particolarmente rassicurante, ci offre un passaggio fino a Goa Gajah:
“15mila rupie!”, propone aggressivo.
“No grazie, andiamo a piedi”, replico.
“Ma è lontano!”, insiste.
“Abbiamo voglia di fare una passeggiata”, rispondo difendendomi.
“Ed è pieno di cani randagi, è pericoloso”, cerca di spaventarci.
“Non è un problema, non abbiamo paura”, rispondo mentendo.
La mia superstizione di fondo mi fa temere un attacco di cani, dopo una minaccia velata di questo tipo.
Il problema è anche non perdersi tra le viuzze e le case tutte uguali, ma il mio senso d’orientamento ci aiuta a districarci.
Torniamo all’incrocio dove un paio d’ore fa stavano preparando del cibo. Il grande tavolo è attorniato da molte persone, quasi tutte donne. Ci fermiamo a curiosare. Ci rivolge la parola un uomo che parla inglese piuttosto bene. In poche battute riesce a convincere Caterina a far provare A ME il gado-gado che stanno preparando. L’esperimento mi attira. Allo stesso modo mi diverte che Caterina trasferisca la sua curiosità a me, senza esporsi in prima persona.

 

 

Waroeng vicino Yeh Pulu

 

Alta cucina
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Il tipo ci aiuta a presentarci e gestire il tutto. Mi siedo sulla panca ed assisto alla preparazione. Quando allunga con dell’acqua versata da una caraffa non particolarmente pulita, la mistura di verdure e noccioline e altri ingredienti pestati per impastarli, Caterina chiede preoccupata:
“Ma l’acqua è sicura? É bollita??”
“Certo che è bollita!” ci rassicura il tipo, “anche noi abbiamo la stessa preoccupazione.”
In ogni caso, per mostrarci la sua buona fede, traduce la domanda alla signora, che in maniera evidente conferma le parole del tipo.
“Sì, ha detto che la bollono, non preoccupatevi!”
Me lo serve in una foglia di banano, molto buono, anzi ottimo!
Chiacchieriamo, a gesti, sorrisi e traduzioni del tipo, col resto della tavolata. Alla fine chiediamo quant’è:
“3mila rupie!”, in pratica 20 centesimi di euro! Pago, incredulo.
Proseguiamo nell’oscurità. Come sempre, è pieno di cani randagi, ma ci ignorano come al solito.
Arriviamo alla statale e da lì fino al parcheggio di Goa Gajah.
“Ma è chiuso!”, esclamiamo terrorizzati all’unisono vedendo le cancellate chiuse ed il motorino chiuso dentro. Per fortuna, quando provo ad aprirle non oppongono resistenza. Sono solo appoggiate.
All’estremità nord del parcheggio c’è un banchetto, illuminato debolmente da una lampada a petrolio, che vende pannocchie. Sia bollite che abbrustolite. Le prime le estrae da un pentolone colmo d’acqua dal colore biancastro, lattiginoso. Le seconde le prepara su una piccola griglia con delle braci rosso vivo sul fondo.
“5mila rupie!”
Protestiamo facendo notare che ho mangiato pochi minuti prima un ottimo gado-gado a 3mila rupie, ma allarga le braccia come a dire:
“Buon per voi, ma il prezzo della pannocchia è questo.”
Comunque è eccellente, la migliore assaggiata fino a oggi in Indonesia.
Torniamo a Ubud. Altra passeggiata nelle traverse piene di resort, spa, bungalow, ristoranti e altre strutture per turisti.
Andiamo dalla signora dove Caterina nei giorni scorsi ha fatto il massaggio ed il bagno di petali, per prendere uno shampoo di erbe che ha ordinato.
Chiacchieriamo con la signora, soprannominata Mami, su tutto e di tutto. Amore, vita, aspirazioni, sogni, lavoro, ecc. Lei parla spesso di suo marito. É italiano, siciliano, si chiama Emiliano. Insegna arti marziali e torna spesso in Italia. Ci parla della loro vita di coppia dopo 17 anni di matrimonio, tra tradimenti, problemi e tutto quello che tipicamente mette in crisi le unioni, ma che, secondo lei, se c’è amore rafforzano e rinsaldano la coppia.
La salutiamo che sono quasi le 22. Ci diamo un altro appuntamento per dopodomani.
Andiamo a mangiare in un waroeng. Paghiamo, per un piatto di frutta fresca tropicale ed un succo di frutta fresco, ben 85mila rupie. Follia!
Andiamo a dormire alla solita ora, le 23:30.
Domani vogliamo fare una gita in motorino per l’intera giornata, ma ancora non abbiamo deciso dove! Ci lasceremo guidare dal fato e dal caso.

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24/08/2009 - “Splendida Bali orientale”
Notte agitata, Caterina ha problemi di stomaco.

 

Albergo Sunset Hill a Ubud

 

Danzatrice di pietra
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Poi ci svegliamo di nuovo nella notte. Quando accendo la luce, insospettito da alcune “sensazioni”, scopro il motivo: nel letto stanno vagando diverse formiche giganti.
Alla fine, tra un disturbo e l’altro, ci svegliamo verso le 10: è tardissimo!
Facciamo colazione, paghiamo e trasferiamo i bagagli nel nuovo albergo visto nei giorni scorsi. É piuttosto brutto, ma dà la colazione e soprattutto costa pochissimo.
Alle 11 partiamo per il giro in scooter della parte orientale dell’isola.
I dintorni di Ubud sono molto trafficati e caotici, ma appena abbandoniamo la strada principale per entrare nelle secondarie, ci ritroviamo ad attraversare paesaggi splendidi, in mezzo alle risaie, spettacolari, esotici. In generale, la parte est è meno abitata rispetto alla parte centrale di Ubud.

 

 

Tempio a Bali

 

Tempio multi-color - 1
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Tempio a Bali

 

Tempio multi-color - 2
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Percorriamo un pezzo della strada già fatta per andare a Pura Besakih. Ci fermiamo ad un incrocio dominato da un albero immenso, sotto al quale si trova un tempio che l’altro giorno, per la fretta, avevamo snobbato.
L’ingresso è decorato con grandi statue e sculture. Contrariamente a quello che abbiamo visto fino a oggi, le statue sono dipinte, ma forse questa è la normalità e sono gli altri templi ad essersi scoloriti con il tempo e le intemperie.
La sola vicinanza dell’albero fa avvertire, forte, la sacralità del luogo. Forse è l’albero ad essere sacro ed il tempio è semplicemente il luogo costruito dall’uomo per rendere omaggio a questo essere così immenso e protettivo.
I paesaggi sono talmente belli da togliere la parola. Ci distoglie soltanto la vista del duro lavoro degli uomini nei campi, chini nelle risaie, impegnati a spaccar pietre, filtrare la terra per estrarre la sabbia, trascinare attrezzi arcaici o altri pesi immani, trasportare l’acqua in grandi recipienti... tutto questo mi fa pensare a quanto l’uomo, da queste parti, abbia ancora un rapporto diretto ed in prima persona con la Madre Terra, ma anche quanto potrebbe migliorare la sua condizione con l’adozione di semplici macchinari. Forse si perderebbe il fascino di quello che sto ammirando e di Bali in generale e poi mi ritroverei a piangere su questo romantico fascino perduto, ma è troppo facile pretendere o sperare che nulla cambi, quando non sono IO direttamente coinvolto in quello che vedo.

 

 

Risaie verso Amed

 

Risaie scolpite
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Alcune risaie sembrano dipinte o meglio scolpite nella terra, tanto sono perfette e scenografiche.
Dopo molti chilometri fa capolino, all’orizzonte tra una collina e l’altra, l’azzurro del mare.
Ci addentriamo in un promontorio di colline riarse. Il mare è turchese, anche se la sabbia generalmente nera, vulcanica, non fa risaltare in pieno i colori tropicali che sicuramente avrebbe.
La parte iniziale del promontorio ci accoglie di nuovo con resort, centri di immersioni ed altre strutture turistiche. Ci fermiamo in una piccola baia e veniamo accerchiati da quattro bambini che ci offrono insistentemente gli stessi oggetti: scatoline intrecciate a mano con delle conchiglie a decorarle e all’interno il sale che estraggono in questa zona. Uno di loro ha addirittura un quadernino che continua a mettermi sotto il naso con una frase pietosa in tutte le lingue, italiano compreso. Attaccano una nenia sui soldi che gli servono per andare a scuola e comprare i libri. Purtroppo non abbiamo soldi a sufficienza per ciascuno di loro e quando proviamo a prenderne una tirando fuori i soldi quasi si picchiano per contenderseli, cercando di strapparmeli violentemente di mano. Scene già viste in Marocco e da altre parti. Alla fine, per evitare incidenti decidiamo di non prenderne nessuna, anche se mi piange il cuore.
Quando iniziamo ad essere davvero lontani da qualsiasi centro “maggiore” da dove i turisti possono arrivare facilmente, restano solo le vere abitazioni dei balinesi di questa parte dell’isola. Sono quasi tutti pescatori, ovviamente. La strada diventa minuscola e malmessa, in alcuni punti quasi impraticabile con questo scooter 125. Le case sono più simili a baracche, le piccole spiagge regalate dalle ripide colline che precipitano quasi a picco nel mare, sono completamente occupate dalle imbarcazioni dei pescatori tirate a riva. Praticamente non esistono porticcioli o boe a cui attraccare le barche: tutto a riva.

 

Il mare a Bunutan

 

Ragni di mare
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Tra un villaggio e l’altro (tutti minuscoli), il nulla.
Da quello che ho visto negli ultimi 50 km, capisco che non troveremo l’ombra di un distributore fino alla fine del promontorio, tra qualche decina di km e, di conseguenza, capisco che abbiamo un problema di benzina.
Tanto per cambiare, non appena penso di fermarmi al prossimo cartello fatto in casa che annuncia la vendita di benzina, questi finiscono. Evidentemente siamo arrivati in una zona ancora meno turistica, dove non si avventura nessuno, nemmeno gli autisti locali che portano in gita gli stranieri.
Passiamo alcuni villaggi, ma non si vede l’ombra di una rivendita di benzina. Quando la situazione diventa davvero seria, tanto che dubito di arrivare al villaggio successivo, inizio a fermare la gente per strada per chiedere benzina. Mi rendo così conto che nessuno parla inglese e che, dopo essere riuscito a far capire cosa cerco, nessuno ha benzina da dar via al primo arrivato.
Inizio ad essere veramente preoccupato, quando al successivo gruppetto di ragazzi, un paio prendono a cuore la nostra situazione ed iniziano a chiamare amici e persone a destra e a sinistra per rimediare un po’ di benzina.
Alla fine da una baracca esce una ragazza che mi chiede con un sorriso enorme e gesti inequivocabili, quanta me ne serve. Faccio segno 3 con la mano, a indicare il numero di litri (purtroppo di più non ne entrano, in questo maledetto serbatoio minuscolo), lei torna dentro a prendere una tanica dalla faccia poco raccomandabile ed un imbuto ancora più sporco e la versa, assolutamente a occhio, nel serbatoio.
Gli dò qualche migliaio di rupie, che la ragazza sembra assolutamente non aspettarsi nè, soprattutto, volere e ripartiamo.
Capiamo che stiamo arrivando alla fine del promontorio quando ricominciamo a vedere strutture alberghiere e turistiche.
La strada scende di nuovo a livello del mare. Deviamo in un sentiero laterale per andare a vedere com’è la spiaggia. Ci ritroviamo davanti ad un deposito di pietre di tutte le dimensioni, da molto grandi a molto piccole, con delle donne che le lavorano, le spaccano e le trasportano in grandi ceste.
Alla fine della strada, prima di ricongiungerci alla statale, vediamo sulla destra un cartello che indica il palazzo di un nobile. Per sgranchirci un po’, decidiamo di visitarlo. Il palazzo è circondato da un lago, ha una pianta a croce e mille finestre. L’interno è spoglio, a parte alcune foto d’epoca che mostrano lo sfarzo e la ricchezza presenti prima della venuta degli olandesi e della caduta della monarchia in generale. Il parco intorno è bello e frequentato da parecchia gente del posto.
Confrontato al generale e diffuso squallore odierno, da un lato provo nostalgia della bellezza e delle opere create da queste persone (nobili, governanti e magnati). Dall’altro, ovviamente, non posso che essere contento che tanta gente che prima soffriva, ora soffre un po’ meno ed ha guadagnato maggior libertà, che non ci sono più questi due o tre signori ricchissimi che regnano su un popolo poverissimo. Ma forse non erano poverissimi, forse erano come sono adesso e i potenti di allora ci sono anche oggi, ma il bello si è perso e lo si ammira solo nei musei.
Nonostante sia quasi buio, deviamo ugualmente per Tenganan, un paesino indicato dalla guida come interessante e da vedere. Ci ritroviamo in un villaggio tradizionale in pietra dall’atmosfera cupa. É un guscio vuoto, senza vita, popolato soltanto da bancarelle di souvenir e snack. All’estremità nord, un canalone scavato da un torrente funge da discarica a cielo aperto.
Ci rimettiamo in sella verso Ubud, il sole tramonta alle nostre spalle. Negli ultimi bagliori del sole, una processione porta delle offerte dal tempio al mare. La strada passa proprio in mezzo: sul ciglio destro il tempio e a sinistra, dopo una ventina di metri di sabbia, le acque ormai scure dell’oceano. In ogni caso, prima di tutto viene la cerimonia: un poliziotto blocca il traffico della statale, i fedeli scorrono lentamente carichi di offerte, fiori e incenso fumante e poi si riparte. Noi, invece, ci fermiamo a godere alcuni minuti della pace e della comunione tra uomo e Natura che questo spettacolo ci sta offrendo.

 

 

Venditore di pannocchie a Goa Gajah

 

Dacci le mejo!
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Per fortuna il traffico diminuisce e arriviamo ad Ubud non troppo tardi.
Ci fermiamo di nuovo nel mercato notturno di Gianyar e non manchiamo nemmeno il rito della pannocchia dal nostro amico alla Grotta dell’Elefante. Ci saluta con un mezzo sorriso, è professionale e serio come un dirigente d’azienda.
Ceniamo lungo la Monkey Forest in un ristorante pseudo-indo-cinese di scarsa qualità e pieno di zanzare.
Rientriamo nel nuovo albergo, in centro, ma bruttino. In compenso paghiamo, per tutti e due con colazione, 150mila rupie: 10 euro e mezzo, poco più di 5 euro a testa!
Quando rientriamo in stanza sono le 22. Facciamo il punto della situazione di cosa vogliamo comprare, per chi e soprattutto dove e quando vogliamo andare negli ultimi giorni di vacanza.

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